Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4910 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4910 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Isola capo Rizzuto il 03/08/1958
COGNOME NOMECOGNOME nato a Crotone il 24/12/1998
COGNOME NOMECOGNOME nato a Crotone il 15/12/1983
COGNOME NOMECOGNOME nato a Torino il 26/03/1968
avverso la sentenza del 22/01/2024 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi: l’Avvocato NOME COGNOME del Foro di Vibo Valentia, che, in difesa della parte civile NOME COGNOME riportandosi alle conclusioni scritte, ha chiesto il rigetto del ricorso e la rifusione delle spese processuali; gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME del Foro di Catanzaro, che, in difesa di NOME COGNOME hanno insistito per l’accoglimento del ricorso; l’Avvocato NOME COGNOME del Foro di Catanzaro, che – anche in sostituzione (per delega orale) dell’Avvocato NOME COGNOME del Foro di Crotone, in difesa di COGNOME NOMECOGNOME e dell’Avvocato NOME COGNOME del Foro di Catanzaro, in difesa di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME ha concluso riportandosi ai motivi dei ricorsi.
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la condanna di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati riuniti per la continuazione ex artt. 110, 81, comma secondo, 644 cod. pen., (capo A) e 629, commi primo e secondo e 61 n. 2 cod. pen. (capo B), con l’equivalenza, per NOME COGNOME e NOME COGNOME, delle circostanze attenuanti generiche rispetto all’aggravante, e NOME COGNOME per il reato ex rtt. 81, 110 e 629, commi primo e secondo e 61 n. 2 cod. pen. (capo B), con la prevalenza della diminuente ex ar . 114 cod. pen. sulla aggravante contestata.
Tuttavia, giudicando su rinvio della Corte di cassazione, ha riconosciuto la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso contestata ex art. 416bis.1. cod. pen., esclusa nella precedente sentenza della Corte di appello ma già ravvisata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, e, rilevando errori nei calcoli effettuati dal Giudice di primo grado, ha rideterminato le pene.
Nei ricorsi presentati dai difensori degli imputati si chiede l’annullamento della sentenza.
2.1. Nel ricorso di NOME COGNOME, si adducono violazione dell’art. 416-bis.1. cod. pen. e vizio della motivazione nel ravvisare l’aggravante travisando gli elementi probanti – con il ritenere erroneamente che NOME COGNOME, persona offesa della estorsione oggetto del capo B, in occasione dell’incidente probatorio, con le sue dichiarazioni avesse inteso minimizzare il ruolo di COGNOME nella vicenda – e trascurando che non risulta che COGNOME appartenesse alla associazione mafiosa o che la sua condotta sia stata connotata dall’utilizzo di un metodo mafioso.
2.2. Nel ricorso di NOME COGNOME si adducono violazione della legge e vizio della motivazione, con travisamento delle prove e lesione delle censure difensive, nel ravvisare la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso senza chiarire da quali dati risulta che i ricorrenti si siano avvalsi della forza di intimidazione derivante da un vincolo con la associazione per delinquere di stampo mafioso, dal momento che la persona offesa NOME COGNOME non ha affermato, come reiteratamente argomentato dalla difesa del ricorrente, di saperli legati a una famiglia ‘ndranghetista e che ti contenuti delle dichiarazioni e delle conversazioni intercettate mostrano che egli non si sentiva intimorito dai COGNOME
2.3. Nei ricorsi congiunti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME si adducono violazione della legge e vizio della motivazione, con travisamento delle prove, nel ravvisare la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso pur non essendo emersa nelle loro condotte una utilizzazione della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e nonostante le dichiarazioni della persona offesa
NOME COGNOME che attribuì ai ricorrenti, peraltro intervenuti solo dopo che il loro padre (NOME COGNOME fu arrestato per altre cause, un ruolo marginale nella vicenda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi in esame vertono sulla sussistenza della circostanza aggravante ex art. 416.bis.1. cod. pen. concernente l’utilizzo del metodo mafioso nella realizzazione dei reati per i quali i ricorrenti sono stati condannati (sotto il profilo della finalità agevolatrice della associazione mafiosa, l’aggravante è stata esclusa sin dal primo grado).
1.1. Tale aggravante è stata riconosciuta nel primo grado di giudizio dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, che ha ravvisato la capacità intimidatoria, sotto il profilo dell’avvalimento del metodo mafioso, osservando che anche senza la necessità della esistenza della associazione mafiosa, basta ingenerare nella vittima l’opinione che l’agente appartenga a tale associazione.
Il Giudice ha evidenziato al riguardo che: i santini e le formule di rito trovati nei domicili dei COGNOME sono del genere di quelli utilizzati dalla cosca operante nella zona e uno di questi santini reca le tracce dell’uso per un rito di affiliazione; i COGNOME hanno legami parentali con la famiglia COGNOME, contigua alla cosca attiva nella zona; COGNOME si prestò a agire come intermediario nel rivolgere alla vittima richieste usurarie e poi estorsive (p. 19-20).
1.2. Invece, la Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1232/2022 del 23/06/2022, ha disconosciuto l’aggravante, valutando mancante, da parte degli imputati, «qualunque forma di evocazione, espressa o tacita, della forza di intimidazione derivante dall’esistenza di un vincolo associativo» e considerando insufficiente il materiale documentale rinvenuto a casa dei COGNOME (reperti tipici dei rituali di affiliazione, «mai ostentati alla vittima») o la conoscenza da parte della medesima persona offesa dei legami di COGNOME o di altri soggetti collegati a lui o ai COGNOME, «in assenza di prova dell’ostentazione diretta o indiretta di tale condizione al fine di accrescere la pressione sulla vittima».
La Seconda sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 30242 del 30/0572023, su questo punto ha annullato la indicata sentenza della Corte di appello «nella sola parte relativa alla insussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.», con rinvio a altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro, che ha, invece riconosciuto l’aggravante con la sentenza oggetto dei ricorsi in esame.
La Corte di cassazione ha ravvisato nella motivazione della sentenza annullata «aspetti insuperabilmente contraddittori, sia in relazione alla complessiva ricostruzione della vicenda storica operata nelle due sentenze di merito, sia rispetto ai principi di diritto che regolano l’applicazione della aggravante».
Ha evidenziato che per l’utilizzo del metodo mafioso non è necessaria una ostentazione di mafiosità – perché è sufficiente l’utilizzo di un messaggio intimidatorio “silente”, quando l’associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, o il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277182; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, COGNOME, Rv. 272884) – e che la circostanza aggravante del metodo mafiosoAha natura oggettiva e vale a carico di tutti i concorrenti che abbiano saputo dell’impiego del metodo mafioso ovvero l’abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa (Sez. 4, n. 5136 dEfl 02/02/2022, COGNOME, Rv. 282602-02).
Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, la Corte di cassazione ha evidenziato che in diverse parti della sentenza annullata le condotte ascritte agli imputati risultano connotate dal metodo mafioso: a) «le modalità con cui il pregresso debito di una terza persona defunta, viene rilevato, sulla base di un labile rapporto di parentela, da NOME COGNOME che ne chiede il pagamento, dopo un consistente lasso di tempo e nonostante il debitore affermasse di avere adempiuto totalmente, con imperativa fissazione della residua sorte capitale aumentata degli interessi maturati nel frattempo; b), «le costanti minacce di morte, talora assai colorite e magari a mano armata, talaltra, più contenute e per questo più sinistre («Raso NOME: “io non lo so cosa devo fare, non so a chi mi devo rivolgere” tu stai andando avanti per aria, NOME tu non hai capito…», p. 10); c) la invocata mediazione di COGNOME («fu COGNOME ad avvicinare per primo la vittima per sollecitarne l’adempimento (con modi allusivi, accennando ad “amici di Isola di Capo Rizzuto” e ammonendo COGNOME a non negare l’esistenza del debito ), sia dalla pretestuosa causale utilizzata per alludere al debito, facendo riferimento a un mai avvenuto acquisto di “biancheria”», p. 11)».
