Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11925 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11925 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI SALERNO nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a POGGIOMARINO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a PAGANI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/01/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME E.
che ha concluso chiedendo
Il P.G. conclude chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
udito il difensore
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di NOCERA INFERIORE in difesa di COGNOME NOME che conclude chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del ricorso del P.G. e la conferma della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Salerno – investita degli appelli proposti dagli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno in data 16 febbraio 2022 (resa all’esito del giudizio abbreviato) che aveva riconosciuto i predetti responsabili dei delitti loro ascritti (tentato omicidi aggravato dalla premeditazione e dal metodo mafioso, violazione della legge armi con l’aggravante ex art.416-bis.1. cod. pen. e del nesso teleologico, ricettazione ed incendio dell’autovettura utilizzata nell’agguato, con l’aggravante del nesso teleleologico), preso atto della rinuncia a tutti i motivi di gravame fatta eccezione per quello relativo all’aggravante ex art.416-bis.1. cod. pen., ha accolto le impugnazioni ed ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME in anni otto e mesi otto di reclusione e quella inflitta a NOME COGNOME in anni sei e mesi otto di reclusione mediante l’esclusione della citata aggravante, confermando nel resto la gravata sentenza.
1.1. I fatti – per i quali è ormai intervenuto un accertamento irrevocabile di responsabilità a carico di entrambi gli imputati ad eccezione del profilo riguardante la citata aggravante del metodo mafioso – riguardavano il tentato omicidio di NOME COGNOME (ex collaboratore di giustizia), posto in essere dai predetti in San Marzano sul Sarno il pomeriggio del giorno 13 aprile 2021 nelle vicinanze del locale cimitero; in particolare i due – dopo essere scesi dall’auto condotta da COGNOME (risultata oggetto di furto e poi bruciata dopo l’agguato per cancellare eventuali tracce) che precedeva quella alla cui guida si trovava NOME COGNOME – avevano esploso numerosi colpi di pistola verso il motore dell’auto della vittima per bloccarne la corsa, nonché in direzione di COGNOME che era stato attinto all’avambraccio sinistro.
1.2. Come sopra esposto/ la Corte territoriale ha escluso l’aggravante del metodo mafioso rispetto al tentato omicidio ed alla violazione della legge armi ritenendo – al contrario del primo giudice – che la circostanza che i due sicari avessero agito in luogo isolato, in pieno giorno (ore 15:30), con volto travisato (dalle mascherine anti COVID) ed esplodendo numerosi colpi non fossero elementi sufficienti per la sussistenza della citata aggravante. In particolare, a parere della Corte distrettuale, non era dirimente la circostanza che NOME
fosse uscito dal carcere agli inizi del 2020 (dopo numerosi anni di detenzione sofferti per reati di mafia) e che la vittima fosse un ex collaboratore di giustizia uscito da pochi mesi dallo speciale programma di protezione, tenuto conto della differenza di età tra i due e soprattutto della circostanza che NOME COGNOME aveva commesso reati sin dagli anni ’90, allorquando la vittima era ancora in tenera età e che le modalità esecutive del caso di specie erano tipiche anche di reati non collegati con la criminalità organizzata.
Avverso la predetta sentenza il Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen., insisten per l’annullamento del provvedimento impugnato rispetto alla esclusione dell’aggravante in oggetto.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione rispetto alla esclusione dell’aggravante ex art.416-bis.1. cod. pen.; al riguardo osserva che la Corte territoriale non avrebbe fornito una adeguata spiegazione, tenuto conto che il primo giudice aveva invece considerato sussistente l’aggravante medesima dando rilievo al senso ed alla causale dell’attentato da individuarsi nella rivalità per il controllo criminale del medesimo territorio tra COGNOME ed Amoroso, a seguito della uscita dal programma di protezione e della ripresa delle attività criminali da parte del secondo. Inoltre, il Giudice per le indagini preliminari aveva valorizzato, ai fini che qui interessano, la progettazione dell’agguato che era stata frutto di una laboriosa organizzazione nonché le modalità esecutive sopra indicate.
2.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art.416-bis.1. cod. pen. poiché la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto che per la configurabilità del metodo mafioso ciò che rileva e che le modalità della condotta evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza ed illogicità della motivazione laddove, per escludere l’aggravante in parola, si sarebbe operato un generico ed
inconferente richiamo al fatto che le modalità utilizzate per l’attentato fossero comuni anche a reati passionali o per motivi economici.
