Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30223 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30223 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI CATANZARO nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME NOME nato a COSENZA il 7/07/1970
avverso la sentenza del 2/12/2024 della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
uditi, per l ‘ imputato, gli avv.ti COGNOME e COGNOME i quali hanno concluso, rispettivamente, associandosi alle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale e chiedendo che il ricorso venga rigettato o, in subordine, che venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 2 dicembre 2024, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza in data 15 ottobre 2019 con la quale NOME COGNOME era stato assolto, perché il fatto non sussiste, dal reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale di cui all ‘ art. 336 cod. pen., in relazione al quale gli era stato contestato di avere rivolto minacce gravi all ‘ assessore del comune di Rende, NOME COGNOME per costringerlo a compiere atti contrari ai propri doveri e a omettere atti dell ‘ ufficio (capo A) e con la quale, esclusa la circostanza aggravante di cui all ‘ art. 416bis .1, cod. pen., l’imputato era anche stato prosciolto, per difetto di querela, dal delitto previsto dall ‘ art. 612, comma secondo, cod. pen., per avere minacciato NOME di ritorsioni all ‘ atto della scarcerazione del fratello, facente parte di una cosca ‘ ndranghetistica (capo B).
1.1. Secondo quanto ritenuto in sede di merito, rispetto al delitto di minaccia grave di cui al capo B), l ‘ aggravante di cui all ‘ art. 416bis .1, cod. pen., rilevante per renderlo procedibile d ‘ ufficio, doveva essere esclusa in quanto COGNOME non aveva fatto riferimento, nella sua minaccia di ritorsioni, alla cosca mafiosa COGNOME, ma soltanto a ll’esistenza di un fratello detenuto , NOME COGNOME , con ciò forse contando sulla capacità intimidatoria sottesa alla pericolosità di costui, ma non necessariamente a quella di una cosca mafiosa, alla quale COGNOME non aveva percepito alcun riferimento, a poco rilevando che, nelle sentenze acquisite, fosse stato accertato che NOME COGNOME era effettivamente inserito nella cosca COGNOME, posto che tale fatto era ignorato dalla vittima.
Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all ‘ art. 416bis .1 cod. pen., rilevante ai fini della procedibilità del delitto contestato al capo B). La sentenza impugnata non terrebbe conto del fatto che, per costante giurisprudenza, non rilevano i concreti stati soggettivi delle vittime, né che i destinatari non siano rimasti intimiditi e che il male minacciato non sia stato realizzato. Invero, l ‘ imputato aveva assunto un ‘ fare mafioso ‘ , diretto a evocare, nella vittima, la forza contrattuale illecita di lui e della sua ‘ famiglia ‘ , il cui carattere mafioso sarebbe emerso dalle pronunce richiamate nella sentenza di primo grado. Inoltre, l ‘ imputato avrebbe prospettato l’esistenza di un ‘ ulteriore attività aggressiva ad opera del fratello, elemento di vertice della cosca COGNOME, in quel momento sottoposto al regime detentivo previsto dall ‘ art. 41bis Ord. pen. Tale frase, valutata nel contesto in cui era stata proferita, integrerebbe il metodo mafioso,
non rilevando che il soggetto passivo non sapesse che il fratello dell ‘ imputato fosse associato a un sodalizio di ‘ ndrangheta , circostanza di cui era, invece, consapevole l ‘ imputato, il quale, facendosi forte di tale condizione, aveva ventilato futuri danni ingiusti ai danni della persona offesa, non appena il fratello fosse stato scarcerato. Inoltre, nelle parole dell ‘ imputato vi sarebbero stati riferimenti concreti a nomi di ‘ ndranghetisti (il f ratello detenuto, elemento di spicco della cosca COGNOME) e alla famiglia COGNOME all ‘ interno di un contesto ambientale di radicamento di mafie storiche. Il riferimento al fratello e alla ‘ famiglia ‘ sarebbe stato collegato alla circostanza, tipica della criminalità organizzata, di controllare il territorio a tal punto da impedire il rilascio di una licenza a soggetti diversi da quelli collegati alla cosca. Altrettanto irrilevante sarebbe che la vittima non fosse stata consapevole di possibili collegamenti del fratello dell ‘ imputato all ‘ ambiente mafioso, posto che, per l ‘ integrazione dell ‘ aggravante del cd. metodo mafioso, non occorrerebbe che l ‘ autore appartenga o sia legato alla criminalità organizzata.
