Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9476 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9476 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Lannezia Terme il giorno 30/8/1991
rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 5/4/2024 della Corte di Appello di Catanzaro
COGNOME NOMECOGNOME nato a Lamezia Terme il giorno 29/8/1986 visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che è stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
lette le conclusioni della parte civile Comune di Lamezia Terme a firma dell’avv. NOME COGNOME con le quali si sono chieste la conferma della affermazione della penale responsabilità degli imputati e della condanna degli stessi al risarcimento dei danni a favore della parte civile con ulteriore condanna al ristoro delle spese del grado come da nota allegata.
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME ed in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME, riportandosi per entrambi ai motivi di ricorso dei quali ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 5 aprile 2024 la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza in data 12 ottobre 2018 del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati dichiarati colpevoli:
il COGNOME di violazione della legge sulle armi (capo 1 della rubrica delle imputazioni), di concorso in tentata estorsione continuata ai danni di NOME COGNOME titolare di un bar denominato “RAGIONE_SOCIALE” (capo 3), di concorso nel danneggiamento aggravato del cancello e dell’ingresso della predetta attività commerciale (capo 4), di violazione della legge sulle armi, nella specie una pistola da considerarsi arma clandestina (capo 6), di ricettazione della predetta pistola (capo 7), di concorso in tentata estorsione continuata ai danni di NOME COGNOME titolare di un esercizio commerciale denominato “RAGIONE_SOCIALE” (capo 8), nonché di concorso nel danneggiamento aggravato della serranda del predetto esercizio commerciale (capo 9); reati tutti aggravati ex art. 7 I. 203/91 (oggi art. 416-bis.1 cod. pen.) dal fatto di essersi avvalso delle condizioni previste dall’art. 416-bi cod. pen. ovvero di avere agito con il fine di agevolare l’attività di una associazione per delinquere di tipo ‘ndranghetistico denominata cosca COGNOME;
il Paradiso di violazione della legge sulle armi, nella specie una pistola da considerarsi arma comune da sparo (capo 10), di concorso in tentata estorsione continuata ai danni di COGNOME Greco titolare dell’attività commerciale “RAGIONE_SOCIALE” (capo 12), nonché di concorso nel danneggiamento aggravato delle vetrine e dell’ingresso del predetto esercizio commerciale (capo 13); reati tutti aggravati ex art. 7 I. 203/91 (oggi art. 416-bis.1 cod. pen.) dal fatto di essers avvalso delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. ovvero di avere agito con il fine di agevolare l’attività di una associazione per delinquere di tip ‘ndranghetistico denominata cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri.
Prima di proseguire oltre è doveroso evidenziare che una prima sentenza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro in data 8 luglio 2020 era stata oggetto di annullamento senza rinvio disposto dalla Corte di cassazione con sentenza in data 26 gennaio 2022 in quanto, successivamente alla pronuncia della sentenza di appello, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione in data 18 ottobre 2021 aveva accolto il ricorso di NOME COGNOME avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza di ricusazione del presidente del collegio giudicante che aveva emesso la sentenza impugnata.
Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati, deducendo:
2.1. per Cerra:
2.1.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 192 cod. proc. pen. in relazione ai capi 1, 3 e 4 della rubrica delle imputazioni.
Deduce al riguardo la difesa del ricorrente l’insussistenza di un quadro probatorio idoneo ad affermare la penale responsabilità del COGNOME in ordine ai fattireato di cui ai predetti capi.
In particolare, la penale responsabilità dell’imputato non potrebbe essere fondata sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME già ritenuto inattendibile dalla Prima Sezione penale della cassazione con sentenza n. 46533/2017 in sede di incidente cautelare in quanto lo stesso dapprima aveva narrato la vicenda come se fosse stato partecipe diretto della stessa mentre in un secondo tempo ha riferito di avere appreso della stessa dal racconto del ricorrente.
Prosegue, poi la difesa del ricorrente evidenziando i contrasti esistenti tra il narrato del Muraca e le dichiarazioni di altro collaboratore di giustizia, NOME COGNOME
A ciò si aggiunge il fatto che neppure le persone offese hanno mai fatto riferimento al Cerra.