Ulteriormente in questa direzione, la Corte di cassazione ha evidenziato le dichiarazioni della persona offesa, nella parte in cui ha affermato di avere inizialmente omesso il nome di taluno degli imputati temendo di coinvolgere nell’indagine personaggi di elevata (e rinomata) caratura criminale nell’ambito della locale criminalità organizzata, paventando seri rischi per la propria incolumità («avevo paura di coinvolgere altre persone specialmente COGNOME ma anche COGNOME e COGNOME… COGNOME, come già detto ieri è parente di NOME COGNOME personaggio di elevato spessore criminale nell’ambito della criminalità organizzata locale. La sua fama era a me ben nota, tant’è che temo molto per la mia incolumità. COGNOME NOME non
l’ho citato inizialmente poiché avevo paura di coinvolgere altre persone, anche perché questi è un soggetto molto conosciuto nell’ambito locale per la sua posizione. Tale dato mi veniva confermato in prima battuta a seguito della sua mediazione con i COGNOME ma soprattutto per l’accondiscendenza che derivava dalle telefonate che effettuava ai COGNOME per mio conto quando mi trovavo in difficoltà economica. COGNOME NOME, in occasione della sua mediazione con i COGNOME, si vantava con il predetto di avere scongiurato sicure ritorsioni nei miei confronti, le quali sarebbero senz’altro avvenute senza il suo intervento»).
3. La sentenza impugnata, nel recepire i criteri posti dalla Corte di cassazione, ha aggiunto ulteriori elementi di valutazione, rimarcando che: NOME acconsentì a prolungare un rapporto usuario che si era già esaurito con il pagamento del debito al creditore deceduto, così accedendo alla pretesa di NOME COGNOME di subentrare quale erede del defunto in un credito non più esistente; più volte NOME ricevette da parte di COGNOME la minaccia, anche con l’esibizione di una pistola, di pagare con l’intimazione (espressione di controllo su territorio) di non commerciare con le sue bombole nella zona, mentre i suoi spostamenti erano monitorati, le minacce coinvolgevano la sua compagnia, e a lui veniva prospettato un agguato mortale; le minacce (p. 5 della sentenza impugnata, p. 6-7 della sentenza di primo grado) provennero anche da NOME COGNOME («l’ultimatum ce l’hai domani.. poi puoi pure morire») e da NOME COGNOME («provvedi al pagamento altrimenti ti taglio la testa e la faccio a carne macinata»; Suppa conosceva la caratura criminale non solo dei COGNOME ma anche di COGNOME (imputato in uno dei processi in cui COGNOME era già stato persona offesa).
In questo quadro, correttamente la Corte di appello ha riconosciuto la circostanza in questione, ricostruendo – sulla base di pertinenti massime di esperienza e senza incorrere in manifeste illogicità – le condotte delle quali gli imputati sono stati riconosciuti colpevoli, come evocanti la contiguità a una associazione mafiosa, in modi funzionali a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, per il timore di trovarsi a fronteggiare le prevaricazioni e le minacce di un gruppo criminale mafioso e non soltanto di criminali comuni.
Pertanto, la Corte di appello ha correttamente applicato al caso in esame il principio affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui, in tema di estorsione, l’aggravante, soggettiva, di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3), cod. pen., può concorrere con quella, oggettiva, dell’utilizzo di metodo mafioso, di cui all’art. 416bis.1., nel caso in cui il delitto sia commesso, con minaccia “silente”, da soggetto appartenente ad associazione di tipo mafioso, posto che la prima circostanza è funzionale a sanzionare la maggiore pericolosità individuale dimostrata dall’associato che abbia consumato l’ulteriore delitto, mentre la seconda è volta a
punire la maggior capacità intimidatoria di condotte realizzate attraverso l’evocazione della capacità criminale dell’associazione mafiosa, potendo essere agita anche da chi non è associato (Sez. 2, n. 15429 del 08/03/2024, COGNOME, Rv. 286280; Sez. 1, n. 38770 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283637), ponendosi in linea con quanto indicato nella precedente sentenza di questa Corte.
Dal rigetto dei ricorsi deriva, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè la condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, spese che risulta congruo liquidare come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresenta e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 4.238,90, oltre accessori di legge.
Così decisa il 04/12/2024.