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Metodo mafioso: l’aggravante si estende ai complici

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati condannati per estorsione aggravata dal metodo mafioso. La Corte ha ribadito che tale aggravante ha natura oggettiva e si estende a tutti i concorrenti nel reato, anche a chi non ha posto in essere personalmente le minacce. Richiedere denaro per “i carcerati” o offrire “protezione” sono state considerate condotte che integrano pienamente l’aggravante.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estorsione e metodo mafioso: quando l’aggravante si applica a tutti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 27164 del 2025, offre importanti chiarimenti sull’applicazione dell’aggravante del metodo mafioso nei reati di estorsione commessi in concorso. Questa pronuncia è fondamentale per comprendere come la responsabilità penale si estenda a tutti i partecipanti, anche a coloro che non hanno agito materialmente con minacce esplicite.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda due soggetti condannati in appello per i reati di estorsione consumata e tentata ai danni del titolare di un’attività commerciale. Insieme a un terzo complice, giudicato separatamente, gli imputati avevano ripetutamente chiesto denaro alla vittima, giustificando la richiesta come un aiuto per “i carcerati”. Inoltre, avevano cercato di imporre la loro gestione sull’esercizio commerciale della persona offesa.

I due condannati hanno presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse obiezioni. Il primo sosteneva di non aver mai utilizzato personalmente il metodo mafioso, attribuendo tali condotte esclusivamente al coimputato. Il secondo, invece, affermava di aver agito come mediatore nell’interesse della vittima e di non essere a conoscenza delle modalità mafiose utilizzate dagli altri.

L’applicazione del metodo mafioso in concorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendoli manifestamente infondati. Il punto centrale della decisione riguarda la natura della circostanza aggravante del metodo mafioso. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: questa aggravante ha natura oggettiva. Ciò significa che, una volta accertato il suo utilizzo nel contesto del reato, essa si comunica e si applica a tutti i concorrenti, a prescindere dal ruolo specifico di ciascuno. Non è necessario che ogni singolo partecipante abbia posto in essere atti di intimidazione o minaccia, essendo sufficiente la consapevolezza di partecipare a un’azione criminale che si avvale di tale forza intimidatrice.

Le Motivazioni

La Corte ha specificato che integrare l’aggravante del metodo mafioso non richiede necessariamente la menzione esplicita di un’organizzazione criminale. Condotte come la richiesta di denaro per “gli amici carcerati” o l’offerta di “protezione” sono di per sé sufficienti a evocare quella forza intimidatrice tipica delle associazioni mafiose, capace di generare assoggettamento nella vittima.

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che uno degli imputati aveva fatto esplicito riferimento alla sua capacità di “comandare nel territorio”, evocando così la presenza di un’organizzazione in grado di esercitare un controllo capillare e di offrire protezione, prestazioni tipiche dei sodalizi criminali. Anche l’altro imputato, secondo la ricostruzione dei giudici, aveva partecipato pienamente al proposito estorsivo, veicolando le richieste illecite e agendo con modalità violente.

La Cassazione ha inoltre rigettato le doglianze relative alla mancata concessione delle attenuanti generiche. I giudici hanno sottolineato che la valutazione si basa su un giudizio complessivo della personalità dell’imputato e della gravità del fatto, e il mancato riconoscimento può essere giustificato anche da un solo elemento negativo, come i gravi precedenti penali.

Le Conclusioni

Questa sentenza conferma che la lotta all’intimidazione di stampo mafioso passa anche attraverso un’interpretazione rigorosa delle norme. La natura oggettiva dell’aggravante del metodo mafioso assicura che chiunque partecipi a un’azione criminale connotata da tale modalità intimidatoria risponda pienamente della sua gravità. La decisione serve da monito: la semplice partecipazione a un piano estorsivo che si avvale di un’aura di mafiosità è sufficiente per vedersi applicare un trattamento sanzionatorio più severo, senza possibilità di distinguere le posizioni sulla base del contributo materiale di ciascun concorrente.

Quando si applica l’aggravante del metodo mafioso a tutti i concorrenti di un reato?
L’aggravante del metodo mafioso si applica a tutti i concorrenti nel reato quando ha natura oggettiva, cioè quando la violenza o la minaccia assumono la forza intimidatrice tipica di un’associazione criminale. Una volta accertato l’uso di tale metodo, l’aggravante si estende a tutti i partecipanti, anche a chi non ha commesso materialmente le minacce, ai sensi dell’art. 59, comma 2, del codice penale.

La richiesta di denaro per “i carcerati” è sufficiente per configurare il metodo mafioso?
Sì. Secondo la Corte, la condotta di chi prospetta che le somme estorte serviranno ad aiutare le famiglie degli “amici carcerati” integra la circostanza aggravante, perché il mezzo di coartazione della volontà fa ricorso al vincolo mafioso e alla connessa condizione di assoggettamento, che può esprimersi anche in forma indiretta o implicita.

Perché la Corte può negare le circostanze attenuanti generiche?
La Corte può negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche basando la sua decisione anche su un solo elemento ritenuto prevalente. Nel caso di specie, il mancato riconoscimento è stato giustificato dai gravi precedenti penali degli imputati e dalle gravi modalità del fatto, elementi sufficienti a motivare il diniego del beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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