Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44826 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44826 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME nato a Reggio Calabria il 22.4.1941, contro l’ordinanza del Tribunale di Palermo del 13.6.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che conclude per l’accoglimento del ricorso.
Il Tribunale di Reggio Calabria ha respinto l’istanza di riesame che era stata proposta nell’interesse di NOME COGNOME contro il provvedimento con il quale, in data 10.5.2024, il GIP aveva applicato all’odierno ricorrente la misura cautelare degli arresti domiciliari ravvisando, a suo carico, gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di tentata estorsione aggravata, anche ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., contestatogli al capo 2) della rubrica provvisoria nonché il ricorrere delle relative esigenze cautelari;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.2 violazione di legge penale sostanziale e processuale in relazione agli artt. 629 e 416-bis.1 cod. pen.: rileva che la contestazione provvisoria evoca la aggravante “mafiosa” sia sotto il profilo del “metodo” che della “agevolazione” ed osserva che il Tribunale ha errato nell’applicare i principi dettati dalle SS.UU. nella sentenza COGNOME con riguardo alla posizione concorrente nel reato aggravato al quale l’aggravante agevolativa può estendersi soltanto laddove la finalità perseguita dal correo sia conosciuta o conoscibile; sottolinea che nel caso in esame
tale finalità non era affatto riconoscibile in capo al ricorrente che aveva agito, semmai, al solo fine di mantenere integra la propria attività commerciale; aggiunge che la finalità agevolativa è stata contestata sotto il profilo della crescita criminale del singolo Autoliano e non già come concreto vantaggio del sodalizio criminale;
2.3 violazione di legge penale sostanziale processuale con riguardo agli artt. 274, comma primo, lett. c), 275, commi primo e terzo, e 292 cod. proc. pen.: rileva che il Tribunale ha confermato la diagnosi sulla sussistenza delle esigenze cautelari fondandola non già sulla personalità dell’indagato ma sulla ritenuta stabilità delle relazioni intrattenute con soggetti appartenenti al mondo della criminalità; richiama tuttavia la natura ed origine della vicenda occorsa nel 2021, periodo dal quale la persona offesa ha continuato ad operare nei pressi dell’attività dell’indagato non risultando, per contro, che altri abbia intenzione di insediare sul posto ulteriori imprese di pompe funebri; richiama il tenore della disposizione di cui all’art. 275 cod. proc. pen. e l’esigenza di attualità e concretezza del pericolo di reiterazione nella interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità anche sotto il profilo del c.d. “tempo silente”;
la Procura Generale, nonostante la tempestiva e rituale richiesta di trattazione in presenza, ha trasmesso le conclusioni scritte cui il Pubblico Ministero si è riportato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato con censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
Non è inutile, infatti, ribadire quali siano i termini del sindacato di legittimit sui provvedimenti adottati dal Tribunale del Riesame in materia di libertà personale; è infatti consolidato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario e della permanenza delle esigenze cautelari a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il ricorso è perciò ammissibile soltanto se con esso venga denunciata la violazione di specifiche norme di legge, ovvero si deduca la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, e non si ci limiti a propone e sviluppare censure che attengono alla ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884).
La censura con cui si denunci il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in altri termini, consente al giudice di legittimità di vagliare la adeguatezza delle ragioni addotte rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie non potendo invece prendere in esame quei rilievi che, pur investendo formalmente la motivazione del provvedimento impugnato, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (cfr., Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 3, Sentenza n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400).
Esula, d’altra parte, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30.4.1997, Dessimone; Sez. 4, n. 4842 del 2.12.2003, Elia; Sez. 6, n. 49153 del 12.11.2015, secondo cui la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è censurabile in sede di legittimità solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura).
