LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Minaccia a pubblico ufficiale: quando è reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino condannato per minaccia a pubblico ufficiale. La Corte ha stabilito che un atteggiamento minaccioso, anche se generico, integra il reato quando è chiaramente finalizzato a impedire al pubblico ufficiale di compiere un atto del proprio ufficio, come la redazione di un verbale. È stata confermata anche la decisione di non concedere le attenuanti generiche, in quanto basata su una motivazione adeguata e non sindacabile in sede di legittimità.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Minaccia a Pubblico Ufficiale: Quando un Atteggiamento Diventa Reato

Il reato di minaccia a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 336 del Codice Penale, tutela il corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione, garantendo che i suoi funzionari possano svolgere i propri compiti senza intimidazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sui confini di questa fattispecie, specificando quando un comportamento minaccioso, anche se apparentemente generico, può integrare il reato.

I Fatti del Caso

Un cittadino veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale. L’accusa si fondava su un episodio in cui l’imputato aveva proferito minacce nei confronti di un ufficiale intento a redigere un verbale.

L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali:
1. Insussistenza del reato: A suo dire, la sua condotta si era limitata a un atteggiamento ‘genericamente minaccioso’ e non a una minaccia specifica e concreta, finalizzata a impedire l’atto d’ufficio.
2. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Sosteneva che la Corte d’Appello avesse ingiustamente negato il beneficio delle attenuanti.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la condanna. I giudici hanno respinto entrambi i motivi di ricorso, ritenendoli infondati e, in parte, una mera riproposizione di argomenti già adeguatamente valutati e disattesi nei precedenti gradi di giudizio.

Le Motivazioni sulla minaccia a pubblico ufficiale

La Corte ha affrontato il primo motivo di ricorso, chiarendo un punto fondamentale: per configurare il reato di minaccia a pubblico ufficiale, non è necessaria una minaccia esplicita di un male preciso. Ciò che conta è la finalità della condotta. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano accertato, con una motivazione logica e completa, che le parole e l’atteggiamento dell’imputato erano inequivocabilmente diretti a impedire al pubblico ufficiale di portare a termine la redazione del verbale.

La Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica della decisione impugnata. Poiché la Corte d’Appello aveva correttamente applicato la legge e motivato in modo esauriente, la censura è stata ritenuta inammissibile.

Le Motivazioni sul Diniego delle Attenuanti Generiche

Anche il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche è una valutazione discrezionale del giudice di merito, basata su una serie di criteri legati alla gravità del reato e alla personalità dell’imputato. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione del diniego è palesemente illogica, contraddittoria o del tutto assente.

Nel caso in esame, la Corte d’Appello aveva puntualmente spiegato le ragioni per cui non riteneva di concedere il beneficio. Tale motivazione, essendo immune da vizi logico-giuridici, non era sindacabile in sede di legittimità.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida il principio secondo cui, nel reato di minaccia a pubblico ufficiale, l’elemento decisivo è l’intento di coartare la volontà del funzionario e ostacolare il compimento di un atto del suo ufficio. La forma della minaccia è secondaria rispetto al suo scopo. In secondo luogo, ricorda i limiti del giudizio di Cassazione: la Suprema Corte non è un terzo grado di merito e non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici che hanno esaminato le prove, a meno che le loro motivazioni non presentino vizi di legittimità evidenti. La decisione conferma quindi la condanna e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Un atteggiamento genericamente minaccioso verso un pubblico ufficiale è sempre reato?
No. Secondo quanto emerge dalla decisione, un simile atteggiamento diventa reato ai sensi dell’art. 336 c.p. quando è accertato che sia finalizzato a impedire o turbare il compimento di un atto d’ufficio. La finalità della condotta è quindi l’elemento cruciale per la configurabilità del reato.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché i motivi erano una riproposizione di argomenti già correttamente valutati e respinti dai giudici di merito, e perché la motivazione della sentenza impugnata era logica, coerente e giuridicamente corretta, non lasciando spazio a una revisione in sede di legittimità.

La Corte di Cassazione può rivedere la decisione di non concedere le attenuanti generiche?
Generalmente no. La valutazione sulla concessione delle attenuanti generiche è una decisione di merito, riservata ai giudici di primo e secondo grado. La Corte di Cassazione può annullare tale decisione solo se la motivazione è totalmente assente, palesemente illogica o contraddittoria, ma non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati