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Metodo mafioso: quando la minaccia è implicita

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due soggetti accusati di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Gli imputati avevano richiesto a un commerciante il pagamento del ‘pizzo’. La Corte ha stabilito che per configurare l’aggravante non è necessaria l’appartenenza a un clan, né una minaccia esplicita, ma è sufficiente l’utilizzo di modalità intimidatorie che evochino la forza di un’associazione criminale, come la richiesta di pizzo in un territorio ad alta densità mafiosa.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Metodo Mafioso: la Cassazione conferma l’aggravante anche con minacce implicite

L’aggravante del metodo mafioso rappresenta uno degli strumenti più incisivi nel contrasto alla criminalità organizzata. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i contorni applicativi di questa circostanza, specificando come anche una minaccia implicita, ma inequivocabile, sia sufficiente a configurarla. Il caso analizzato riguarda una richiesta estorsiva, il cosiddetto ‘pizzo’, avanzata nei confronti di un commerciante.

I Fatti di Causa

Il Tribunale di Napoli, in sede di riesame, confermava una misura cautelare in carcere per due individui accusati del reato di tentata estorsione. L’accusa era aggravata dall’uso del metodo mafioso. Nello specifico, i due avevano richiesto a un commerciante il pagamento di una somma settimanale di 500 euro per poter continuare a svolgere la propria attività in un comune dell’hinterland napoletano. Uno degli indagati aveva persino menzionato il proprio soprannome, riconducibile a un noto clan della zona.

Contro questa decisione, gli indagati proponevano ricorso per cassazione, sostenendo l’insussistenza dell’aggravante. A loro dire, le parole usate non integravano una minaccia tipicamente mafiosa, i loro precedenti penali non dimostravano un’appartenenza a organizzazioni camorristiche e la vittima non si era sentita intimidita. Inoltre, uno dei due ricorrenti sosteneva di non aver posto in essere alcuna condotta espressiva del metodo mafioso.

Le Motivazioni della Cassazione sul Metodo Mafioso

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati. I giudici hanno colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale in materia di estorsione aggravata. Per la configurazione dell’aggravante del metodo mafioso, prevista dall’art. 7 del D.L. n. 152/1991, non è necessaria l’effettiva appartenenza dell’agente a un’associazione criminale. Ciò che rileva è l’utilizzo obiettivo di una forza intimidatrice che evochi quella di un’organizzazione mafiosa, tale da creare nella vittima una condizione di assoggettamento e omertà.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente evidenziato come la richiesta esplicita del ‘pizzo’ – definita come il versamento di una somma di denaro a cadenza determinata per poter lavorare in un territorio ad alta densità criminale – costituisca di per sé una minaccia implicita ma inequivocabile. La richiesta, unita all’indicazione del soprannome di uno degli indagati, noto come facente parte del clan locale, ha chiaramente evocato l’esistenza e la forza di un’organizzazione di stampo mafioso, rendendo superflua qualsiasi altra minaccia esplicita.

La Corte ha richiamato un proprio precedente (sent. Gallo, n. 32/2017) in cui si era già chiarito che pretendere denaro in un territorio controllato da una cosca, con frasi come ‘Vedi che ti trovi in una zona dove devi pagare qualcosa’, integra pienamente la circostanza aggravante in esame.

Conclusioni

La decisione in commento consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’aggravante del metodo mafioso ha una valenza oggettiva. Non conta tanto che l’autore del reato sia formalmente un ‘mafioso’, quanto che il suo comportamento richiami, anche implicitamente, la forza intimidatrice e la capacità di sopraffazione tipiche di tali organizzazioni. La richiesta del ‘pizzo’, in contesti territoriali notoriamente controllati dalla criminalità, è considerata dalla giurisprudenza un’espressione paradigmatica di tale metodo, capace di incutere timore e imporre sottomissione a prescindere da minacce verbali o fisiche dirette.

È necessario essere affiliati a un clan per commettere un reato con l’aggravante del metodo mafioso?
No. Secondo la sentenza, per la configurazione dell’aggravante non è necessaria l’effettiva appartenenza dell’agente a un’associazione criminale, ma è sufficiente l’utilizzo oggettivo di modalità intimidatorie che evochino la forza di un’organizzazione mafiosa.

Una minaccia deve essere esplicita per configurare il metodo mafioso in un’estorsione?
No. La Corte ha stabilito che anche una minaccia implicita ma inequivocabile è sufficiente. La richiesta di pagamento del ‘pizzo’ in un territorio sotto il controllo di una cosca criminale integra di per sé una minaccia idonea a configurare l’aggravante.

Cosa rileva per la configurazione dell’aggravante del metodo mafioso?
Rileva l’utilizzo di una forza intimidatrice che richiama quella di un’organizzazione mafiosa, capace di generare nella vittima uno stato di assoggettamento e omertà. Elementi come la richiesta del ‘pizzo’ o l’indicazione di un soprannome legato a un clan locale sono considerati sufficienti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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