Va anche ricordato che, nella fase cautelare, si richiede non la prova piena del reato contestato (secondo i criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen.) ma solo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; questo Collegio, in particolare, condivide la tesi secondo cui “in tema di misure caute/ari personali, la nozione di
gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 cod. proc. pen. non si atteggia allo stesso modo con cui il termine indizi inteso viene utilizzato quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza. Pertanto, ai fini dell’adozione di una misura cautelare, è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli e gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 cod. pro pen., comma 2, come si desume dall’art. 273 cod. proc. pen., comma This, che richiama i commi terzo e quarto dell’art. 192 cod. proc. pen., ma non il comma 2 dello stesso articolo che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti)” (cfr., Sez. 5, n. 36079 del 5.6.2012, COGNOME; Sez. 4, n. 6660 del 24.1.2017, COGNOME; Sez. 4, n. 53369 del 9.11.2016, COGNOME; conf., ancora, Sez. 4, n. 17247 del 14.3.2019, Marando, in cui la Corte ha ribadito i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elementi di prova idonei a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273 comma 1-bis, cod. proc. pen.; conf., sul punto, e tra le altre, Sez. 1, n. 43258 del 22.5.2018, Tantone; Sez. 2, n. 22968 dell’8.3.2017. Carrubba).
Detto questo, rileva il collegio che il provvedimento impugnato si sottrae, quanto al profilo della valutazione del compendio indiziario, ai rilievi articolati con il primo motivo del ricorso e che si risolvono, in realtà, nel tentativo di proporre una lettura diversa degli elementi puntualmente presi in esame dal Tribunale e di pervenire ad una soluzione diversa da quella cui sono approdati i giudici della cautela sorreggendo la decisione con una motivazione esaustiva e congruamente ancorata alle emergenze investigative.
Secondo la ricostruzione proposta dalla pubblica accusa, e sposata dal GIP nel provvedimento impositivo della misura domiciliare, il Federico si sarebbe reso responsabile di una condotta di tentata estorsione pluriaggravata (ai sensi dell’art. 628, comma 3, n. 1 cod. pen. e dell’art. 416-bis.1 cod. pen. sotto il duplice profilo del metodo che della agevolazione del sodalizio di cui al capo 1, non contestato all’odierno ricorrente).
In particolare, nel luglio del 2020 NOME COGNOME titolare, con la compagna NOME COGNOME, di un’impresa di servizi funerari in Reggio Calabria, con sede operativa a pochi metri da quella condotta dal NOME, sarebbe stato avvicinato
da tale NOME COGNOME che gli avrebbe suggerito al predetto di non avviare l’attività, evocando il monito di NOME COGNOME, storico esponente della cosca COGNOMECOGNOME (cfr., l’ampia ricostruzione del contesto della criminalità organizzata operante sul posto contenuta nel provvedimento impugnato da pag. 2 a pag. 11), condannato in primo grado a 24 anni anche per un omicidio ed in secondo grado a 5 anni di reclusione per il solo reato associativo nel processo “Valanidi”, ad 8 anni e 4 mesi di reclusione nel processo “RAGIONE_SOCIALE” sempre per reato associativo.
Era seguito, quindi, l’episodio del 9.1.2021, giorno del primo servizio funebre di cui la ditta dei Paris era stata incaricata di occuparsi e quando il Federico avrebbe avvicinato NOME COGNOME della cooperativa che forniva sia il personale che la cassa funebre occupandosi anche della preparazione della salma e della affissione dei manifesti, al quale avrebbe intimato di sospendere il servizio facendogli intendere che il Paris sarebbe stato di lì a poco vittima di un attentato incendiario e che doveva ringraziarlo “… perché questa volta sono venuto io, perché dovevano venire altre due persone a trovarti” (cfr., pag. 13).
NOME COGNOME, dopo qualche giorno, era stato contattato nuovamente dal NOME il quale lo avrebbe aggredito verbalmente per telefono rimproverandolo di aver portato a termine il servizio funebre del 9.1.2021.
Il Tribunale ha spiegato che la ricostruzione della vicenda era stata operata sulla scorta delle dichiarazioni del Paris (cfr., pagg. 11-13 e 13-14 dell’ordinanza), corroborate e riscontrate da quelle della Toscano (cfr., ivi, ancora, pagg. 13-14); costei, infatti, aveva a sua volta riferito che, a quanto appreso dal Lopez, il Federico si era presentato sul posto il giorno 9.1.2021 intimando al predetto di sospendere il servizio funebre e, qualche giorno dopo, rimproverandolo aspramente di averlo invece portato a termine.