2.1.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 192 cod. proc. pen. in relazione ai capi 6, 7, 8 e 9 della rubrica delle imputazioni.
Deduce, al riguardo, la difesa del ricorrente l’inconciliabilità delle dichiarazion rese dal collaboratore di giustizia COGNOME con quelle dell’altro collaboratore NOME COGNOME.
Le dichiarazioni del COGNOME sarebbero contraddittorie e frutto di una progressione dichiarativa e comunque sarebbe provato che l’arma da fuoco indicata dallo stesso come quella utilizzata per l’effettuazione del danneggiamento era stata sottoposta a sequestro due mesi prima dei fatti (il 14 dicembre 2011) ed anche a tale questione i giudici di merito non avrebbero dato risposta.
A ciò si aggiunge che neppure sarebbero concordanti le dichiarazioni del COGNOME con quelle dell’Arzente in relazione alla volontà del Cerra di riprendersi un motociclo che era stato ceduto al COGNOME e dei contrasti esistenti tra Cerra e Cortese proprio in relazione al relativo passaggio di proprietà del mezzo.
2.1.3. Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione agli artt. 392, 393 e 629 cod. pen.
Si duole la difesa del ricorrente della mancata riqualificazione del contestato reato di estorsione in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Dopo avere richiamato giurisprudenza in materia, evidenzia la difesa del ricorrente che, essendo stato colpito l’esercizio commerciale della moglie del Cortes, ciò consentirebbe di addivenire all’invocata riqualificazione della condotta.
2.1.4. Violazione di legge in relazione all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Si duole la difesa del ricorrente dell’assenza di prova in relazione alla ritenuta sussistenza della predetta circostanza aggravante sotto il profilo dell’uso del metodo mafioso difettando la rappresentazione di un gruppo organizzato da parte degli autori della stessa.
2.1.5. Violazione di legge in relazione all’art. 628 comma 3 cod. pen.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che erroneamente la configurabilità di detta circostanza aggravante è stata ricollegata al solo fatto che il COGNOME ha riportato condanna per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
2.1.6. Violazione di legge in relazione agli artt. 133 e 62-bis cod. pen. in relazione alla commisurazione della pena.
Si duole la difesa del ricorrente del mancato riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche e del mancato adeguamento del trattamento sanzionatorio alle reali conseguenze dei fatti in contestazione.
2.2. per Paradiso:
2.2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen., 56, 629, 635 cod. pen. 10, 12 e 14 I. 497/74 con riferimento ai capi 10, 12 e 13 della rubrica delle imputazioni.
Con un unico articolato motivo di ricorso evidenzia parte ricorrente:
che già il G.u.p. che aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare aveva ritenuto inidonee a configurare la gravità indiziaria le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno dichiarato che il COGNOME riferì loro di essere stato l’autore dell’azione delittuosa danni del parrucchiere “NOME“;
che la Corte di appello avrebbe, pertanto, erroneamente ritenuto di natura confessoria le dichiarazioni rese dall’imputato ai predetti soggetti;
che la Corte di appello di Catanzaro con la propria sentenza in data 8 luglio 2020 ha assolto NOME COGNOME indicato dai collaboratori di giustizia come concorrente nella medesima azione delittuosa;
che la Corte di cassazione con le sentenze emesse in materia cautelare a seguito di rigetto di applicazione di misura cautelare ha di fatto evidenziato l’assenza di attendibilità del collaboratore COGNOME e comunque l’insufficienza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia a confortare la tesi accusatoria;
che secondo consolidata giurisprudenza di legittimità due dichiarazioni de relato provenienti dalla medesima fonte non possono considerarsi come riscontrare l’una con l’altra.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME è manifestamente infondato in tutte le sue articolazioni.
