Minaccia a Pubblico Ufficiale: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, si è pronunciata su un caso di minaccia a pubblico ufficiale, confermando la decisione dei giudici di merito e dichiarando inammissibile il ricorso presentato dall’imputato. Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione sui requisiti necessari affinché una minaccia assuma rilevanza penale quando rivolta a un soggetto che esercita una funzione pubblica.
Il Caso in Esame
I fatti alla base della vicenda giudiziaria riguardano un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Milano. L’imputato era stato condannato per aver proferito minacce nei confronti di alcuni pubblici ufficiali. La particolarità del caso risiede nella natura della minaccia stessa: non si trattava di una prospettazione di un danno fisico, ma dell’offerta di benefici indebiti, come la dazione di farmaci o la garanzia di un posto di lavoro all’interno dell’istituto penitenziario in cui i fatti si sono svolti.
L’appellante ha contestato la decisione, portando la questione dinanzi alla Suprema Corte, la quale è stata chiamata a valutare la corretta applicazione dei principi giuridici in materia.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La Corte ha ritenuto che il giudice di merito avesse applicato correttamente i principi di diritto, riconoscendo la sussistenza di tutti gli elementi del reato contestato. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni
Il cuore della motivazione dell’ordinanza risiede nel concetto di “nesso qualificato”. La Corte ha sottolineato come, per integrare il reato, la minaccia a pubblico ufficiale debba essere direttamente collegata alla funzione pubblica svolta dalla persona offesa. Nel caso di specie, il giudice di merito ha correttamente individuato un legame stretto e qualificato tra l’oggetto della minaccia (l’offerta di farmaci o di un lavoro in ambito penitenziario) e il ruolo pubblico ricoperto dalle vittime.
Citando un precedente giurisprudenziale (Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014), la Cassazione ha ribadito che la potenzialità costrittiva del “male ingiusto” prospettato non deve essere valutata in astratto, ma in relazione specifica alla funzione esercitata. L’offerta di un vantaggio indebito, se finalizzata a influenzare o coartare la volontà del pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, costituisce una minaccia penalmente rilevante. Pertanto, l’analisi del giudice di merito è stata considerata immune da vizi logici o giuridici, rendendo il ricorso privo di fondamento.
Conclusioni
La decisione in commento consolida un importante principio in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione. Essa chiarisce che la minaccia non si esaurisce nella sola prospettazione di un danno fisico o patrimoniale, ma può manifestarsi anche attraverso forme di pressione più subdole, come l’offerta di vantaggi illeciti. L’elemento cruciale, come evidenziato dalla Corte, è la capacità di tale condotta di interferire con il corretto e imparziale svolgimento della funzione pubblica. Questa ordinanza serve quindi come monito, ribadendo che qualsiasi tentativo di condizionare l’operato di un pubblico ufficiale, anche attraverso promesse allettanti, può integrare una fattispecie di reato grave, con conseguenze significative per chi lo compie.
Cosa si intende per ‘nesso qualificato’ in un caso di minaccia a pubblico ufficiale?
Per ‘nesso qualificato’ si intende un legame specifico e diretto tra la minaccia (in questo caso, l’offerta di benefici come farmaci o un lavoro) e la funzione pubblica svolta dalla vittima. La minaccia deve essere tale da poter influenzare o costringere il pubblico ufficiale nell’esercizio dei suoi doveri.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente applicato la legge. I giudici di merito avevano adeguatamente motivato la sussistenza del ‘nesso qualificato’ tra la minaccia e la funzione pubblica, rendendo le argomentazioni del ricorrente infondate.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente dopo la decisione della Cassazione?
In seguito alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e a versare una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14261 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14261 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 01/06/1999
avverso la sentenza del 24/06/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Visti gli atti e la sentenza impugnata con cui il ricorrente è stato condannato
alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 336 cod. pen.;
esaminato il motivo di ricorso, che prospetta l’inidoneità minatoria delle frasi
pronunciate dal ricorrente e la conseguente insussistenza del fatto;
considerato che sul punto la sentenza impugnata è immune da censure,
avendo correttamente fatto applicazione dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità, secondo cui «ai fini della consumazione del reato di
cui all’art. 336 cod. pen., l’idoneità della minaccia, posta in essere per costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri, deve essere
valutata con un giudizio “ex ante”, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto, con la conseguenza che l’impossibilità di realizzare il male
minacciato, a meno che non tolga al fatto qualsiasi parvenza di serietà, non esclude il reato, dovendo riferirsi alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato» (ex multis: Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014, Rv. 260324 – 01). Nel caso di specie, il giudice di merito ha fatto buon governo di tale principio, affermando la sussistenza di un nesso qualificato tra l’oggetto della minaccia (la dazione di farmaci o l’assicurazione di un posto di lavoro all’interno dell’istituto penitenziario) e la funzione pubblica rivestita dalle persone offese (cfr. f. 4 della sentenza);
ritenuto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3/03/2025