Il ricorso evidenzia alcune difformità tra la versione propinata dal Paris e quella della COGNOME laddove, in realtà, il Tribunale ha ben evidenziato come entrambi costoro avevano avuto conoscenza dell’accaduto proprio dal Lopez dal quale si erano recati qualche giorno dopo il servizio funebre per regolare il pagamento.
I giudici reggini hanno invero vagliato positivamente la intrinseca coerenza e la attendibilità soggettiva del Paris che era stato già giudicato attendibile in altr procedimenti nell’ambito dei quali le sue dichiarazioni avevano consentito di emettere misure cautelari per altri fatti estorsivi ed hanno inoltre considerato, per contro, l’atteggiamento del COGNOME, che non aveva confermato quanto sostenuto dalla persona offesa, ritenuto emblematico proprio del clima nel quale era
maturata la vicenda, caratterizzata dall’interessamento di esponenti della criminalità organizzata, ben noti ai protagonisti.
Proprio su questo aspetto, anzi, il Tribunale ha puntualmente richiamato la conversazione intercettata dagli investigatori ai primi del mese di aprile del 2021 ed intercorsa tra NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME che commentavano la vicenda relativa al “contrasto” tra il COGNOME e NOME COGNOMEal quale non lesinavano giudizi poco lusinghieri affermando – pag. 15 che “… non vale niente” e che “… quando venivamo a chiederti aiuto ci hai girato le spalle … e ora vieni … “).
Ulteriore sostegno alla ricostruzione del denunziante è stato inoltre individuato, dal Tribunale, nella conversazione intercettata all’interno della vettura in uso all’Autolitano ed intercorsa tra costui ed il Federico che, nell’occasione, si era raccomandato al suo interlocutore di attivarsi per il pronto recupero di una somma che gli era dovuta da un terzo per l’attività dell’agenzia funebre (cfr., pag. 15: “… ti raccomando … che ci deve dare duemila e cinquecento euro … se viene qualcuno non gliene faccio funerale”); non manca, inoltre, un riferimento ai contatti intercorsi tra Autolitano e Scarafia, a riscontro di quanto riferito da COGNOME circa il fatto che quest’ultimo si era qualificato come incaricato dal primo (cfr., pagg. 15-16).
In tal modo, il Tribunale ha potuto corroborare, sul piano indiziario, l’esistenza di un collegamento tra il Federico e lo storico – ed a tutti noto esponente della criminalità organizzata con il quale, anzi, vi era una costante “collaborazione” nell’ambito della attività gestita dall’odierno ricorrente che, pertanto, ha consentito di inquadrare la vicenda in un contesto non estraneo e non ignoto alle cosche operanti sul posto e di confortare la tesi del Paris circa l’interessamento dell’Autolitano concretizzatosi nel suggerimento veicolatogli dallo Sca rafia.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, poi, la circostanza secondo cui l’agenzia del Paris, almeno sino alla fine del 2020, non era stata pubblicizzata e non aveva nemmeno l’insegna, era stata confermata non soltanto dallo stesso Paris ma anche dalla Toscano (cfr., pagg. 12 e 14) che, per altro verso, avevano spiegato che quello del 9.1.2021 era il primo servizio funebre affidato loro a partire dal mese di luglio; di qui, pertanto, la linearità della ricostruzione sposata nel provvedimento impugnato secondo cui, dopo l’avvertimento dello Scarafia, era stata proprio quella l’occasione per scatenare la reazione del NOME nei confronti del concorrente, rimasto sin’allora inattivo.
2.2 II secondo motivo del ricorso è incentrato sui presupposti della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. contestata e ritenuta sotto il duplice profilo del “metodo” e della “agevolazione”; in realtà, i rilievi difensivi attengono piuttosto a questo secondo profilo (e più in particolare, sulla sua estensione soggettiva) rispetto al quale occorre verificare la sussistenza di un reale interesse all’impugnazione.
