Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12358 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12358 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AVELLINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/05/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. uditi i difensori dell’imputato:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME del foro di AVELLINO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
AVV_NOTAIO NOME COGNOME del foro di NAPOLI, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione con cui il Tribunale di Avellino aveva riconosciuto NOME COGNOME colpevole del reato di tentato omicidio, aggravato dalla premeditazione e dal metodo mafioso, commesso ai danni di NOME COGNOME, attinto da uno dei colpi di pistola esplosi dal passeggero di un’autovettura che lo aveva incrociato mentre percorreva a piedi una strada urbana del comune di Avellino (capo a). COGNOME era stato riconosciuto colpevole anche dello strumentale reato di detenzione e porto dell’arma usata per commettere l’agguato (capo b).
Secondo la ricostruzione dei giudici del merito, depongono nel senso della colpevolezza dell’imputato una serie di elementi indiziari sintetizzabili come segue.
Le telecamere presenti sul luogo dell’agguato, nel riprendere la sparatoria, hanno inquadrato l’uomo con la pistola all’interno dell’autovettura; dalle immagini si evince che il killer indossava un cappellino con un fregio, per tipologia e conformazione, uguale a quello indossato da COGNOME in una delle fotografie con la sua effigie presente sulla pagina Facebook.
Le riprese del sistema cosiddetto “cattura targhe” o TARGA_VEICOLO hanno consentito di individuare con certezza l’autovettura con a bordo lo sparatore; si tratta della Renault Twingo targata TARGA_VEICOLO in uso a NOME ossia alla persona con cui era entrato telefonicamente in contatto NOME poco prima dell’agguato, chiedendogli perentoriamente di raggiungerlo.
I tabulati telefonici dell’utenza in uso a COGNOME e le celle dalla stessa impegnate attestano che l’imputato, nei momenti precedenti, concomitanti e successivi all’agguato, ha seguito percorsi compatibili con il suo avvicinamento e allontanamento dal luogo della sparatoria.
In più conversazioni captate in diverso procedimento penale, COGNOME dà indicazioni o al già citato COGNOME o ai suoi familiari evocative della sua partecipazione all’agguato.
COGNOME aveva un movente per compiere l’azione omicidiaria, strettamente legato alla fibrillazione dei rapporti tra i RAGIONE_SOCIALE, cui lui stesso e la vittima, all’epoca dei fatti, erano vicini per frequentazioni e rappor familiari. L’agguato, più precisamente, costituisce l’ultimo anello di una catena di episodi legati a tale conflittualità: la stessa mattina dell’agguato un colpo di pistola aveva raggiunto l’autovettura di uno dei fratelli di COGNOME; il giorno successivo, la sorella di NOME aveva esploso più colpi di arma da fuoco nei pressi del circolo gestito da NOME e dai suoi familiari.
Le allegazioni difensive, a cominciare dalla consulenza tecnica, non avevano scardinato l’impianto accusatorio: l’accertamento antropometrico era inaffidabile a causa della distanza e la scarsa qualità delle immagini riprese dalle telecamere; le incertezze sulla precisa localizzazione dell’utenza in uso all’imputato erano
superabili attraverso l’incrocio con i dati provenienti dalle le video riprese e dall conversazioni intercettate.
L’imputato ha proposto ricorso per il tramite dei difensori di fiducia che hanno redatto due distinti atti di impugnazione.
2.1. Nel ricorso a firma degli AVV_NOTAIO NOME sono sviluppati sei motivi.
2.1.1. Con il primo, riferito ad entrambi i capi di imputazione, sono dedotti i vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine ad entrambi i reati.
