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Minaccia a pubblico ufficiale: quando scatta il reato?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un detenuto per il reato di minaccia a pubblico ufficiale. Anche rumori ritmici sulle sbarre e parole intimidatorie integrano il delitto, essendo sufficiente il dolo specifico di turbare il servizio dell’agente. Il ricorso è stato respinto in quanto meramente riproduttivo di censure già esaminate.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Minaccia a Pubblico Ufficiale: Quando un Gesto è Reato? L’Analisi della Cassazione

Il reato di minaccia a pubblico ufficiale, disciplinato dall’articolo 336 del Codice Penale, è posto a tutela del corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini di questa fattispecie, stabilendo che anche comportamenti apparentemente minori, se volti a intimidire o ostacolare l’operato di un funzionario, possono integrare il delitto. Analizziamo insieme la decisione per comprendere meglio la sua portata.

I Fatti del Caso: Minacce in un Contesto Penitenziario

Il caso in esame trae origine dal ricorso presentato da un detenuto contro una sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per il reato di minaccia nei confronti di un agente di polizia penitenziaria. La condotta contestata non si limitava a parole minacciose, ma includeva anche un “ritmico rumore sulle sbarre”, un gesto volto a creare un clima di intimidazione per spingere l’agente a compiere un atto non consentito.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che le sue azioni non fossero sufficienti a configurare il reato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna emessa in appello. La decisione si fonda su due pilastri principali: uno di carattere procedurale e uno di merito, strettamente legato all’interpretazione del reato di minaccia a pubblico ufficiale.

Oltre a respingere il ricorso, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del Codice di Procedura Penale per i casi di inammissibilità.

Le Motivazioni della Decisione: Un’Analisi della Minaccia a Pubblico Ufficiale

Le motivazioni fornite dalla Cassazione sono cruciali per comprendere i contorni del reato. La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché fondato su motivi non consentiti in sede di legittimità, ovvero argomentazioni che miravano a una nuova valutazione dei fatti, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).

Nello specifico, il ricorso è stato giudicato meramente riproduttivo di doglianze già esaminate e correttamente respinte nei gradi precedenti. Entrando nel merito, i giudici hanno ribadito alcuni principi fondamentali:

1. Configurazione del Reato: La minaccia all’agente di polizia penitenziaria, accompagnata dal rumore ritmico sulle sbarre, integra pacificamente il reato contestato. La condotta è idonea a turbare la libertà di autodeterminazione del pubblico ufficiale.

2. Il Dolo Specifico: Per il reato di cui all’art. 336 c.p. è richiesto il dolo specifico, ossia la coscienza e volontà di costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri o a ometterlo. La Corte ha precisato che tale dolo sussiste anche quando il fatto è diretto soltanto a turbare o a rendere difficile il compimento dell’atto d’ufficio. Non è quindi necessario che l’agente venga effettivamente costretto a un’azione o a un’omissione.

3. La Questione della Recidiva: La Corte ha considerato generico anche il motivo di ricorso relativo alla mancata esclusione della recidiva, sottolineando come la sentenza impugnata avesse adeguatamente motivato la sua applicazione sulla base dei reiterati precedenti penali dell’imputato.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza della Corte di Cassazione rafforza un’interpretazione ampia del reato di minaccia a pubblico ufficiale. La decisione chiarisce che non è richiesta una violenza fisica o una minaccia esplicita di un danno grave per configurare il delitto. Anche comportamenti intimidatori e di disturbo, come produrre rumori insistenti, possono essere sufficienti se posti in essere con lo scopo di ostacolare o anche solo rendere più difficoltoso il servizio del pubblico ufficiale. Questa pronuncia serve da monito, specialmente in contesti sensibili come gli istituti penitenziari, ribadendo che qualsiasi azione volta a interferire con l’operato dei funzionari pubblici può avere serie conseguenze penali.

Quando un’azione viene considerata minaccia a pubblico ufficiale?
Secondo la Corte, un’azione integra il reato di minaccia a pubblico ufficiale quando è finalizzata a intimidire o a ostacolare l’operato del funzionario. Anche comportamenti come un rumore ritmico sulle sbarre, se volti a turbare il servizio, sono sufficienti a configurare il delitto.

Quale tipo di intenzione è necessaria per il reato di minaccia a pubblico ufficiale?
È necessario il cosiddetto ‘dolo specifico’. Tuttavia, la Corte chiarisce che questo requisito è soddisfatto anche se l’intenzione dell’autore del fatto è soltanto quella di turbare o rendere più difficile il compimento dell’atto d’ufficio, non essendo necessario l’obiettivo di costringere il funzionario a compiere un atto contrario ai suoi doveri.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si basava su motivi non consentiti in sede di legittimità (la Cassazione non riesamina i fatti) e perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già correttamente valutate e respinte dalla Corte d’Appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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