Al di là dell’assenza di puntuali censure in ordine al “metodo”, rileva il collegio che, su questo aspetto, la motivazione del provvedimento è certamente appagante facendo leva, per l’appunto, sulla avvenuta “spendita” del nome dell’Autolitano nei confronti del Paris e, inoltre, sull’evocazione, da parte del Federico, di persone che avrebbero potuto “far visita” al Lopez per convincerlo a non eseguire il servizio funebre.
E’ assolutamente consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione con le caratteristiche di cui all’art. 416-bis, cod. pen., essendo sufficiente il ricorso a modalità dell condotta che evochino la forza intimidatrice “tipica” dell’agire mafioso essendo perciò l’aggravante configurabile tanto con riferimento ai reati-fine commessi nell’ambito di un’associazione criminale comune, che nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo (cfr., Sez. 6, n. 41772 del 13.6.2017, Vicidomini; Sez. 5, n. 21530 dell’8.2.2018, COGNOME).
La circostanza aggravante del metodo mafioso è, pertanto, configurabile anche a carico di soggetto che non faccia parte di un’associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto (cfr., Sez. 2, n. 38094 del 5.6.2013, De Paola; Sez. 2, n. 16053 del 25.23.2015, Campanella; Sez. 1, n. 5881 del 4.11.2011, COGNOME; Sez. 2, n. 322 del 2.10.2013, COGNOME).
In altri termini, quel che rileva non è la effettiva e reale esistenza di un sodalizio riconducibile a quelli connotati dalle caratteristiche proprie di cui all’art 416-bis cod. pen., ovvero che il reo (o anche i suoi accoliti) ne faccia effettivamente parte, ma il fare ricorso a metodi propri e simili a quelli utilizzat nell’ambito di quelle consorterie criminali, connotate per l’appunto dalla forza intimidatrice pronnanante per l’appunto dalla consapevolezza, da parte delle vittime, che la condotta criminosa di cui sono destinatarie non è riconducibile esclusivamente all’autore materiale della condotta in quel momento da essi subita ma, ben diversamente, che costui possa contare sull’apporto di terzi in grado di
sostenerne l’azione, di vendicarlo se occorre, comunque di intervenire in suo aiuto anche con metodi violenti; con l’effetto, così, di ridurre, per ciò solo, i margini di “resistenza” della persona offesa in tal modo indotta ad accondiscendere “spontaneamente” ed a non reagire rispetto alle illegittime pretese avanzate nei suoi confronti.
Come è stato chiarito, è sufficiente, cioè, che l’esistenza di un sodalizio appaia sullo sfondo, perché evocato dall’agente, inducendo perciò la vittima sia spinta ad adeguarsi al volere dell’aggressore – o ad abbandonare ogni velleità di difesa – per timore di più gravi conseguenze; ciò in quanto “la ratio della disposizione di cui all’art. 7 D. L. 152/1991 non è soltanto quella di punire con pena più grave coloro che commettono reati utilizzando metodi mafiosi o con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisa, stante la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, siano essi partecipi o meno in reati associativi, si comportino da mafiosi, oppure ostentino in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione o quella conseguente intimidazione, propria delle organizzazioni della specie considerata” (cfr., così, Sez. 6, n. 582 del 19.2.1998, Primasso).
È quello che, secondo la ricostruzione operata dai giudici della cautela, era accaduto nel caso di specie ove le condotte minatorie tenute nei confronti del Paris e finalizzate ad impedire a costui di avviare la sua attività in concorrenza con quella del Federico, erano state formulate evocando la figura di NOME COGNOME e l’intervento di soggetti disponibili a supportare l’odierno ricorrente affiancandolo nelle proprie ingiustificate pretese.
Ricorrendo – in termini incontestati – la aggravante del “metodo”, il collegio non può che rilevare la carenza di interesse ad impugnare il provvedimento sul solo versante della “agevolazione”.
L’articolo 568, comma quarto, cod. proc. pen., stabilisce che l’interesse all’impugnazione deve essere concreto e attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l’impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (cfr., Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, COGNOME, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, Bold°, Rv. 202018; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202269; Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, COGNOME, Rv. 206169; Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, COGNOME, Rv. 239397).
