Minacce Gravi: Quando il Reato Esiste a Prescindere dalla Paura
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto penale: la configurabilità del delitto di minacce gravi. Spesso si tende a credere che, per essere punibile, una minaccia debba necessariamente generare uno stato di paura tangibile nella vittima. La Suprema Corte, con questa decisione, ribadisce un principio consolidato e fondamentale: la rilevanza penale della minaccia risiede nella sua potenziale capacità di intimidire, non nell’effetto psicologico concreto che produce sulla persona offesa.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di minacce gravi. La Corte di Appello di Milano aveva confermato la decisione di primo grado. L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: l’inverosimiglianza della minaccia. A suo dire, le parole intimidatorie erano state proferite mentre si trovava in cura presso un Centro di salute mentale, un contesto che, secondo la sua tesi, le rendeva prive di qualsiasi valenza intimidatoria.
La Decisione della Corte di Cassazione sulle Minacce Gravi
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando così la condanna. La decisione si fonda su una duplice valutazione. In primo luogo, il motivo del ricorso è stato ritenuto generico, in quanto non si confrontava specificamente con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, violando il principio di specificità dei motivi di ricorso. In secondo luogo, e questo è il cuore della questione, il motivo è stato giudicato manifestamente infondato nel merito.
Le Motivazioni della Decisione
La Suprema Corte ha smontato la tesi difensiva con argomentazioni nette. I giudici hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del delitto di minaccia, non è richiesto che la condotta abbia prodotto un concreto effetto intimidatorio sulla vittima. Ciò che conta è l’idoneità oggettiva della minaccia a incutere timore in una persona normale, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso.
La Corte ha sottolineato che la sentenza di appello aveva già evidenziato come la persona offesa, in sede di denuncia, avesse manifestato il terrore suscitato dal gesto dell’imputato. Sebbene questo elemento rafforzi il quadro accusatorio, la Corte precisa che, anche in sua assenza, la condanna sarebbe stata legittima. L’essenza del reato non sta nella reazione emotiva della vittima, ma nell’azione minacciosa dell’agente e nella sua intrinseca capacità di ledere la libertà morale altrui.
Di conseguenza, il fatto che le minacce siano state pronunciate da un soggetto in cura presso un centro specializzato non è, di per sé, sufficiente a escluderne la rilevanza penale. La valutazione deve essere condotta caso per caso, analizzando la natura delle espressioni usate e il contesto complessivo in cui sono state pronunciate.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida un importante principio di diritto: la tutela della libertà morale della persona prevale sulla valutazione soggettiva della paura provata. Per chiunque sia vittima di intimidazioni, ciò significa che la legge offre protezione basandosi sulla gravità oggettiva dell’atto subito, senza richiedere la prova di aver vissuto un concreto stato di terrore. Per chi si difende da un’accusa simile, la decisione chiarisce che argomentazioni basate sulla presunta ‘incredulità’ della minaccia o sullo stato psicologico della vittima hanno scarse probabilità di successo se la condotta, di per sé, era idonea a spaventare.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile per due ragioni: era generico, perché non contestava le argomentazioni della sentenza di appello, ed era manifestamente infondato, poiché si basava su un’interpretazione errata dei requisiti del reato di minaccia.
È necessario che la vittima si spaventi effettivamente perché si configuri il reato di minacce gravi?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che per la configurabilità del reato non è necessario che le minacce abbiano avuto un effetto concretamente intimidatorio sulla vittima. È sufficiente che la condotta sia, di per sé, idonea a incutere timore.
Il fatto che le minacce siano state pronunciate in un centro di salute mentale ha influito sulla decisione?
No. L’imputato ha usato questa circostanza per sostenere l’inverosimiglianza delle sue minacce, ma la Corte ha considerato tale motivo infondato, affermando che il contesto non esclude a priori la potenziale capacità intimidatoria delle parole pronunciate.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31543 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31543 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AGRIGENTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/12/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Rilevato che con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna del ricorrente per il delitto di minacce gravi in danno della persona offesa;
Considerato che l’imputato censura tale decisione affidandosi ad un unico motivo con il quale pone in rilievo che la minaccia era inverosimile in quanto proferita da un soggetto in cura da diversi anni presso il RAGIONE_SOCIALE dove erano state pronunciate talché le stesse non avevano alcuna valenza intimidatoria;
Ritenuto che tale motivo, oltre ad essere generico perché non si confronta in alcun modo con le argomentazioni spese dalla decisione impugnata (pag. 4), e dunque inammissibile perché privo della necessaria specificità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 – 01), si palesa anche manifestamente infondato atteso che, ai fini della configurabilità del delitto per cui è processo, non è necessario che le minacce abbiano avuto un effetto concretamente intimidatorio nella vittima del reato che, peraltro, come ha evidenziato la sentenza impugnata ha esternato in sede di denuncia il terrore suscitato dal gesto subito dal ricorrente (pag. 4);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/05/2024