Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15917 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15917 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 01/10/1981
avverso la sentenza del 16/04/2024 della Corte di appello di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso insistendo per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Salerno, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso di essa, ha dichiarato colpevole e condannato NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 336, cod. pen., in danno di un capotreno di “RAGIONE_SOCIALE nel corso del suo servizio, così riformando la sentenza di assoluzione pronunciata 1’11 dicembre 2023 dal Tribunale di quella città per insussistenza del fatto.
COGNOME mediante il proprio difensore, ricorre avverso la decisione dei giudici d’appello, per tre motivi.
2.1. In primo luogo, denuncia violazione di legge e vizi di motivazione relativamente alla sua individuazione per colui che ha commesso il reato: la sentenza impugnata, infatti, non spiega com’egli sia stato identificato, né perché debba ascriversi a lui e non ad altri la condotta contestata.
2.2. Egli lamenta, poi, la violazione dell’art. 603-bis, cod. proc. pen., per non avere il giudice d’appello assunto nuovamente la testimonianza della persona offesa, necessaria anche per l’esatta qualificazione del fatto.
2.3. Deduce, infine, violazione di legge e vizi della motivazione in punto di dolo, sostenendo di non aver avuto l’intenzione di minacciare il capotreno, ma di essersi limitato ad una generica reazione minatoria, espressiva di sentimenti ostili, ma non accompagnata dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto.
Inoltre, il ricorrente sostiene che non sarebbe dimostrata l’esistenza di un atto contrario ai doveri d’ufficio, compiuto dal capotreno per effetto della minaccia, dovendo la condotta di esso imputato inquadrarsi, semmai, nel delitto di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337, cod. pen.), in quanto l’unica frase minacciosa è stata da lui pronunciata mentre l’altro lo stava accompagnando all’uscita del treno ed era diretta a dissuadere lo stesso dal compiere tale attività d’ufficio.
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
3.1. Il primo è generico, poiché, se è vero che la sentenza impugnata non si sofferma espressamente sull’identificazione dell’imputato e sulla sua individuazione per l’autore della condotta, il ricorso, dal suo canto, non allega neppure una circostanza di fatto, un elemento di prova od un’argomentazione tali da ingenerare un qualsiasi dubbio sul punto, men che mai ragionevole.
3.2. La seconda doglianza, oltre ad essere anch’essa generica, poiché non risponde alla specifica motivazione con la quale la sentenza impugnata ha escluso la necessità di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, è manifestamente infondata, avendo la Corte di merito riformato la sentenza assolutoria di primo grado non per una diversa interpretazione delle prove dichiarative assunte dal primo giudice, ma soltanto per una differente valutazione giuridica dei fatti sì come accertati sulla base di quelle: nel qual caso, l’obbligo di riassunzione delle stesse non si configura (così, tra moltissime altre, Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, COGNOME, Rv. 284860).
3.3. Anche l’ultima censura pecca, anzitutto, di genericità, risolvendosi in una pura asserzione là dove deduce l’inesistenza di una volontà minacciosa (enfatizzata, anzi, dall’imputato, col mettere la mano in tasca all’atto di
pronunciare la minaccia di accoltellare il capotreno in occasione di un loro prossimo incontro).
Identico limite presenta, inoltre, la semplice enunciazione del mancato compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio per effetto della minaccia,
poiché è indiscusso che quest’ultima fosse funzionale a costringere il capotreno ad omettere un atto d’ufficio doveroso – piuttosto che a compierne uno contrario ai
propri doveri – e cioè la rilevazione dell’infrazione riguardante il mancato possesso del titolo di viaggio e la conseguente applicazione delle relative sanzioni.
Infine, nessun interesse può avere l’imputato ad un’ipotetica riqualificazione del fatto nel delitto di resistenza a pubblico ufficiale, identico essendo il
trattamento sanzionatorio delle due fattispecie.
4. L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art.
616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025.