In tal seno, ad esempio, questa Corte ha potuto affermare che, in tema di procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò possa incidere sull'”an” o sul “quomodo” della misura (cfr., Sez. 2 , Sentenza n. 17366 del 21/12/2022, dep. 26/04/2023, Rv. 284489 – 01, resa in una fattispecie relativa ad associazione per delinquere di tipo mafioso, in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, in quanto finalizzato alla sola esclusione del ruolo apicale dell’indagato all’interno del sodalizio, elemento privo di riflessi sui presupposti della misura cautelare e sulla sua durata; conf., tra le non massimate, Sez. 3, 10050 del 7.2.2024, COGNOME; Sez. 4, n. 17699 del 9.4.2024, COGNOME; Sez. 5, n. 17179 del 28.2.2024, COGNOME).
Si è pertanto affermato, di recente, che l’indagato non ha interesse a contestare l’aggravante “mafiosa” laddove la misura sia idoneamente fondata, dal punto di vista indiziario, su un reato contemplato tra quelli per i quali è comunque applicabile la presunzione di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. (cfr., Sez. 6, n. 23630 del 5.4.2024, COGNOME e Sez. 6, n. 23629 del 5.4.2024, COGNOME, non massimate; analoga considerazione è stata formulata da Sez. 3, n. 23396 del 30.1.2024, Tundis, del pari non massimata; secondo Sez. 5, 23594 del 28.2.2024, COGNOME, non massimata, ha spiegato che è inammissibile il motivo di ricorso nel quale non sia esplicitato l’interesse a contestare la sussistenza dell’aggravante di terrorismo in riferimento al reato di fabbricazione dell’ordigno esplosivo, non avendo precisato in che termini la stessa incida sull’an o sul quomodo della misura; Sez. 6, n. 21098 del 14.3.2024, COGNOME, pure non massimata, ha affermato che non vi è interesse alla la mera partecipazione al sodalizio integra il fatto costitutivo della presunzione cautelare di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sicché l’esclusione dell’aggravante agevolativa di un sodalizio di stampo mafioso, non produrrebbe per la ricorrente alcuna conseguenza favorevole risultando, peraltro, analogo, il termine di fase; analoga affermazione la si rinviene in Sez. 6, n. 21095, 32096 e 21097 del 14.3.2024, non massimate ma, anche, in Sez. 2, n. 18.120 del 26.3.2024, Pesce, non mass.).
In un’altra occasione, è stato escluso l’interesse dell’indagato ad impugnare il provvedimento applicativo della misura cautelare personale con rifermento al mancato assorbimento del fatto-reato ascrittogli sotto altro titolo di reato, identico ed egualmente sanzionato, poiché dalla pluralità di addebiti non deriva alcuna conseguenza negativa in relazione ai termini di durata della singola misura applicata o sotto altro profilo (cfr., Sez. 6 , n. 5640 del 18/10/2023,
dep. 08/02/2024, COGNOME, Rv. 286063 – 01 che, in motivazione, ha spiegato che siccome fase cautelare “… non si tratta di irrogare pene ma di stabilire se vi siano esigenze di cautela non rileva se il fatto complessivamente oggetto d’incolpazione venga sussunto in una o più ipotesi di reato, qualora, come nel caso specifico, si tratti di fattispecie incriminatrici identiche ed ugualmente sanzionate, poiché dalla pluralità degli addebiti non deriva alcuna conseguenza negativa per l’incolpato, in relazione ai termini di durata della misura cautelare applicatagli o sotto altro profilo”).