Occorre, innanzitutto, rilevare che l’affermazione della penale responsabilità del COGNOME è stata affermata, in c.d. “doppia conforme” dai Giudici di entrambi i gradi di merito i quali hanno positivamente valutato l’attendibilità dell dichiarazioni rese dai Collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME, dichiarazioni sulle quali si fonda l’affermazione della penale responsabilità del COGNOME in ordine alle due vicende estorsive rispettivamente consumate ai danni del bar “Millenium” e dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” ed ai connessi reati di violazione della legge sulle armi e di danneggiamento aggravato.
Va detto subito che la sentenza impugnata risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente.
2.1. Quanto, in particolare, al tentativo di estorsione ai danni del bar “RAGIONE_SOCIALE” i Giudici di entrambi i gradi di merito, con sentenze che, in quanto conformi, tra loro si integrano, hanno evidenziato:
che il collaboratore di giustizia COGNOME è innanzitutto confesso circa le richieste estorsive indirizzate dallo stesso collaboratore al titolare del predett esercizio commerciale e che lo stesso ha riferito di essersi recato con il Cerra ed il Paradiso presso il bar e di essersi lui – in quanto più “esperto” – interfacciato con i titolari dell’esercizio commerciale (i fratelli COGNOME);
che lo stesso COGNOME ha poi riferito di avere appreso dallo stesso COGNOME dell’esplosione dei colpi d’arma da fuoco all’indirizzo del cancello e dell’ingresso del bar;
che le dichiarazioni del COGNOME risultano riscontrate dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che in compagnia del Cerra ha affermato di essere stato presente all’azione intimidatoria compiuta da quest’ultimo;
che le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia hanno trovato ulteriore riscontro nelle dichiarazioni dei fratelli NOME ed NOME COGNOME che hanno confermato che il loro esercizio commerciale era stato attinto da colpi d’arma da fuoco, nonché dal fatto che le Forze dell’ordine, seppure in un momento successivo
in quanto l’azione non era stata denunciata nell’immediatezza dalle persone offese, hanno rinvenuto segni dell’azione delittuosa;
che in un primo tempo NOME COGNOME ha riferito che nell’autunno del 2011 era entrato nel suo bar un soggetto con fare spavaldo, che aveva poi riconosciuto nel Muraca leggendo su giornali del tentato omicidio ai danni dello stesso (dichiarazione poi successivamente modificata con riferimento all’arresto e non al tentato omicidio), il quale lo aveva invitato a “mettersi a posto” per la lor “tranquillità”;
che sebbene le dichiarazioni dei titolari dell’esercizio commerciale appaiano parzialmente reticenti, in quanto gli stessi non si rivolsero alle forze dell’ordine preferirono rivolgersi ai parenti dei loro estorsori che ben conoscevano, non sono emerse contraddizioni tra le dichiarazioni del COGNOME e quelle delle persone offese;
che non v’è dubbio che la richiesta estorsiva sia stata avanzata in nome del gruppo malavitosi del quale gli stessi erano parte.
A ciò si aggiunge che la Corte di appello, dopo aver dato atto che le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia si riscontrano reciprocamente, ha anche dato congrua risposta (v. pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata) alle ulteriori contestazioni contenute nell’atto di appello in relazione a tale episodio.
2.2. Quanto, poi, alla vicenda estorsiva ai danni dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” anche in questo caso i Giudici di entrambi i gradi di merito hanno evidenziato:
che l’affermazione della penale responsabilità del COGNOME trova il proprio fondamento nelle dichiarazioni del COGNOME, il quale ha affermato di avere appreso della vicenda sia da NOME COGNOME durante un periodo (accertato in fatto) di comune detenzione, sia, successivamente, dallo stesso autore del fatto;
che le dichiarazioni del COGNOME hanno trovato riscontro in quelle dell’Arzente che ha riferito di essere stato presente al momento in cui il Cerra, utilizzando una pistola in dotazione al gruppo, esplose i colpi d’arma da fuoco all’indirizzo delle serrande dell’esercizio commerciale;
che non vi è alcuna contraddizione nelle dichiarazioni dell’Arzente in relazione alla dinamica dell’azione intimidatoria (v. pag. 12 della sentenza di appello);
che non v’è alcun profilo di illogicità nell’ambito delle dichiarazioni de COGNOME in ordine alla confessione ricevuta dal COGNOME quanto alla commissione del fatto-reato di cui trattasi (v. pag. 13 della sentenza di appello).
