LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Minaccia a pubblico ufficiale: arresto legittimo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6261 del 2024, ha stabilito la legittimità dell’arresto per il reato di minaccia a pubblico ufficiale, anche quando la condotta minacciosa è volta a costringere l’agente a compiere un atto del proprio ufficio, come un arresto. Il caso riguardava un uomo che, brandendo un coltello, aveva minacciato i Carabinieri intervenuti sul posto per indurli ad arrestarlo. La Suprema Corte ha annullato la decisione del Tribunale che aveva invalidato l’arresto, chiarendo che la minaccia volta a condizionare l’operato di un pubblico ufficiale integra il reato previsto dall’art. 336 c.p. e consente l’arresto facoltativo in flagranza.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Minaccia a Pubblico Ufficiale: la Cassazione Chiarisce la Legittimità dell’Arresto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 6261 del 2024, ha fornito un importante chiarimento sulla configurabilità del reato di minaccia a pubblico ufficiale e sulla conseguente legittimità dell’arresto in flagranza. La Corte ha stabilito che minacciare un agente per costringerlo a compiere un atto del suo ufficio, come l’arresto, integra pienamente il reato previsto dall’articolo 336 del codice penale.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un intervento dei Carabinieri, chiamati da un cittadino a seguito di una lite. Giunti sul posto, i militari si trovavano di fronte l’uomo in stato di alterazione psicologica. Questi, brandendo un coltello, li minacciava con le parole: «voglio andare in carcere, o ci pensate voi o vi devo fare del male». L’uomo veniva quindi arrestato, ma il Tribunale di Piacenza, in sede di convalida, non riteneva legittimo il provvedimento. Secondo il primo giudice, la condotta non configurava il reato di resistenza, ma quello di minaccia aggravata, per il quale non è consentito l’arresto. La motivazione si basava sull’assunto che i militari non stessero compiendo un atto d’ufficio specifico e che la richiesta dell’uomo fosse, paradossalmente, quella di compiere un atto conforme ai loro doveri: l’arresto.

Il Ricorso del Pubblico Ministero e il Reato di Minaccia a Pubblico Ufficiale

Il Procuratore della Repubblica impugnava l’ordinanza, sostenendo che il ragionamento del Tribunale fosse errato. Innanzitutto, i Carabinieri stavano esercitando le loro funzioni tipiche, essendo intervenuti a seguito della segnalazione di un fatto di possibile rilevanza penale. In secondo luogo, la condotta dell’indagato era chiaramente volta a condizionare l’attività dei pubblici ufficiali, influendo sull’esercizio dei loro poteri discrezionali. La minaccia, aggravata dall’uso di un’arma, non era finalizzata a ottenere un atto legittimo, ma a coartare la volontà degli agenti per raggiungere il proprio scopo, cioè l’incarcerazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata e dichiarando legittimo l’arresto. La Corte ha innanzitutto ribadito che i Carabinieri, intervenuti sul posto per verificare una segnalazione, stavano inequivocabilmente svolgendo un’attività d’ufficio ai sensi dell’art. 55 del codice di procedura penale.

Il punto cruciale della decisione risiede però nell’interpretazione dell’art. 336 del codice penale. I giudici di legittimità hanno chiarito che questo reato non punisce solo la condotta di chi si oppone a un atto d’ufficio, ma anche quella di chi, con minaccia, mira a condizionare l’operato dell’agente pubblico. La minaccia dell’uomo era idonea a influire sulle determinazioni dei militari, inducendoli a optare per l’arresto anziché per altre soluzioni, come un trattamento sanitario.

La Corte ha specificato che, anche a voler escludere la contestualità con un atto d’ufficio in corso, la condotta rientrava pienamente nell’ipotesi del secondo comma dell’art. 336 c.p., che punisce il fatto commesso per condizionare l’agente pubblico. Tale fattispecie, a norma dell’art. 381, comma 1, lett. c), c.p.p., consente l’arresto facoltativo in flagranza. Il Tribunale aveva completamente ignorato questa possibilità, commettendo un errore di diritto.

Le Conclusioni

Con questa pronuncia, la Cassazione ha rafforzato un principio fondamentale: la tutela della libertà di autodeterminazione del pubblico ufficiale. La minaccia a pubblico ufficiale si configura non solo quando si cerca di impedire un atto, ma anche quando si tenta di coartare la volontà dell’agente per costringerlo a compiere una determinata azione, seppur rientrante tra i suoi poteri. Di conseguenza, l’arresto in flagranza in questi casi è da considerarsi legittimo, in quanto la condotta turba l’ordinato e libero svolgimento delle funzioni pubbliche.

Minacciare un carabiniere per farsi arrestare è reato di resistenza o di minaccia a pubblico ufficiale?
Secondo la sentenza, tale condotta integra il reato di minaccia a pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 336 del codice penale, in quanto mira a condizionare l’operato dell’agente pubblico.

È legittimo l’arresto di chi minaccia un poliziotto solo per costringerlo a compiere un atto d’ufficio?
Sì, la Corte di Cassazione ha affermato che l’arresto è legittimo. Il reato di minaccia a pubblico ufficiale sussiste anche quando la condotta è finalizzata unicamente a condizionare l’attività dell’agente, e tale reato consente l’arresto facoltativo in flagranza.

Quando le forze dell’ordine si considerano nell’esercizio delle loro funzioni?
La sentenza chiarisce che le forze dell’ordine sono considerate nell’esercizio delle loro funzioni quando intervengono sul posto a seguito della segnalazione di un fatto astrattamente suscettibile di avere rilevanza penale, in quanto ciò rientra nell’attività tipica a loro affidata dall’art. 55 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati