Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32068 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32068 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nata ad AGROPOLI il DATA_NASCITA NOME nata a PIAGGINE il DATA_NASCITA COGNOME NOME nata ad EBOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, limitatamente alla aggravante del mezzo fraudolento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Napoli ha confermato la pronunzia del Tribunale di Santa NOME Capua Vetere del 23.06.2022 che condannava NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza con le contestate aggravanti, per il reato di
furto, aggravato dalla esposizione alla pubblica fede e dal mezzo fraudolento, di merce esposta sugli scaffali all’interno del punto ristoro “Sarni” dell’area di servizio “Teano Ovest” ed occultata all’interno delle borse.
Contro l’anzidetta sentenza le imputate propongono ricorso a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, affidato ai tre motivi qui di seguito sintetizzati.
2.1 n primo motivo di ricorso, proposto nell’interesse della sola imputata NOME COGNOME, deduce nullità della sentenza per omessa notifica nel domicilio dichiarato del decreto di citazione nel giudizio di appello.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce erronea applicazione della legge penale e mancanza -apparenza di motivazione in relazione all’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’affermazione di penale responsabilità per il reato di furto anziché per il reato di ricettazione ex art. 648, comma 4, cod. pen. nei confronti di COGNOME e COGNOME, nonché inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste COGNOME nei confronti dell’imputata COGNOME e carenza di motivazione in ordine alla partecipazione di quest’ultima al reato contestato.
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta aggravante dell’uso del mezzo fraudolento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto nei limiti qui di seguito indicati.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Anzitutto, deve rilevarsi come, nel caso di specie, non vi sia questione di conoscenza effettiva del processo, poiché la ricorrente ha ricevuto le notifiche della sentenza di primo grado regolarmente ed ha avuto, dunque, perfettamente conoscenza del processo a suo carico. Pertanto, si è fuori del perimetro applicativo di garanzie disegnato dalle Sezioni Unite con le sentenze Sez. U, n. 28912 del 28/2/2019, COGNOME, Rv. 275716 (decisione con la quale la Cassazione ha evidenziato la necessità che, ai fini della effettiva conoscenza del processo a suo carico, l’imputato abbia ricevuto una regolare notifica di un atto di vocatio in ius) e Sez. U, n. 15498 del 26/11/2021, COGNOME, Rv. 280931 (secondo cui, vi è necessità di garantire primariamente l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato, pur in presenza di notifiche apparentemente e formalmente valide e tuttavia incapaci di assicurare detta conoscenza e, in ultima analisi, di
assicurare il giusto processo funzionale alla tutela anche della presunzione di innocenza).
D’altra parte, il caso in esame non si inserisce neppure nella convergente logica di tutela della regolare partecipazione al processo dell’imputato, sottesa alla pronuncia Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, NOME, Rv. 279420, con la quale si è stabilito che, ai fini della dichiarazione di assenza, non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio da parte dell’imputato, ma, al contrario, il giudice deve, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale con il legale domiciliatario, tale da fargli ritenere con certezza che l’imputato abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente allo stesso.
Nel caso in esame, l’atto di citazione in giudizio d’appello, seguito ad una regolare partecipazione informata al processo di primo grado, con notifica all’imputato della stessa sentenza che ha definito il grado di giudizio, è stato recapitato al difensore di fiducia, piuttosto che al nuovo domicilio di elezione dichiarato in sede di appello. Ebbene, il Collegio ritiene che la notifica alla imputata del decreto di citazione in appello in luogo diverso rispetto al domicilio validamente eletto (nel caso di specie, con dichiarazione in sede di appello) integri una nullità di ordine generale a regime intermedio, come tale deducibile entro i termini decadenziali previsti dall’art. 182 cod. proc. pen., sempre che non risulti in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario, nel qual caso integra invece una nullità assoluta per omessa notificazione ex art. 179 cod. proc. pen. (cfr., nello stesso senso, Sez. 5, Sentenza n. 27546 del 03/04/2023 Rv. 284810 – 01; nonché in un caso con questioni analoghe, seppur in una fattispecie non identica, Sez. 5, n. 48916 del 1/10/2018, 0., Rv. 274183, in cui la Corte ha ritenuto valida la notificazione del decreto di citazione in appello avvenuta presso il luogo di residenza dell’imputato, nelle mani della suocera, piuttosto che nel domicilio eletto, dato che il ricorrente non aveva fornito specifica indicazione della inidoneità della predetta notifica). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La linea interpretativa cui si ispira la citata sentenza n. 48916 del 2018 è quella sottesa anche alla fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite n. 119 del 27/10/2004, Rv. 229541, con cui è stato chiarito come la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorra soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato.