2.3. La Corte di appello ha, poi, dato adeguata risposta anche alla questione, dedotta anche in questa sede di legittimità nel terzo motivo di ricorso formulato
nell’interesse dell’imputato COGNOME circa la qualificazione giuridica della condotta d cui al capo 8 della rubrica delle imputazioni.
In particolare, ha affrontato la questione relativa ad una controversia, della quale ha parlato il collaboratore COGNOME, insorta tra NOME COGNOME (che a sua volta ha parlato della vicenda) ed il COGNOME, riguardante la restituzione di uno scooter precedentemente ceduto dal secondo al primo evidenziando come, contrariamente a quanto asserito dalla difesa dell’imputato, l’azione ai danni dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE“, gestito dalla moglie del COGNOME, è da ritenersi caratterizzata da una duplice valenza, sia intimidatoria (come confermato dalle stesse dichiarazioni del COGNOME che ha parlato della volontà di accrescere la potenza criminale del gruppo «… in modo tale da farci temere nell’ambito sociale lametino e ad affermarci come una vera e propria compagine mafiosa»), sia di ritorsione per le vicende del motociclo (come confermato dalle dichiarazioni dell’COGNOME che ha riferito che il COGNOME gli disse «… due modi, sia per il fatto de motocicletta e sia per il fatto estorsivo»).
Ritiene l’odierno Collegio che alla luce degli elementi sopra evidenziati la motivazione della sentenza impugnata oltre che – come già detto – congrua, non è di certo apparente, né “manifestamente” illogica e tantonneno contraddittoria.
Per contro deve osservarsi che la difesa dell’imputato, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimit un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo de motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giud del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatori ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che
sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probator del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
La valutazione del compendio probatorio – vale anticipare subito che le medesime osservazioni riguardano anche il ricorso formulato nell’interesse dell’imputato Paradiso del quale si dirà nel prosieguo – con particolare riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Muraca e Arzente si presenta conforme ai principi di diritto che regolano la materia.
La Corte di appello e prima ancora di essa il G.i.p., hanno, innanzitutto, debitamente spiegato le ragioni per le quali hanno ritenuto di non condividere le valutazioni di inattendibilità dei predetti collaboratori di giustizia contenute ne decisioni di merito e legittimità adottate nella fase cautelare e richiamate in entrambi i ricorsi qui in esame. Del resto, come ha ricordato la stessa Corte di appello, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza cautelare per vizio di motivazione relativo ai gravi indizi di colpevolezza, determinato dalla valutazione di inaffidabilità di una prova dichiarativa, non preclude al giudice del procedimento principale di valutare diversamente la medesima fonte, in relazione al medesimo fatto senza procedere alla sua rinnovazione, fermo restando il limite di non ripetere le medesime considerazioni già apprezzate manifestamente illogiche, contraddittorie o carenti di motivazione.
Quanto poi ai principi che regolano la valenza probatoria delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia emerge chiaramente dalle sentenze di merito che in relazione agli episodi contestati al COGNOME le fonti informative sono del tutt concordanti, hanno trovato riscontro in elementi oggettivi (non è posto in dubbio dai ricorrenti che le intimidazioni mediante esplosione di colpi d’armi da fuoco contro gli esercizi commerciali destinatari delle richieste estorsive sono state effettivamente posti in essere) e che nel caso dell’azione addebitata al Cerra ai danni del bar “RAGIONE_SOCIALE” entrambi i collaboratori di giustizia che ne hanno parlato hanno affermato di avere avuto un ruolo diretto: il COGNOME quale autore delle richieste estorsive nei confronti del titolare del bar “RAGIONE_SOCIALE” e Arzente come soggetto presente al momento dell’esplosione dei colpi d’arma da fuoco contro il medesimo esercizio commerciale.