Secondo la difesa del ricorrente, la sentenza impugnata:
ha, in contrasto con quella di primo grado, attribuito all’imputato il ruolo di sparatore, valorizzando l’immagine che riprende il cappellino, senza considerare che il Tribunale ne aveva escluso l’efficacia indiziante in assenza di certezza anche solo sulla somiglianza con quello di pertinenza dell’imputato;
ha ritenuto provato l’utilizzo da parte dei killer dell’autovettura in uso a NOME in assenza di prove rassicuranti, di tipo scientifico o dichiarativo, ed attribuendo rilevanza decisiva ai risultati del rilevamento delle targhe TARGA_VEICOLO, che tuttavia attestano la presenza dell’autovettura in una sola occasione in luogo distante da quello in cui è avvenuta la sparatoria ;
ha desunto la presenza dell’imputato a bordo dell’autovettura da cui sono partiti i colpi incrociando i dati delle celle telefoniche e i dati SCNTT, che tuttavi sono imprecisi ed equivoci, come rilevato dal consulente di parte;
ha ingiustificatamente attribuito rilevanza alla mancanza di un alibi dell’imputato;
ha individuato un movente del delitto, legato alla contrapposizione tra gruppi criminali egemoni sulla zona, in palese contrasto con i dati probatori acquisiti – che escludono la vicinanza di imputato e vittima ai RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE o ad altre organizzazioni comunque denominate – e facendo assurgere al rango di prova meri sospetti.
2.1.2. Con il secondo motivo, riferito ad entrambi i capi di imputazione, sono dedotti i vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
La Corte di appello non ha esaustivamente risposto al rilievo con cui la difesa appellante aveva evidenziato l’inesistenza di collegamenti di COGNOME e di COGNOME a contesti di criminalità organizzata, rimarcando i numerosi elementi fattuali che, al contrario, ne comprovavano l’assoluta estraneità. Si tratta di una lacuna che mina radicalmente la tenuta logica della motivazione perché avente ad oggetto un elemento decisivo per la configurabilità dell’aggravante. La giurisprudenza di
legittimità, anche quella citata nella sentenza impugnata, ha sempre sottolineato che il metodo mafioso può essere desunto dalle modalità esecutive del fatto delittuoso sole se le condotte provengono da persone contigue ad ambienti mafiosi o comunque si inseriscono all’interno di dinamiche tra gruppi mafiosi. Nella specie non solo non è stata individuata la causale dell’agguato, ma gli elementi ritenuti sintomatici dell’agire tipicamente mafioso sono stati tutti fraintesi.
2.1.3. Con il terzo motivo, riferito al tentato omicidio, sono dedotti i vizi d violazione di legge e di motivazione con riferimento alla sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione.
2.1.4. Con il quarto motivo sono dedotti i vizi di violazione di legge e di motivazione con riferimento all’omessa declaratoria di inutilizzabilità delle intercettazioni utilizzate ai fini dell’affermazione di responsabilità in ordine a entrambi i capi di imputazione.
La sentenza impugnata non ha distinto gli elementi costitutivi dell’aggravante in esame da quelli sufficienti ad integrare la mera preordinazione del delitto ed ha valorizzato il collegamento tra l’agguato ed episodi verificatisi in precedenza nell’ambito di una contrapposizione tra i RAGIONE_SOCIALE di appartenenza di imputato e vittima che, tuttavia, risulta esclusa da tutte le evidenze probatorie. Non ha esplorato né il tema dell’apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso, apoditticamente collocato nelle prime ore del mattino del giorno dell’agguato, e la sua attuazione, né il tema della sufficienza di tale lasso temporale a far riflettere l’agente sulla decisione di uccidere. Ha valorizzato, ai fini della determinazione dell’elemento cronologico e ideologico, circostanze equivoche, come la richiesta dell’autovettura a NOME, comunque avvenuta circa un’ora prima del delitto, e la disponibilità della pistola; ne ha, invec trascurate altre ben più significative. Nessun rilievo è stato attribuito all circostanza, pacifica, che la vittima era armata e che, conseguentemente, avrebbe potuto sparare per prima, inducendo COGNOME a rispondere al fuoco al solo fine di difendersi. Non è stata smentita la pur plausibile tesi difensiva secondo cui la volontà omicida era scaturita dallo sviluppo dell’incontro immediatamente dopo il casuale incrocio tra l’autovettura e la vittima e la decisone di quest’ultima di estrarre la pistola e sparare. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le sentenze di merito, in stridente contrasto con la disciplina dell’art. 270 cod. proc. pen. applicabile ratione temporis, hanno utilizzato ai fini della decisione numerose conversazioni intercettate in un diverso procedimento penale, iscritto per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, non connesso ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen. con il tentato omicidio e lo strumentale reato in materia di armi sub judice, nonostante per entrambi i delitti contestati nell’odierno procedimento non sia previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, una volta escluse le aggravati
del metodo mafioso e della premeditazione per insussistenza degli elementi costituivi.