Qualora, dunque, il ricorso non indichi specificamente le ragioni di tale inidoneità assoluta in concreto della notifica irrituale a determinare la conoscenza effettiva del giudizio in appello, ed in mancanza di elementi dai quali il Collegio possa giungere autonomamente a tale conclusione, deve ritenersi la genericità della deduzione del vizio relativo alla sussistenza di un’ipotesi di nullità assoluta.
Orbene, la ricorrente COGNOME nulla argomenta sul perché la notifica sia stata in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte sua, pur essendo stata diretta al difensore di fiducia.
Né d’altra parte si espone (o risulta altrimenti) che il difensore abbia espressamente dichiarato di non accettare la notifica della citazione relativa alla imputata, circostanza questa che creerebbe senz’altro evidenti, diversi dubbi circa l’assoluta non conoscibilità dell’atto da parte della ricorrente (cfr., in ipotesi di rinuncia al mandato e contestuale espressa dichiarazione di non accettare notifiche al domicilio già eletto in passato, Sez. 6, n. 44156 del 3/11/2021, P., Rv. 282265; Sez. 4, n.13236 del 23/3/2022, COGNOME, Rv. 283019).
D’altra parte, il difensore di fiducia nulla ha eccepito al riguardo nel giudizio di appello, essendosi limitato a concludere per l’accoglimento dei motivi d’appello.
Dunque, può affermarsi che la nullità a regime intermedio, verificatasi per l’erroneità della notifica al difensore di fiducia piuttosto che al nuovo domicilio della imputata indicato in sede di appello, in mancanza di prova dell’inidoneità assoluta a determinare la conoscenza del giudizio di secondo grado (che avrebbe generato la nullità assoluta invocata dalla difesa), non è stata dedotta tempestivamente, subito dopo la sua realizzazione. In più, non è stata dedotta alcuna specifica lesione del diritto di difesa, che, anzi, risulta regolarmente espletato nel giudizio d’appello dal difensore di fiducia della ricorrente.
Tali conclusioni convergono anche nella logica di fondo che permea la decisione delle Sezioni Unite COGNOME e la giurisprudenza di legittimità successiva del massimo collegio nomofilattico. Invero, declinando un orientamento che si muove sotto l’egida di un canone generale di “pregiudizio effettivo”, individuato come ragione ultima della disciplina delle nullità e, al tempo stesso, limite capace di perimetrarne i confini applicativi, la giurisprudenza di legittimità – con qualche voce consonante anche in dottrina ricorre, ai fini di verificare l’esistenza effettiva di un error in procedendo, all’applicazione del principio di offensività processuale, secondo cui, perché sussista la nullità, non è sufficiente che sia stato posto in essere un atto non conforme al tipo, ma è necessario valutare se la violazione abbia effettivamente compromesso le garanzie che l’ipotesi di invalidità era destinata a presidiare. Costituiscono punti di emersione di tale indirizzo, che attraversa orizzontalmente
l’ermeneusi della disciplina delle nullità, alcune pronunce delle Sezioni Unite, sia pur sempre attente a collocarsi nell’alveo del principio di tassatività che domina il tema, collegando la sanzione di nullità direttamente alla norma, anche in funzione «dissuasiva» alla inosservanza di determinate forme. Si tratta di una prospettiva meno formalistica e più moderna, che connette l’invalidità alla presenza di un effettivo danno per la parte processuale quando la sanzione è collegata al risultato o scopo della prescrizione violata. In tale traccia si inseriscono altre pronunce (il Collegio richiama l’analitica esposizione delle Sezioni Unite, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, Amato, Rv. 269027), oltre alla citata sentenza Sez. U, n. 119 del 2005, COGNOME (che, a sua volta, si ispira a Sez. U, n. 17179 del 27/2/2002, Conti, Rv. 221403 ed a Sez. U, n. 35358 del 9/7/2003, Ferrara, Rv. 225361), e tra queste anche le sentenze Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235697; Sez. U, n. 19602 del 27/03/2008, COGNOME, Rv. 239396, Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, COGNOME, dep. 2012, Rv. 251497.