Altrettanto è a dirsi dell’azione estorsiva ai danni dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” in relazione alla quale le fonti informative dei due collaboratori d giustizia non sono a loro volta sovrapponibili avendo il COGNOME affermato di avere appreso dell’episodio in momenti diversi sia dal Paradiso che dallo stesso Cerra, mentre Arzente ha affermato di essere stato anche in questo caso presente al momento del compimento dell’azione intimidatoria da parte del Cerra.
Con riguardo alla chiamate in reità od in correità, questa Corte di legittimità ha chiarito che «La chiamata in correità o in reità “de relato”, anche se non asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato, altra altre chiamate di analogo tenore, purché siano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva d ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, i base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del “thema probandum”; d) vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse» (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143 – 01; Sez. 1, n. 36065 del 03/05/2024, COGNOME, Rv. 286948 – 01; Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, Salzano, Rv. 274149 – 02).
Orbene, contrariamente a quanto asserito dalla difesa del ricorrente, tutti i requisiti sopra indicati risultano esistenti nel caso in esame, atteso che:
i Giudici di merito hanno fatto una positiva valutazione di attendibilità dei due collaboratori di giustizia;
è pacifica ed incontestata l’esistenza di rapporti personali tra il Cerra (e come vedremo anche il Paradiso), il Muraca e l’Arzente;
vi è indubbia convergenza tra le due chiamate;
non vi è prova che le chiamate in correità fatte dal Muraca e dall’Arzente siano frutto di intese fraudolente;
non vi è totale sovrapponibilità tra le fonti informative dei due collaboratori, atteso che, quanto alla vicenda estorsiva ai danni del bar “RAGIONE_SOCIALE“, il Muraca, al di là della confessione stragiudiziale ottenuta dal COGNOME, ha comunque partecipato ad una fase diversa dell’estorsione (quella della richiesta di denaro ai fratelli COGNOME) mentre l’Arzente ha assistito direttamente alle attività d danneggiamento del locale, mentre, quanto all’ulteriore vicenda estorsiva ai danni dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” mentre il COGNOME ha ricevuto le confessioni stragiudiziali sia del Paradiso che del Cerra, l’Arzente ha, a sua volta, assistito all’episodio di danneggiamento del locale.
Nulla quaestio, poi, con riguardo alla ritenuta configurabilità come tentativo di estorsione dell’azione delittuosa di cui al capo 8 della rubrica delle imputazioni atteso che, alla luce della ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito, no
può essere posto in dubbio che non ricorreva in capo al COGNOME alcun diritto tutelabile in sede giudiziaria idoneo a sostenere l’ipotesi di esercizio arbitrario del proprie ragioni, in tutto come correttamente illustrato dalla Corte di appello alla pagg. 13 e 14 della sentenza impugnata.
4. Manifestamente infondati sono poi il quarto ed il quinto motivo di ricorso formulati dalla difesa dell’imputato COGNOME nei quali si contestano la ricorrenza della circostanza aggravante di cui all’art. 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen., nonché della circostanza aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen. (già art. 7 I. 203/91).
La genericità dei predetti motivi di ricorso già di per sé ne determinerebbe l’inammissibilità.
Tuttavia, per solo dovere di completezza, occorre evidenziare come quanto alla ricorrenza della circostanza aggravante prevista dall’art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen. la Corte di appello ha correttamente richiamato il fatto che il COGNOME ha subito condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. accertato in Lamezia Terme dal 2009 e sino al 7 luglio 2011, con condotta perdurante (cosca CerraTorcasio-Gualtieri).
Del resto fin da tempi remoti questa Corte di legittimità ha chiarito che «La circostanza aggravante prevista dall’art. 628, terzo comma, n. 3 cod. pen. (richiamata dall’art. 629 cpv. cod. pen.) si concreta nel solo fatt dell’appartenenza del rapinatore o dell’estorsore ad un sodalizio criminoso del tipo descritto dall’art. 416-bis cod. pen., e non richiede che costui per commettere il reato manifesti o faccia intendere alla vittima tale sua qualità e si avvalga, quindi della forza intimidatrice di tali associazioni» (Sez. 2, n. 9498 del 17/06/1993, Auddino, Rv. 195314 – 01).