Alla declaratoria di inutilizzabilità delle intercettazioni ex art. 270 cod. proc pen. non può non seguire l’esclusione di responsabilità del ricorrente perché il residuo materiale probatorio non è, da solo, in grado di sostenere il giudizio di colpevolezza. Soltanto attraverso tali conversazioni la sentenza impugnata è riuscita a collocare COGNOME a bordo dell’autovettura in termini compatibili con l’esecuzione del delitto, a superare le obiezioni tecniche formulate dal consulente della difesa sulla valenza accusatoria dei dati sulle celle telefoniche impegnate dall’utenza in uso all’imputato nonché ad individuare un movente.
2.1.5. Con il quinto motivo sono dedotti i vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione all’art. 52 cod. pen. e 530, comma 3, cod. proc. pen.
Lamenta che la Corte distrettuale abbia escluso la sussistenza della legittima difesa sulla scorta delle immagini riprese dalle videocamere, dando apoditticamente per accertato che il primo a sparare sia stato COGNOME. Tale circostanza, tuttavia, si pone in contrasto con numerosi atti processuali ed in particolare con la deposizione dei testimoni di polizia giudiziaria che, nel descrivere le sequenze del filmato, hanno collocato il gesto di COGNOME di avvicinare la mano alla cintola dei pantaloni per prelevare qualcosa in un momento precedente all’esplosione dello sparo del colpo che lo aveva attinto. Non può, pertanto, ragionevolmente escludersi che sia stato COGNOME a sparare per primo anche perché non vi è alcuna certezza sulla provenienza dalla stessa pistola dei bossoli rinvenuti in sede di sopralluogo, mentre è pacifico che COGNOME era armato, tanto da avere esploso più colpi una volta entrato a bordo dell’autovettura del soccorritore, per come riferito da quest’ultimo
1.2.6. Con il sesto motivo sono dedotti i vizi di violazione di legge e di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio, alle circostanze attenuanti generiche e alla recidiva
La Corte ha desunto la gravità del fatto, ritenuta ostativa al beneficio, dagli stessi elementi già presi in esame per le aggravanti, mentre ha trascurato la reciprocità dell’aggressione ed ha applicato la recidiva nonostante la risalenza nel tempo dei procedenti penali.
2.2. Nel ricorso a firma degli AVV_NOTAIO ti NOME COGNOME e NOME COGNOME sono sviluppati cinque motivi, che in larga parte ripropongono le argomentazioni del ricorso a firma degli AVV_NOTAIO ti NOME e COGNOME.
2.2.1. Il primo motivo articola una pluralità di censure – per violazione di legge, sostanziale e processuale, nonché per vizio di motivazione – in tema di valutazione del quadro indiziario posto a fondamento del giudizio di penale responsabilità.
La Corte di appello avrebbe erroneamente valutato le risultanze probatorie relative all’aggancio delle celle telefoniche, non avrebbe risposto alle deduzioni difensive fondate sulla consulenza di parte nonché ai rilievi sull’assenza di riscontri alla presenza di COGNOME a bordo dell’autovettura utilizzata per l’agguato ed avrebbe omesso di esaminare la dedotta violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. A quest’ultimo proposto osserva che, nonostante il consulente di parte, non adeguatamente smentito dal perito, abbia escluso che il braccio dello sparatore sia compatibile con quello di COGNOME, la sentenza impegnata ha continuato a ritenere accertata la sua partecipazione al reato, attribuendogli, evidentemente, un ruolo diverso da quello descritto nel capo di imputazione, con conseguente violazione del principio di necessaria correlazione con l’accusa.
Come si evince dai dialoghi più significativi nonché dalla deposizione del testimone COGNOME, gli uni e l’altra riportati per stralcio nel ricorso, eleme indiziari sulla partecipazione di COGNOME all’episodio delittuoso non possono tarsi dalle conversazioni intercettate. Esse sono state interpretate in chiave accusatoria, al pari della perizia antropometrica, le cui conclusioni sono favorevoli a COGNOME, solo grazie agli evidenti errori sia nella individuazione delle celle impegnate dalle singole telefonate partite dall’utenza in uso all’imputato sia nella ricostruzione del percorso seguito dall’autovettura utilizzata per l’agguato nelle ore precedenti e successive, attraverso le immagini delle telecamere e degli apparecchi cattura targa.