Una regola che si è tradotta nell’affermazione di principio secondo cui se le forme processuali sono un valore, lo sono in quanto funzionali alla celebrazione di un giusto processo, i cui principi non vengono certamente compromessi da una nullità in sé irrilevante o inidonea a riverberarsi sulla validità degli att processuali successivi (e ciò pur dando atto dell’esistenza di un altrettanto generale principio, sostenuto da una parte autorevole della dottrina, secondo cui rimane privo di rilievo, di fronte ad un atto nullo, il ricorrere di un concreto pregiudizio all’interesse protetto, considerato che tale pregiudizio deve considerarsi immanente nella circostanza pura e semplice che lo schema legale non si sia realizzato). Tali pronunce pongono una linea interpretativa valida anche al confronto con la recentissima e chiara scelta del massimo collegio nomofilattico di perseguire l’obiettivo di assicurare la conoscenza effettiva degli atti e della stessa esistenza del processo da parte dell’imputato, effettuata con le sentenze Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279420 e Sez. U, n. 28912 del 28/2/2019, COGNOME, Rv. 275716; sentenze che, anzi, leggono in chiave altrettanto sostanzialistica la disciplina formale della regolare vocatio in iudicium.
La giurisprudenza di legittimità ripercorsa consente di ritenere che notifiche simili a quella effettuata nei confronti della odierna ricorrente, lungi dal poter essere ritenute inesistenti o assolutamente inidonee tout court – e quindi equiparabili ad una notificazione “omessa” – devono, piuttosto, reputarsi idonee a determinare la conoscenza dell’atto da parte dell’imputato, a meno che non vengano specificamente dedotte ragioni di inidoneità concrete. Ancora è utile richiamare, su questo specifico aspetto, Sez. U, n. 58120 del 22/06/2017, COGNOME,
Rv. 271771, che, pur emessa in riferimento ad una diversa fattispecie, ha chiarito come sia possibile per il giudice impiegare il parametro dell’esercizio effettivo dei diritti di difesa al fine di riscontrare il rispetto dei li deducibilità della nullità o la sussistenza di una causa di sanatoria della stessa rilevabile da circostanze obiettive di fatto desumibili dagli atti del processo. Diritt di difesa che, nel caso della ricorrente, sono stati regolarmente espletati nel corso del giudizio d’appello dal difensore di fiducia tanto più che non risulta dedotta l’omessa informazione della celebrazione dell’udienza di appello dal difensore di fiducia al suo assistito.
3. Il secondo motivo di ricorso che deduce erronea applicazione della legge penale e mancanza – apparenza di motivazione in relazione all’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per errata valutazione delle prove in relazione all’affermazione di penale responsabilità per il reato di furto anziché di ricettazione ex art. 648, comma 4, cod. pen. nei confronti di COGNOME e COGNOME, nonché inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste COGNOME nei confronti della imputata COGNOME e carenza di motivazione in ordine alla partecipazione di NOME COGNOME al reato contestato, è manifestamente infondato.
Sotto il primo profilo, va osservato che «eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. 3, Sentenza n. 17395 del 24/01/2023; Sez. 6, n. 5334 del 1993, Rv. 194203-01).
Sono, pertanto, inammissibili le deduzioni critiche che si pongono in diretto confronto con il materiale probatorio acquisito, sollecitandone un diverso apprezzamento da parte della Corte di cassazione, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia, dallo scrutinio delle funzioni di legittimità (cfr. Sez. 6, n.13442 dell’8.03.2016, COGNOME; Sez. 6, n.43963 del 30.09.2013, COGNOME). Il sindacato demandato alla Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza impugnata non può, infatti, concernere né la ricostruzione del fatto né il relativo apprezzamento, ma deve limitarsi al riscontro
di un logico apparato argomentativo, senza la possibilità di una diretta rivisitazione delle acquisizioni processuali.
Il controllo di legittimità non è, in altri termini, diretto a sindacare intrinseca attendibilità dei risultati della interpretazione delle prove, né a ripercorrere l’analisi ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della conseguenzialità, le conclusioni tratte (SU. n.47289 del 24.09.2003, COGNOME).
La mancata rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali può essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il cosiddetto «travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che ii dato probatorio, travisato od omesso, abbia ii carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purchè siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessita di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato, e senza che l’esame abbia ad oggetto, invece che uno o più specifici atti del giudizio, ii fatto nella sua interezza (Sez. 3, n. 38431 del 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911).
Nel solco del richiamato indirizzo ermeneutico si innesta quello per ii quale «H vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, e, d’altro canto, ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando ii limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio» (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758).
Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del travisamento del fatto, «stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito» (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099).
La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono, peraltro, conseguire a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè il giudice di merito abbia spiegato le origini del maturate convincimento in modo logico ed adeguato e senza incorrere in vizi giuridici (Sez. 1, 39846/2023).
La Corte di merito con motivazione, corretta ed immune da vizi logicogiuridici, premettendo che le censure formulate, generiche ed ai limiti dell’inammissibilità, non contengono elementi ed argomenti diversi, già disattesi dal giudice di prime cure, alla cui motivazione precisa ed articolata si riportava integralmente, ha fatto buon governo del compendio probatorio valutando in sinergia gli elementi di prova in atti quali la denuncia e le dichiarazioni della persona offesa, il verbale di perquisizione e sequestro della merce sottratta e restituita all’avente diritto, le dichiarazioni del teste di PG COGNOME NOME che, trovandosi all’uscita dell’esercizio commerciale, percepiva casualmente il dialogo tra le due donne appena uscite, che commentavano l’avvenuta sottrazione della merce riposta nelle borse e la presenza della NOME, che le attendeva a bordo della autovettura con la quale erano giunte nell’area di servizio, nonché motivando in modo puntuale, confrontandosi sulle deduzioni difensive, ritenute meramente assertive e prive di alcun supporto probatorio, ha ritenuto sussistere al di là di ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità delle imputate COGNOME e COGNOME per il delitto contestato di furto aggravato anziché riqualificare il fatto nel delitto di ricettazione.
La pronunzia impugnata è immune da censure di illogicità e vizi laddove, con motivazione concisa ma puntuale, ha affermato la penale responsabilità per il reato contestato anche della NOME che si trovava a bordo della autovettura e che aveva condotto il mezzo a bordo del quale le tre donne erano giunte sui luoghi.
Va qui ribadito il principio di diritto per cui, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, 1, lett. e), cod. proc. pen., solo nel caso in cui il ricorren rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (così, tre le altre, Sez. 6, Sentenza n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217;).
Inammissibile è il motivo in relazione alla dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal teste di PG NOME COGNOME. Sul punto, il Collegio si uniforma al principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui
«le comunicazioni verbali intercorse tra persone osservate a loro insaputa nel corso di un’operazione di polizia non costituiscono “dichiarazioni” e pertanto possono formare oggetto di testimonianza da parte degli operanti che le hanno percepite» (Sez. 6, Sentenza n. 28109 del 16/04/2010, Cicchinelli, Rv. 247772).