In data 16 giugno 2025 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
La Corte di appello ha ricostruito le modalità con cui NOME COGNOME aveva rivolto le minacc e all’assessore al commercio, cultura e turismo, NOME COGNOME ritenendo che il riferimento alla prossima liberazione di un soggetto detenuto e alla ritorsione che costui avrebbe attuato ai danni della persona offesa non fosse idonea ad evocare la capacità intimidatoria di una cosca mafiosa. Ciò in quanto le espressioni utilizzate, ancorché di carattere intimidatorio, non erano idonee a produrre, sulla persona offesa, quella particolare coartazione psicologica derivante dall ‘ organizzazione criminale, non avendo NOME COGNOME fatto alcun riferimento alla cosca mafiosa COGNOME e non avendo l’assessore COGNOME percepito, al momento del fatto, lo spessore criminale del fratello dell ‘ imputato e, soprattutto, la sua appartenenza alla suddetta cosca.
Consegue a quanto appena evidenziato che le argomentazioni su cui si fonda l’odierno ricorso sembrano muovere da una differente ed alternativa cornice fattuale rispetto a quella ricostruita dalla sentenza impugnata.
Infatti, sia l ‘ odierna impugnazione, sia il precedente atto di appello, hanno fatto riferimento alla circostanza – che in realtà la sentenza impugnata non consente di
confermare come accertata – che NOME COGNOME avesse fatto cenno, nel proferire la minaccia, a un parente legato alla criminalità organizzata e detenuto per reati di mafia e che l’assessore COGNOME avesse detto di essere a conoscenza che l ‘ imputato aveva dei legami con la criminalità organizzata.
Al contrario, come anticipato, la Corte di appello dà per accertato che il destinatario delle espressioni minacciose non fosse consapevole della qualità soggettiva della persona che, una volta scarcerata, avrebbe potuto attuare le ritorsioni promesse. Tale punto centrale, dunque, non consente di accedere alla tesi del ricorrente secondo cui sarebbe irrilevante la capacità intimidatoria delle espressioni utilizzate o la mancata concretizzazione del male minacciato. Ciò che viene in rilievo, nel caso esaminat o, non è, infatti, l’esistenza della minaccia, quanto la configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 416 -bis .1 cod. pen., essenziale per la procedibilità d’ufficio del delitto contestato al capo B). Un’aggravante che, sub specie metodo mafioso, postula ovviamente, nel destinatario dell’azione illecita , la percezione d i un’ evocazione del suo legame con un contesto mafioso (Sez. 2, n. 28061 del 22/05/2024, COGNOME, Rv. 286723 -01; alla percezione della persona offesa fa riferimento anche Sez. 1, n. 3861 del 13/01/2009, COGNOME, Rv. 242442 – 01). Diversamente opinando si finirebbe per irragionevolmente affermare che in territori segnati dalla presenza di organizzazioni mafiose una minaccia, pur attuata senza alcun collegamento con l’azione di tali organizzazioni o vvero senza che la persona offesa lo percepisca come tale, sarebbe sempre attuata con metodo mafioso. Nel caso in esame, come detto, la sentenza impugnata ha motivatamente escluso l’aggravante in questione per l’assenza di intelleggibili riferimenti a un c ontesto di criminalità organizzata; riferimenti che il ricorso deduce, invece, essere stati rappresentati. Ebbene, come condivisibilmente osservato nella requisitoria del Procuratore generale, l’impugnazione, al fine di sostenere tale prospettazione, avrebbe dovuto, al limite, dedurre un qualche travisamento probatorio, invero mai indicato, posto che le censure articolate in ricorso, in realtà, paiono suggerire unicamente un diverso apprezzamento delle prove, ovviamente precluso in sede di legittimità.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso del P.M.
Così deciso in data 8 luglio 2025