Quanto, poi all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 che risulta contestata sia sotto il profilo della cd. “agevolazione mafiosa” che sotto quello dell’uso del “metodo mafioso” occorre, da un lato evidenziare, come lo stesso COGNOME ha esplicitato che le modalità dell’azione estorsiva ai danni dell’esercizio commerciale “RAGIONE_SOCIALE” erano state finalizzate «… in modo tale da farci temere nell’ambito sociale lametino e ad affermarci come una vera e propria compagine mafiosa» e, dall’altro, sottolineare – come ha fatto la stessa Corte di appello come proprio le modalità esecutive di tali azioni (esplosione di colpi d’arma da fuoco nei confronti degli esercizi commerciali) alle quale si è aggiunta la richiesta del “regalo” o del “contributo”, nelle zone nelle quali si sono svolte le vicende unita all’omertà in capo alle vittime sono elementi tipici dell’uso in entrambi gl episodi del “metodo mafioso” tra l’altro idoneo ad incutere nelle vittime quella
forza intimidatrice tipica dell’aggravante che ne ha determinato una condotta sostanzialmente omertosa.
Ritiene l’odierno Collegio che certamente in punto di diritto detta circostanza aggravante, quantomeno sotto il profilo dell’uso del metodo mafioso, alla luce delle circostanze accertate sia certamente configurabile atteso che «E configurabile la circostanza aggravante dell’utilizzo del “metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., nel caso in cui le modalità esecutive della condotta siano idonee, in concreto, a evocare, nei confronti dei consociati, la forza intimidatrice tipic dell’agire mafioso, quand’anche quest’ultima non sia direttamente indirizzata sui soggetti passivi, ma risulti comunque funzionale a una più agevole e sicura consumazione del reato». (Sez. 1, n. 38770 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283637).
Detta circostanza aggravante può, poi, ben concorrere con quella di cui all’art. 628, comma 3, n. 3, richiamata dall’art. 629 comma 2, cod. pen. atteso che «In tema di estorsione, l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art 416-bis.1. cod. pen., può concorrere con quella prevista dall’art. 628, comma terzo, n. 3), cod. pen., richiamata dall’art. 629, comma secondo, cod. pen., posto che la prima presuppone che la condotta sia stata tenuta con modalità mafiose, pur non essendo necessario che il soggetto agente appartenga a un sodalizio criminale di tal genere, mentre la seconda postula la provenienza della violenza o della minaccia da persona appartenente ad associazione mafiosa, senza che sia necessario il concreto accertamento delle modalità di esercizio di tali violenza e minaccia, né che esse siano state attuate mercé l’utilizzo della forza intimidatrice derivante dall’appartenenza all’associazione mafiosa» (Sez. 2, n. 20320 del 15/05/2024, COGNOME, Rv. 286426 – 01).
Manifestamente infondato ed al contempo parzialmente inammissibile è, altresì, il sesto motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME relativamente al mancato riconoscimento allo stesso delle circostanze attenuanti generiche e, più in generale, alla determinazione del trattamento sanzionatorio irrogato allo stesso.
Giova, innanzitutto, rilevare che la doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non risulta specificamente formulata nell’atto di appello a firma dell’avv. COGNOME (come ricordato anche nella sentenza impugnata non contestata sul punto dalla difesa del ricorrente), atto nel quale è esclusivamente contenuta una mera “richiesta” di riconoscimento delle predette circostanze attenuanti.
La genericità del motivo di appello sul punto, riscontrabile anche in sede di legittimità, ne determina l’inammissibilità ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. /
In ogni caso è appena il caso di evidenziare che, comunque la Corte di appello (pag. 15), attraverso il legittimo richiamo alla sentenza di primo grado, ha evidenziato di condividere in toto quanto già deciso dal G.u.p. (v. pag. 49 della relativa sentenza) che aveva negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen. in ragione della particolare gravità delle condotte e aveva determinato il trattamento sanzionatorio attraverso un esplicito richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
In punto di diritto va ricordato che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che «Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, m sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione» (Sez. 3, sent. n 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899) e, ancora, che «La determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudic di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti g elementi di cui all’art. 133 cod. pen.» (ex multis: Sez. 4, n. 21294 dei 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197).
