Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10224 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10224 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/10/2023 del TRIBUNALE di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, il quale ha insistito nei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di COGNOME NOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Bari che aveva confermato la misura dalla custodia cautelare in carcere nei confronti di COGNOME, indagato per i reati di tentata estorsione e lesioni aggravati ai sensi dell’ari:. 416-bis.1 cod. pen.; secondo il capo di incolpazione, COGNOME, in concorso con altri soggetti, aveva posto in essere atti di violenza (tra cui le lesioni nei confronti di COGNOME NOME, collaboratore occasionale di COGNOME NOME) e minaccia al fine di costringere COGNOME NOME a cedere alla famiglia COGNOME un capannone che lo stesso aveva acquistato nel corso di una procedura di esecuzione immobiliare in danno di NOME, cognata di NOME e NOME.
1.1 Al riguardo il difensore eccepisce l’erroneità dell’ordinanza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto l’esistenza dell’aggravante del metodo mafioso visto che, pur non essendovi alcun rapporto tra il ricorrente e COGNOME NOME, pluripregiudicato che aveva causato le lesioni ad COGNOME, era stata contestata l’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. sull’assunto che i COGNOME fossero vicini al clan RAGIONE_SOCIALE per il tramite di COGNOME NOME, che avrebbe a sua-volta conferito l’incarico a Lavaccca di aggredire NOME per far vendere l’immobile ai COGNOME; tale circostanza si fondava su un servizio di o.c.p. dal quale si sarebbe accertato che COGNOME NOME e il figlio NOME NOME si erano fermati dove abitava COGNOME, senza neppure se si sapesse che i COGNOME erano effettivamente entrati nell’abitazione di COGNOME.
1.2 II difensore rileva che nella denuncia COGNOME aveva riferito di un primo episodio, nel corso del quale non erano state riferite minacce esplicite, e che le minacce di morte erano state rivolte ad un terzo soggetto (COGNOME NOME), che aveva riferito genericamente a COGNOME di essere stato avvicinato da delinquenti baresi, bitontini e calabresi; vi sarebbe poi stato un episodio estorsivo in data 14.1.2023 in cui COGNOME avrebbe minacciato COGNOME in un bar, ma le telecamere installate all’esterno del bar non avevano ripreso l’incontro.
Il difensore osserva inoltre che con l’istanza di riesame era stata eccepita l’inesistenza del danno patrimoniale, in quanto vi era stata una offerta da parte dei COGNOME maggiore di 53.750,00 euro rispetto al prezzo di acquisto dell’immobile da parte di COGNOME, alla quale era stato lasciato aperto uno spiraglio da parte di COGNOME per ulteriori trattative: era quindi evidente che non poteva configurarsi i reato di tentata estorsione, ma semmai quello di violenza privata.
1.3 II difensore eccepisce che la decisione era fondata sulle intercettazioni assunte in violazione dell’art. 267 cod. proc. pen., giacchè prive dei decreti
autorizzativi da parte del giudice per le indagini preliminari: inf intercettazioni tra COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME non erano mai state autorizzate; a nulla poteva valere l’eventuale argomentazione secondo cu mancanza dei decreti autorizzativi ab origine era stata superata dal requisito della assoluta indispensabilità per la prosecuzione delle indagini ex art. 267 comma 1 cod. proc. pen., essendo evidente che il Pubblico Ministero avrebbe potuto sol astratto indicare la indefettibilità dello strumento captativo e l’attual pericolo di perdita di rilevanti dati investigativi in assenza del mezzo di ric
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1 Relativamente alla aggravante del metodo mafioso, si deve osservare come la stessa sia stata ritenuta sussistente, almeno a livello indiziario, n sosta effettuata dai COGNOME presso l’abitazione di COGNOME, ma dalle modalità condotta del ricorrente, evocative dell’esistenza di un gruppo organizzato: si la motivazione contenuta nella terzultima e penultima pagina dell’ordina impugnata, in cui vengono evidenziate le minacce di attentati dinamitardi, la del coindagato COGNOME NOME “quelli quando escono di puliscono”, con ciò intendendo che se anche fosse stato arrestato qualcuno a seguito della denun di COGNOME, qualche appartenente al gruppo lo avrebbe ucciso; tutte circos che hanno indotto la persona offesa la convinzione di essere di fronte ad un gru organizzato, con conseguente sussistenza dell’aggravante.
A tale proposito si deve ribadire che la giurisprudenza di questa Cor costante nel sostenere che ai fini della configurabilità dell’aggr dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991, n. 203, ora art.416-bis.1 cod. pen.,) necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla m ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente m del vincolo associativo. (vedi Sez.2, Sentenza n. 36431 del 02/07/2019, Bruzzes Rv. 277033).
1.2 Quanto al secondo motivo di ricorso, in caso di ricorso per cassazi avverso un provvedimento di riesame in tema di misure cautelari personal allorché sia denunciato vizio di motivazione, le doglianze attinenti alla sussi o meno dei gravi indizi di colpevolezza o delle esigenze cautelari possono assume rilievo solo se rientrano nella previsione di cui all’art. 606 co.. 1 lett. e) c.p.p., se cioè integrano il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione. E
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quindi, dalle funzioni della Cassazione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, essendo questo compito primario ed esclusivo dei giudici di merito e, in particolare, prima, del giudice al quale è richiesta l’applicazione della misura e poi, eventualmente, del giudice del riesame (sez. 2, n. 39504 del 17 settembre 2008).
Nel caso in esame, il tribunale ha evidenziato: a) la credibilità delle dichiarazioni della persona offesa, dalle quali ha ravvisato la sussistenza degli indizi di estorsione aggravata; b) quanto alla sussistenza del danno patrimoniale, che COGNOME non aveva manifestato alcuna volontà di rivendere a COGNOME il bene acquistato, non incidendo quindi in alcun modo l’offerta di COGNOME sulla sussistenza del reato, peraltro già consumatosi.
1.3 Quanto, infine, alla eccezione sulla utilizzabilità delle intercettazioni, deve ribadire che “in tema di intercettazioni telefoniche, la mancata allegazione, da parte del P.M., dei relativi decreti autorizzativi a corredo della richiesta l’applicazione di misure cautelari e la successiva omessa trasmissione degli stessi al Tribunale del riesame a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo, non determina né l’inefficacia della misura né l’inutilizzabilità delle intercettazion ma obbliga il Tribunale ad acquisire d’ufficio tali decreti ove la parte ne faccia richiesta” (Sez.1, n. 823 del 11/10/2016, dep. 10/01/2017, NOME, Rv. 269291); l’affermazione che le intercettazioni erano nulle perché prive dei decreti autorizzativi non può pertanto essere sindacata in sede di legittimità, considerato che la questione avrebbe dovuto essere proposta al tribunale del riesame, in modo tale da consentire la trasmissione degli atti e al tribunale di pronunciarsi sul punto; l’eccezione è comunque generica, posto che non viene precisato di quali intercettazioni si lamenti l’inutilizzabilità
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. peli., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rime:ssione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1-ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto pe provveda a quanto stabilito dal comma 1 -bis del citato articolo.
P.Q.N11.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 a Favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 13/02/2024