Le celle impegnate dall’utenza dell’imputato, la cui efficacia dimostrativa è stata enfatizzata senza considerare i limiti fissati dalla giurisprudenza di legittimit in casi analoghi, escludono che l’imputato abbia compiuto un percorso sovrapponibile a quello dell’autovettura utilizzata per l’agguato e, al contrario, attestano la mancata attivazione proprio dalla cella più vicina al luogo della sparatoria.
Nessuna risposta è stata fornita alle doglianze relative all’assenza di riscontri, lacuna principalmente derivata dal mancato svolgimento della necessaria attività investigativa anche di carattere tecnico. A tali carenze non si è supplito neanche con la riapertura dell’istruttoria nel giudizio di appello nonostante le richiest difensive che sono state rigettate senza alcuna giustificazione.
Non è stato individuato, se non con considerazioni ipotetiche e congetturali, un movente idoneo a fungere da collante tra i già deboli elementi indiziari.
2.2.2. Con il secondo motivo sono dedotti i vizi di violazione di legge e di motivazione con riferimento all’esclusione dell’aggravante della premeditazione.
L’aggravante è stata ritenuta sussistente nonostante difetti la prova di un agguato organizzato e, anzi, la dinamica complessiva del fatto omicidiario faccia
propendere per un’azione estemporanea, non frutto di riflessione protrattasi nel tempo come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità.
2.2.3. Con il terzo motivo sono dedotti i vizi di violazione di legge e di motivazione con riferimento all’aggravante del metodo mafioso, che è stata desunta solo dalle modalità dell’azione in assenza di elementi sintomatici di collegamenti con contesti RAGIONE_SOCIALE.
2.2.4. Con il quarto motivo sono dedotti i vizi di violazione di legge e di motivazione con riferimento al mancato assorbimento del reato di detenzione illecita dell’arma in quello di porto.
2.2.5. Con il quinto motivo sono dedotti i vizi di violazione di legge e di motivazione con riferimento al calcolo della pena che sarebbe stato eseguito aggiungendo alla pena, già comprensiva dell’aumento per l’aggravante più grave della premeditazione e di quello cumulativo di cui all’art. 63, comma 4, cod. proc. pen,. un ulteriore aumento per la recidiva e l’aggravante del metodo mafioso pari ad anni 1 e mesi 6.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti chiariti nel proseguo.
Il primo motivo di entrambi gli atti impugnazione propone censure, in vario modo, attinenti al giudizio di responsabilità e alla forza dimostrativa della piattaforma indiziaria, che, laddove superano il vaglio di ammissibilità, sono, comunque, prive di pregio.
1.2. In premessa va ricordato che oggetto del giudizio di legittimità non è l’esame delle possibilità rappresentative – anche plausibili – del fatto, ma i controllo sulla opzione del fatto come recepita dal giudice di merito. Ne segue che la verifica in merito all’applicazione dei canoni logici e normativi del procedimento indiziario che presidiano l’attribuzione del fatto all’imputato passa necessariamente attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua interna coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, Lupo, Rv 252178). Neanche il canone decisorio secondo cui la colpevolezza dell’imputato deve risultare «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533 cod. proc. pen. come novellato dalla legge n.46 del 2006) consente- di fatto – l’esame del merito, ma si pone come criterio generale alla cui stregua valutare la consistenza logica (e dunque la tenuta dimostrativa) delle affermazioni
probatorie contenute nella sentenza impugnata. Per questa ragione, il mancato rispetto del criterio rifluisce come ipotesi particolare di «apparenza» di motivazione, secondo quanto affermato da Sez. 6 n. 8705 del 24/01/2013, COGNOME, in motivazione. Il dubbio, peraltro, per determinare l’ingresso di una reale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti, tale da determinare una valutazione di inconsistenza dimostrativa della decisione, è solo quello «ragionevole» e cioè quello che trova conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di escludere o di superare (in tal senso Sez. I n.3282 del 2012 del 17.11.2011, in motivazione).
1.4. Tanto posto, il percorso motivazionale seguito dalla Corte distrettuale, in sostanziale continuità con quello del Tribunale, se esaminato nell’osservanza dei delineati limiti imposti alla cognizione del giudice di legittimità, è esente dall criticità denunciate.