Ad avviso del Collegio, la testimonianza di COGNOME rientra negli «altri casi» per i quali l’art. 195, comma 4, cod. proc. pen., legittima la testimonianza de auditu dell’ufficiale o agente di p.g. Si tratta di ipotesi in cui dichiarazioni d contenuto narrativo sono state percepite dall’appartenente alla P.G. al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione delle medesime. Del resto, anche l’art. 62 cod. proc. pen., che preclude la testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato, circoscrive l’operatività del divieto alle dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento, con ciò includendovi i soli casi in cui le dichiarazioni dell’indagato o dell’imputato vengano assunte in occasione del compimento di uno specifico atto del procedimento, sia esso un interrogatorio o un esame o un altro atto, e vengano ricevute da uno dei soggetti investiti di una qualifica processuale – ivi inclusa quella di ufficiale o agente di P.G. -, per una ragione connessa al procedimento.
Il divieto in esame opera, infatti, «nel corso del procedimento» e non in pendenza del procedimento. Ciò significa che vengono in considerazione, nell’ottica delineata dall’art. 62 cod. proc. pen., le sole dichiarazioni rese dall’imputato o dall’indagato nella sede processuale e ai soggetti deputati istituzionalmente alla loro raccolta, con conseguente inibizione dell’ingresso, nel materiale cognitivo a disposizione del giudice, di fonti surrogatorie o sostitutive dell’eventuale carenza di documentazione formale (Sez. 1, Sentenza del 01/10/1990, n. 3084, Cass. pen. 1991, II, 198). Il divieto di cui all’art. 62 cod. proc. pen. non opera invece laddove, come nel caso in esame, si tratti di dichiarazioni rese fuori del procedimento ovvero prima dell’inizio delle indagini, le quali possono essere liberamente valutate dal giudice, assumendo la valenza di fatto storico percepito e riferito dal teste (Sez. 6, Sentenza n. 1764 del 09/10/2012 dep. 2013, Naso, Rv. 254180; Sez. 2, Sentenza n. 17437 del 13/03/2009, Leone, Rv. 244347; Sez. 1, Sentenza n. 35539 del 03/09/2003, Pascolo, Rv. 225778).
Le dichiarazioni rese dal teste di COGNOME sono quindi pienamente utilizzabili poiché non costituiscono dichiarazioni rese nel corso del procedimento in quanto la deposizione ha avuto ad oggetto il dialogo tra le due imputate, casualmente ascoltato dal teste subito dopo la commissione del furto (Sez. 1, n. 15760 del 20/01/2017, Capezzera, Rv. 269573 – 01), tanto che il motivo di ricorso attinente al vizio della motivazione, sotto tale profilo, è del tutto generico.
Il terzo motivo di ricorso – che deduce l’insussistenza della circostanza aggravante del mezzo fraudolento – è fondato.
L’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento si caratterizza per la necessità che l’attività preparatoria al reato sia tale da risultare “scaltra”, idonea ad eludere il controllo e la sorveglianza sulla res da parte del possessore, facendo leva in qualche modo sul suo consenso (cfr. in un’altra interessante fattispecie anche Sez. 5, n. 32687 del 30/1/2018, COGNOME Perez, Rv. 273498), distinguendosi, altresì, dal reato di truffa sulla base del fatto che, in quest’ultimo, la consegna della res da parte della vittima, raggirata dai comportamenti fraudolenti, avviene con l’animus di spossessarsene definitivamente, in ragione del raggiro subito (Sez. 5, n. 18655 del 24/2/2017, Suffer, Rv. 269640), sicchè l’impossessamento non avviene invito domino (Sez. 4, n. 14609 del 22/2/2017, Piramide, Rv. 269537).