Espressione del principio qui affermato è anche quella decisione in cui questa Corte ha fatto presente che in tema di misure cautelari personali, sussiste l’interesse ad impugnare quando l’indagato tende ad ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto dalla quale consegua per lui una concreta utilità, mentre non rileva la sua mera pretesa all’esattezza teorica della decisione che non realizzi alcun vantaggio pratico (cfr., Sez. 6 , n. 46387 del 24/10/2023, Giordano, Rv. 285481 – 01., resa in un caso nel quale si è escluso l’interesse del ricorrente all’inquadramento del fatto ascrittogli nella più lieve fattispecie di cui dell’art. 7 comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, poiché la derubricazione non avrebbe avuto alcuna valenza ostativa rispetto alla misura dell’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria, nelle more disposta dal riesame in sostituzione di quella degli arresti domiciliari).
È dunque del tutto in linea con le premesse sopra richiamate che, anche recentemente, questa Corte – in una fattispecie simile a quella che ci occupa – ha ritenuto inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione dell’indagato che lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione a una soltanto delle imputazioni, nel caso in cui l’eventuale accoglimento del ricorso non comporterebbe alcun vantaggio per il ricorrente, al quale la misura risulti applicata anche per altri titoli di reato (cfr., in tal se Sez. 2 , n. 33623 del 09/06/2023, COGNOME, Rv. 285265 – 01, resa in una fattispecie in cui la misura cautelare era stata emessa, oltre che per il delitto di associazione per delinquere, anche in relazione a numerosi delitti-fine di ricettazione e di riciclaggio, mentre con il ricorso ci si era limitati a contestare l gravità indiziaria con riferimento al solo delitto-mezzo; conf., tra le non massimate, Sez. 2, n. 14970 dell’11.1.2024, COGNOME; Sez. 2, n. 399 del 2.11.2023, NOME).
Tanto premesso, il ricorrente non ha allegato alcun concreto interesse a vedersi “sollevato”, sul piano cautelare, dall’aggravante mafiosa sotto il solo profilo della agevolazione.
2.3 II terzo motivo è manifestamente infondato.
Va rilevato, in primo luogo, che la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. comporta la operatività della presunzione (in tal caso relativa) di cui al terzo comma dell’art. 275 cod. proc. pen. certamente applicabile anche alla fattispecie della estorsione tentata (cfr., in tal senso, Sez. 2 – , n. 23935 del 04/05/2022, Alcamo, Rv. 283176 – 01, in cui la Corte ha ribadito che la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, prevista per i delitti di cui all’art. 51 comma 3-bis, cod. proc. pen., deve intendersi riferita anche ai delitti tentati, aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.; conf. Sez. 2 – , n. 22096 del 03/07/2020, COGNOME, Rv. 279771 – 01, resa in una fattispecie di estorsione ma in cui la Corte ha precisato che si deve, invece, escludere l’operatività delle presunzioni ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. per i delitti tentati in relazione alle ipotesi di reato indicate in modo specifico d legislatore).
Non è inoltre inopportuno ribadire che la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (cfr., Sez. 2 – , n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282766 – 02 che, in motivazione, ha aggiunto che, nella materia cautelare, il decorso del tempo, in quanto tale, possiede una valenza neutra ove non accompagnato da altri elementi circostanziali idonei a determinare un’attenuazione del giudizio di pericolosità).
Tanto premesso, rileva il collegio che, nel caso di specie, il Tribunale abbia motivato, sul punto, in termini incensurabili in questa sede avendo valorizzato da un lato la “seria e concreta offensività delle condotte addebitate a NOME COGNOME” (cfr., pag. 25) ma, anche, la “preoccupante personalità manifestata dall’indagato” (cfr., ivi) il quale, “malgrado la condizione di incensuratezza e l’episodicità della condotta” ha mostrato di avere “… relazioni stabili proficue e durature con soggetti orbitanti nell’ambito della criminalità organizzata di stampo mafioso …” (cfr., ancora, ivi) avendo speso ed essendosi avvalso del potere intimidatorio della consorteria operante sul territorio evocando il proprio rapporto con soggetti apicali quali l’Autolitano con il quale, peraltro, aveva proseguito nel tempo una fattiva collaborazione proprio nell’ambito della attività imprenditoriale da lui gestita.
Del tutto congrua, infine, è la motivazione circa la adeguatezza della misura adottata (cfr., pag. 27).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non emergendo elemento alcuno di esclusione di profili di colpa.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 15.10.2024