Reato di Minaccia a Pubblico Ufficiale: la Cassazione Conferma la Condanna
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul reato di minaccia a pubblico ufficiale, chiarendo i contorni della condotta penalmente rilevante e i requisiti per un valido ricorso. La decisione sottolinea come un ricorso generico e infondato non possa superare il vaglio di legittimità, confermando la condanna emessa nei gradi di merito. Questo caso offre spunti importanti sulla configurabilità del delitto previsto dall’art. 336 del codice penale.
I Fatti del Caso: Minaccia Durante un Controllo
La vicenda trae origine da un ricorso presentato da un imputato contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano, che lo aveva condannato per il reato di minaccia a pubblico ufficiale. L’imputato contestava la propria responsabilità, sostenendo l’insussistenza sia dell’elemento materiale del reato (la condotta minatoria) sia dell’elemento psicologico (il dolo).
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, durante un controllo, l’imputato aveva tenuto un comportamento minaccioso e pronunciato frasi intimidatorie verso gli agenti, con lo scopo preciso di impedire loro di compiere un atto del proprio ufficio, emerso a seguito di ulteriori violazioni riscontrate a suo carico.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto i motivi proposti dal ricorrente affetti da genericità e manifesta infondatezza. La Corte ha validato la motivazione della sentenza d’appello, considerandola corretta e ben argomentata.
Inammissibilità del Ricorso per la Minaccia a Pubblico Ufficiale
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché non affrontava in modo specifico e critico le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata. La difesa si era limitata a riproporre doglianze generiche sulla sussistenza del reato, senza mettere in discussione la logicità e coerenza dell’iter argomentativo seguito dai giudici di merito. Tale approccio non è sufficiente a superare il vaglio della Cassazione.
Le Motivazioni dell’Ordinanza
Il cuore della decisione risiede nella valutazione della condotta dell’imputato. La Corte ha ribadito che il comportamento tenuto, le minacce esplicite e le frasi intimidatorie pronunciate erano chiaramente finalizzate a un obiettivo illecito: ostacolare l’attività dei pubblici ufficiali. La motivazione della Corte d’Appello è stata considerata esauriente nell’individuare sia la materialità del fatto che l’intenzionalità della condotta.
L’Elemento Materiale e il Dolo nel Reato
La Cassazione ha confermato che l’elemento materiale del reato di cui all’art. 336 c.p. è integrato da qualsiasi comportamento che abbia un’attitudine, anche solo potenziale, a intimidire il pubblico ufficiale e a ostacolarne l’attività. Nel caso di specie, le frasi pronunciate dall’imputato sono state ritenute idonee a tale scopo.
Per quanto riguarda il dolo, la Corte ha specificato che esso è stato correttamente individuato nella finalità perseguita dall’agente. L’intenzione di impedire l’atto d’ufficio rappresentava l’ispirazione della condotta minatoria, configurando così pienamente l’elemento psicologico richiesto dalla norma.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza riafferma un principio consolidato: per contestare una condanna in Cassazione non è sufficiente una generica negazione degli elementi del reato. È necessario muovere critiche puntuali e circostanziate alla motivazione della sentenza impugnata. La decisione evidenzia inoltre come il reato di minaccia a pubblico ufficiale si configuri anche attraverso condotte verbali, purché idonee a coartare la volontà del funzionario. La conseguenza della dichiarata inammissibilità è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende, a conferma della serietà con cui l’ordinamento sanziona i ricorsi temerari.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo questa ordinanza, un ricorso è dichiarato inammissibile quando i motivi sono generici e manifestamente infondati, cioè non contestano in modo specifico e pertinente la motivazione della sentenza impugnata.
Cosa integra il reato di minaccia a pubblico ufficiale secondo la Corte?
La Corte ha stabilito che il reato si configura con un comportamento, comprese minacce e frasi intimidatorie, diretto a impedire il compimento di un atto d’ufficio da parte del pubblico ufficiale.
Come viene identificato il dolo nel reato di minaccia a pubblico ufficiale?
Il dolo, ovvero l’intenzione di commettere il reato, viene individuato nella finalità perseguita dall’imputato con la sua condotta minatoria, cioè quella di ostacolare l’attività del pubblico ufficiale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1502 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1502 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COMO il 31/10/1987
avverso la sentenza del 08/07/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
ritenuto che i motivi di ricorso proposti nell’interesse di NOMECOGNOME c3n i qu contesta l’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art.336 coi:. p insussistenza dell’elemento materiale e del dolo, sono inammissibili per genericità e manifes infondatezza a fronte della corretta motivazione resa dai giudici di merito, ch( attrib rilievo al comportamento tenuto dall’imputato, alle minacce e alle frasi i -tinnidatorie pronunciate, dirette ad impedire il compimento dell’atto d’ufficio, non appena sull’i il con ed emersero ulteriori violazioni a suo carico, individuando nella finalità perseguita e ispir della condotta minatoria il dolo (pag.4);
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con «)nseguent condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di eu o tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13 dicembre 2024
Il consig re estensore
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