Manifestamente infondato è anche il ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME relativo al tentativo di estorsione (e reati connessi) ai danni del titolare dell’esercizio commerciale di parrucchiere “COGNOME“.
Anche in questo caso i Giudici di entrambi i gradi di merito hanno, con motivazione congrua e logica:
richiamato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e Arzente che avevano appreso le notizie dallo stesso imputato che aveva reso loro una sorta di confessione stragiudiziale;
evidenziato il fatto che i due collaboratori di giustizia hanno ricevuto dal Paradiso detta confessione in momenti diversi ed attraverso diversi percorsi conoscitivi il che consente di escludere la circolarità delle notizie riferite;
evidenziato, ancora, che ciascuno dei collaboratori ha aggiunto particolari diversi: il Muraca facendo riferimento alla presenza all’interno del locale di un carabiniere libero dal servizio e l’Arzente soffermandosi sulle modalità esecutive dell’azione, parlando del veicolo utilizzato e dell’esplosione dei colpi d’arma da fuoco contro la vetrina dell’esercizio commerciale;
riaffermato l’assoluta valutazione di attendibilità dei predetti collaborator di giustizia e l’analiticità del loro narrato;
escluso che i collaboratori abbiano perseguito intenti calunniatori nei confronti del Paradiso (peraltro neppure dedotti dalla difesa del ricorrente) o che l’azione sia da ricondurre a motivazioni personali in luogo di quelle estorsive.
Ritiene l’odierno Collegio che quanto già sopra esposto con riguardo alla valutazione del compendio probatorio relativo alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Muraca e Arzente in relazione ai fatti che hanno visto imputato il Cerra possa essere qui integralmente richiamato anche con riguardo alla posizione del Paradiso essendo anche in questo caso stati correttamente applicati dai Giudici di merito i principi in materia dettati da questa Corte di legittimità.
Deve solo aggiungersi che «La confessione stragiudiziale può essere assunta a fonte del libero convincimento del giudice quando, valutata in sé e raffrontata con gli altri elementi di giudizio, sia possibile verificarne la genuinità e spontaneità in relazione al fatto contestato» (Sez. 1, n. 6467 del 11/05/2017, dep. 2018, Secolo, Rv. 272100 – 01) e che, nel caso in esame, da un lato non vi sono ragioni per ritenere che la confessione stragiudiziale fatta dal Paradiso, in momenti diversi ai due collaboratori di giustizia che l’hanno riferita non sia spontanea, e dall’altro, che nel contesto nel quale sono maturate le vicende ne è stata correttamente ritenuta la genuinità.
Infine, deve ricordarsi che in tempi più recenti questa Corte di legittimità ha ulteriormente chiarito che «Le confidenze autoaccusatorie dell’imputato ad un collaboratore di giustizia, che ne abbia successivamente riferito nelle proprie dichiarazioni, hanno natura confessoria, di talché, una volta positivamente vagliata l’attendibilità del collaboratore ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. dispiegano piena efficacia probatoria alla sola condizione che se ne apprezzi la sincerità e la spontaneità, in modo da potersene escludere la riconducibilità a costrizioni esterne o a possibili intenti autocalunniatori» (Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, Grande Aracri, Rv. 281603 – 02) e che nel caso di specie tale valutazione è da ritenersi ancora più rafforzata se si pensa che le dichiarazioni autoaccusatorie del Paradiso sono state fornite a due soggetti diversi, come detto, in momenti diversi.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, quanto a ciascuno di essi, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazio della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Deve infine rilevarsi che non può accogliersi la richiesta di rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile Comune di Lamezia Terme alla luce del principio enunciato da questa Corte di legittimità secondo il quale «Nel giudizio di cassazione con trattazione orale non va disposta la condanna dell’imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l’allegazione di nota spese» (Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286581 – 03).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Nulla per le spese di parte civile Comune di Lannezia Terme.
Così deciso il 21 gennaio 2025.