1.3. La struttura dei motivi in esame, volta a confutare isolatamente ogni singolo elemento di prova, impone di ricordare che nei processi essenzialmente basati su ricostruzioni di tipo indiziario della condotta tenuta dall’imputato, l frammentazione della critica deve sempre tenere conto della necessaria valutazione globale ed unitaria dei dati realmente indizianti e dell’eventuale ridotta incidenza logica di un singolo punto della costellazione indiziaria che può, in concreto, non avere efficacia realmente «disarticolante» sul giudizio complessivo di attribuibilità del fatto all’imputato. D’altra parte, la sentenza costituisce un tu coerente ed organico, onde, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa non può essere preso a sé, ma va posto in relazione agli altri (da ultimo Sez. 4, del 17/10/2012, dep. 2013, Spezzacatena, Rv. 255096; Sez. 2, n. 38818 del 07/06/2019, S., Rv. 277091). Solo l’emersione di una precisa «disarticolazione» di un punto effettivamente qualificante del ragionamento decisorio può portare all’annullamento della decisione emessa; al contrario lì dove il ragionamento giustificativo sia – nel suo complesso – adeguato l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni concorrenti può non comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione lì dove le restanti valutazioni offrano ampia e rassicurante tenuta del ragionamento ricostruttivo (da ultimo Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il giudizio di colpevolezza è stato ancorato ad una pluralità di elementi non solo positivamente accertati ma anche precisi e convergenti in ordine al contributo concorsuale dell’imputato nell’azione omicidiaria, oltre che dotati, nel loro complesso, di convincente forza dimostrativa, perché, sul piano logico, in grado di resistere alle obiezioni difensive.
L’utilizzo da parte degli esecutori materiali dell’autovettura Renault Twingo targata TARGA_VEICOLO è stata desunta dalla convergenza di dati informativi provenienti
da più fonti affidabili: le immagini registrate dalle due telecamere posizionate in prossimità del luogo dell’agguato e quelle estrapolate dal sistema video cattura targhe TARGA_VEICOLO, installato nelle strade adiacenti. Il riordino e la giustapposizione di tali immagini in ordine cronologico ha consentito di accertare, attraverso l’incrocio dei dati, che l’autovettura Renault Twingo ripresa mentre uno dei passeggeri esplode più colpi all’indirizzo di COGNOME – facilmente individuabile per il colore, bian ed altre caratteristiche distintive alle ruote, al parafango e al paraurti – è la stess ripetutamente ripresa dal sistema SCNTT, che ne ha catturato la targa TARGA_VEICOLO, mentre segue il percorso necessario per recarsi ed allontanarsi dal luogo della sparatoria proprio nei minuti immediatamente precedenti e successivi.
La presenza di NOME all’interno dell’autovettura al momento dell’esplosione dei colpi che hanno attinto COGNOME a ed il suo ruolo determinante nell’organizzazione ed esecuzione dell’azione omicidiaria, a prescindere dalla sua identificazione con lo sparatore, sono stati, anch’essi, desunti da una pluralità di elementi fattuali convergenti. La localizzazione delle celle impegnate dalla utenza telefonica mobile intestata all’imputato ha comprovato lo spostamento del telefono cellulare di cui NOME era esclusivo usuario, in luoghi sempre compatibili con il percorso seguito in concomitanza dall’autovettura Twingo per avvicinarsi ed allontanarsi dal luogo dell’agguato, come meticolosamente ricostruito sulla scorta delle immagini riprese dalle telecamere e dal sistema SCNTT. Anche il contenuto delle conversazioni telefoniche captate sulla utenza di COGNOME nel periodo temporale di interesse si pone nella medesima direzione. COGNOME aveva, dapprima, telefonato alla persona che aveva in uso l’autovettura Twingo, chiedendogli di spostarsi dal comune di Tufo, dove si trovava in quel momento, per raggiungerlo quanto prima al “Circoletto”, locale ricreativo ubicato ad Avellino in zona non lontana da quella dove qualche ora dopo sarebbe avvenuto l’agguato con l’uso della Renault Twingo. A seguito della richiesta di NOME, la Renault Twingo, proprio nel tempo necessario a compiere il tragitto che separa Tufo ad Avellino, era arrivata in quest’ultimo centro urbano, come attestato dalle telecamere del sistema cattura targhe, per poi rapidamente spostarsi sul luogo dell’agguato. Trascorsi pochi minuti dalla sparatoria, COGNOME aveva effettuato un’ulteriore telefonata, questa volta mentre si trovava all’interno di un’autovettura, come attestato dalla presenza di rumori di fondo nitidamente ascoltati dall’ufficiale di polizia giudiziaria incarica dell’ascolto che ne ha riferito nel suo esame dibattimentale. Aveva, per di più, chiamato, attivando la stessa cella che copre il luogo dell’agguato, la figlia per avvisarla di chiudersi in casa e di non uscire (“chiuditi dentro, non aprire a nessuno, chiudi le finestre”). Dopo mezz’ora, COGNOME aveva ricontattato NOME al “Circoletto”, chiedendogli se vi fossero “problematiche” – circostanza assai significativa se si considera il fallimento del piano omicidiario – e, comunque di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
rivolgersi per avere ausilio ad un soggetto, NOME COGNOME, che, altrettanto significativamente, verrà fermato subito dopo la telefonata dalla Polizia sul luogo della sparatoria.