Le Sezioni Unite, con la sentenza Sez. U, n. 40354 del 18/7/2013, Sciuscio, Rv. 255974, avevano già chiarito che, nel reato di furto, l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento delinea una condotta, posta in essere nel corso dell’azione delittuosa, dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità. Sulla base di tale principio, il massimo collegio di legittimità ha escluso che sia configurabile l’aggravante nel caso del mero occultamento sulla persona o nella borsa di merce esposta in un esercizio di vendita “self-service”. Le Sezioni Unite hanno ritrovato la ratio della circostanza nel fatto che essa serve a sanzionare un maggior disvalore riconnesso al fatto che le cose altrui vengono aggredite con misure di affinata efficacia che rendono più grave la condotta e mostrano, altresì, maggiore intensità del dolo, più pervicace risoluzione criminosa e maggiore pericolosità sociale. La frode rilevante deve riferirsi non a qualunque banale, ingenuo, ordinario accorgimento, ma richiede qualcosa in più: un’astuta, ingegnosa e magari sofisticata predisposizione di mezzi.
Le Sezioni Unite ritrovano nell’elaborazione giurisprudenziale chiarificazioni sostanzialmente consonanti: si parla di mezzo fraudolento in presenza di stratagemma diretto ad aggirare, annullare, gli ostacoli che si frappongono tra l’agente e la cosa; di operazione straordinaria, improntata ad astuzia e scaltrezza; di escogitazione che sorprenda o soverchi, con l’insidia, la contraria volontà del detentore, violando le difese apprestate dalla vittima; di insidia che eluda, sovrasti o elimini la normale vigilanza e custodia delle cose ( Sez. 5, Sentenza n. 19674 del 21/02/2019 Rv. 275919 – 01).
Ebbene, nel caso di specie, la condotta delittuosa delle imputate COGNOME COGNOME, consistita nell’occultare all’interno delle rispettive borse la merce prelevata dagli scaffali dell’esercizio commerciale self-service, non integra l’aggravante del mezzo fraudolento, mancando il quid pluris dell’ulteriore azione insidiosa improntata ad astuzia o scaltrezza, idonea ad eludere il controllo e la sorveglianza del possessore sulla res e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità.
L’esclusione della configurabilità dell’aggravante del mezzo fraudolento comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con riferimento a tale circostanza, con eliminazione della stessa; determina contestualmente la necessità del rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
In sede di giudizio di legittimità, qualora sia esclusa un’aggravante, ritenuta equivalente nel giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla circostanza esclusa e con rinvio per la rideterminazione della pena, in quanto l’eliminazione della aggravante potrebbe implicare una diversa valutazione in ordine all’entità della riduzione sanzionatoria derivante dalla applicazione delle circostanze attenuanti in assenza di circostanze eterogenee, secondo una valutazione che tenga conto di tutti gli elementi di fatto rilevanti (Sez. 3, Sentenza n. 13274 del 05/03/2021 Rv. 280866 – 01).
Va, a questo proposito, fatta applicazione del principio secondo cui l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione ai soli fini della rideterminazione della pena comporta la definitività dell’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, sicché la formazione del giudicato progressivo impedisce in sede di giudizio di rinvio, di dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (Sez. 5, Sentenza n. 51098 del 19/09/2019, Rv. 278050 01; Sez. 2, n. 4109 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 265792; Sez. 6, n. 45900 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257464; Sez. 3, n. 15101 del 11/03/2010, Romeo, Rv. 246616).
L’impugnata sentenza deve pertanto essere annullata senza rinvio nella parte in cui ha ritenuto sussistente la predetta aggravante.
Infine, a norma dell’art.624 cod. proc. pen., in considerazione dell’esito del giudizio, diventa irrevocabile l’affermazione di responsabilità delle ricorrenti e la Corte di appello dovrà solo procedere alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla aggravante del mezzo fraudolento, che esclude, e rinvia per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso in Roma il 20/06/2024.