Alla udienza di discussione le parti hanno concluso nei termini sopra trascritti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Al riguardo deve ricordarsi che il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado o, come nel caso di specie, escluda una aggravante (peraltro ad effetto speciale) deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata.
In sostanza, nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio (anche parziale) di una sentenza di condanna, il giudice di appello non ha l’obbligo di fornire una motivazione c.d. ‘rafforzata’ , ma è comunque tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado (Sez. U, Sentenza n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 – 01).
La sentenza impugnata risulta rispettosa dei sopra richiamati principi avendo fornito una adeguata motivazione ed una ragionevole giustificazione della diversa conclusione cui è pervenuta, rispetto alla decisione di primo grado, in ordine all’aggravante in oggetto.
3.1.E’ noto che/ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso, di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art.416-bis.1. cod. pen.) / non occorre che sia dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo necessario solo che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti, sicché, una volta accertato l’utilizzo del metodo mafioso, l’aggravante, avente natura oggettiva, si
applica a tutti i concorrenti nel reato, ancorché le azioni di intimidazione e minaccia siano state materialmente commesse solo da alcuni di essi (Sez. 2 – , Sentenza n. 32564 del 12/04/2023, Rv. 285018 – 02).
3.2. Ciò posto deve evidenziarsi che il primo giudice aveva ritenuto sussistente l’aggravante in questione sulla base delle modalità della condotta, consistita in una vera e propria esecuzione posta in essere da soggetti travisati, espressiva di una portata intimidatoria amplificata ed anche simbolica, tenuto del luogo dove era avvenuta. Inoltre, dalle intercettazioni effettuate, era emerso che l’agguato andava collocato nell’ambito di una contrapposizione determinata da finalità di controllo del territorio da parte di NOME COGNOME e della vittima, entrambi attivi nell’ambito delinquenziale della medesima zona (pagg.18 e ss. sentenza di primo grado).
Orbene, a fronte di tale argomentazione, la Corte territoriale – al fine di escludere la sussistenza del metodo mafioso rispetto alle modalità esecutive del tentato omicidio – ha dato coerente rilievo al fatto che il modo in cui si era svolto il ferimento non era esclusivo di azioni riconducibili ad organizzazioni mafiose, atteso che l’agguato era avvenuto nei pressi di un cimitero (quindi in una zona non residenziale e popolata) e con gli imputati travisati da mascherine, a differenza di quanto solitamente avviene negli agguati di stampo mafioso, in cui i sicari agiscono a volto scoperto perché sicuri che il potere intimidatorio tipico di siffatte organizzazioni criminali induce eventuali testimoni a tacere al fine di evitare eventuali ritorsioni.
Tale argomentazione, quindi, risulta adeguata ed esente da vizi illogici f tenuto anche conto che la Corte territoriale ha richiamato anche la differenza di età tra NOME COGNOME e la vittima, per evidenziare l’assenza di elementi a conferma di contrasti tra i clan camorristici ai quali i due soggetti avevano rispettivamente fatto parte. Inoltre, va ricordato che le modalità preparative dell’agguato sono state contestate ai due imputati con riferimento alla sussistenza della premeditazione (cfr. capo di imputazione) e che esse, in ogni caso, non confermano di per sé sole la sussistenza del metodo mafioso, in assenza del profilo oggettivo e soggettivo per le ragioni esplicitate dalla Corte territoriale.
4.1. La sentenza impugnata, quindi, si è adeguatamente e razionalmente confrontata con le argomentazioni di segno contrario esposte nella decisione di
primo grado e ha analizzato, in modo non manifestamente illogico, ciascuno degli elementi di fatto ivi ritenuti dimostrativi della aggravante del metodo mafioso per invece escluderla.
Ne consegue che il ricorrente – pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione – suggerisce una non consentita lettura alternativa del materiale processuale, rispetto a quella coerentemente effettuata dalla Corte di appello per giustificare la riforma ‘in melius’ della sentenza di primo grado.
In conclusione il ricorso deve essere respinto senza la condanna al pagamento delle spese processuali essendo il ricorrente parte pubblica (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3775 del 21/12/2017, Rv. 271650).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2024.