Siffatta piattaforma indiziaria, già solida aveva trovato ulteriore conferma nel fotogramma con l’immagine dello sparatore che indossa un cappellino, che, secondo quanto riferito dai testimoni di polizia giudiziaria COGNOME e COGNOME, presenta un fregio uguale, per caratteristiche e conformazione, a quello presente nel cappellino indossato da COGNOME in una fotografia visibile nel suo profilo Facebook.
1.5. Le critiche opposte dal ricorrente sono, in primo luogo, generiche. Esse contestano l’affidabilità dei risultati del rilevamento delle targhe TARGA_VEICOLO e della localizzazione delle celle impegnate, facendo perno su mere ed astratte affermazioni di principio o su considerazioni tecniche fatte proprie dal consulente COGNOME, analiticamente smentite dalle osservazioni di segno contrario del perito COGNOME, il quale, nel contestare radicalmente le conclusioni della consulenza dell’imputato, ne aveva individuato numerosi errori e criticità, del tutto ignorate nel ricorso. Soprattutto, trascurano che i giudici del merito, con valutazioni conformi, hanno attribuito decisiva rilevanza alla convergenza dei dati provenienti da più fonti informative (filmati, celle telefoniche, rilevamenti SCNTT), rimarcando che, nonostante la pacifica autonomia, si riscontravano reciprocamente così da consentire una ricostruzione completa ed esaustiva dell’intera vicenda sul piano logico e cronologico.
1.5. Nemmeno colgono nel segno i rilievi critici sull’alibi e sul movente.
La Corte ha stigmatizzato la scelta dell’imputato di non fornire una ricostruzione alternativa idonea a neutralizzare quella accusatoria, quanto meno attraverso l’indicazione della sua presenza in luoghi diversi da quelli risultanti dai tabulati della sua utenza telefonica, ma non ha attribuito ad essa una valenza accusatoria specifica, se non considerandola un punto debole della prospettazione difensiva.
E’ vero che né il Tribunale né la Corte di appello hanno individuato un preciso movente dell’azione omicidiaria, se non con il ricorso a congetture e sospetti che non possono trovare spazio nel giudizio di penale responsabilità, ma è altrettanto vero che di ben diversa consistenza sono gli elementi valorizzati per collocare l’episodio ai danni di COGNOME in una concatenazione di eventi, precedenti e successivi, di ostilità reciproca, che avevano visto per protagonisti, quanto meno, i familiari dell’odierno ricorrente, da una parte, e quelli della vittima designata, dall’altra alle prime ore del mattino dello stesso giorno dell’agguato ai danni di COGNOME vi era stata una sparatoria davanti al circolo dei COGNOME nel corso della quale era stata colpita l’autolettura di NOME COGNOME, fratello di NOME; il giorno successivo la
sorella di NOME si era recata al “Circoletto”, gestito dai RAGIONE_SOCIALE ed aveva esploso alcuni colpi di arma da fuoco.
1.6. Il valore di grave indizio dell’immagine del cappellino indossato dallo sparatore non è stata adeguatamente contrastata.
A fronte delle nette affermazioni contenute in entrambe le sentenze di merito (pag. 12 della sentenza di appello, pag. 10 e 27 della decisione di primo grado), secondo cui i testimoni di polizia giudiziaria COGNOME e COGNOME, nel descrivere l somiglianze tra il cappello con visiera tipo baseball ripreso dalle telecamere durante la sparatoria e quello utilizzato da COGNOME nelle fotografie del suo profilo Facebook, avevano fatto riferimento alla presenza in entrambi di un fregio, esattamente di un “rettangolo”, la difesa del ricorrente ha denunciato il travisamento della deposizione di uno dei due testimoni, COGNOMECOGNOME al ricorso, però, degli stralci del controesame in cui il testimone, lungi dal ritratta o, comunque, modificare in senso favorevole all’imputato l’esito dell’accertamento, si è limitato a rettificare l’espressione “fregio”, ritenendo più appropriata, pe descrivere l’immagine presente nell’indumento, quella di “stemma cucito”, ribadendo che il “rettangolo” visibile nel fotogramma dello sparatore era, per “caratteristiche e conformazione” identico (lo “stesso”) a quello presente nei cappellini utilizzati da COGNOME nelle fotografie presenti sulla pagine Facebook.
1.7. La sentenza impugnata (pagg. 12, 13 e 24) ha avuto cura di ribadire, con argomentazioni pertinenti, peraltro già ampiamente approfondite dal Tribunale (pagg. da 61 e seg. della sentenza di primo grado) ma del tutto ignorate nei ricorsi, l’inaffidabilità degli accertamenti tecnici, di carattere antropometrico oltre sull localizzazione delle celle, compiuti su incarico della difesa dal consulente di parte NOME COGNOME perché fondati o su immagini che non permettevano, come ampiamente dimostrato dalla perizia eseguita nel primo grado del giudizio, di effettuare misurazioni accurate degli elementi fisionomici di interesse, salvo ricorrere a rielaborazioni con l’utilizzo di programmi informatici impropri, oppure su dati sulla localizzazione delle celle, che non tengono conto dell’effettivo “cono d’ombra” coperta da ciascuna e della vicinanza al luogo dell’agguato.
1.8. Del tutto generica e di carattere esplorativo è la doglianza relativa alla mancata riapertura dell’istruttoria nel giudizio di appello.
1.9. Entrambe le sentenze concordano nell’identificare in NOME COGNOME lo sparatore, ritenendo decisiva circostanza che quest’ultimo indossasse, al momento dell’esplosione dei colpi, un capellino con caratteristiche identiche a quello nella sicura disponibilità di NOME.
Anche ad ammettere che la sentenza di appello abbia meno convintamente sostenuto tale ricostruzione, ritenendo, peraltro correttamente, sufficiente ai fini dell’affermazione della responsabilità la partecipazione di COGNOME NOME
all’organizzazione dell’agguato attraverso la predisposizione dei mezzi e la sua presenza all’interno della Renault Twingo non sarebbe comunque ipotizzabile alcuna violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.
Le Sezioni Unite di questa Corte, hanno chiarito, occupandosi del tema della correlazione tra imputazione contestata e sentenza, che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
Una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza non è certo ravvisabile allorquando quest’ultima ritenga accertato, oltre al concorso morale, una porzione del contributo materiale parzialmente diversa da quella ipotizzata dal capo di imputazione. Non ricorre dunque alcuna modifica strutturale dell’addebito, né con riguardo alla condotta, né con riguardo all’evento. Del resto, la violazione del principio di correlazione tra sentenza e accusa contestata è stata esclusa con riferimento a fattispecie in cui la diversità era molto più radicale essendosi affermata la responsabilità anche per la partecipazione alla fase esecutiva di un imputato chiamato a rispondere di concorso in omicidio volontario come mandante (Sez. 6, n. 3880 del 30/10/2008, dep. 2009, Cariolo, Rv. 242640).
Fondati sono, invece, i motivi relativi al riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. in relazione ad entrambi i capi di imputazione.
2.1. E’ opportuno ricordare che la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, ha la funzione di reprimere il “metodo delinquenziale mafioso”. Essa, dunque, non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione ex art.416-bis, cod. pen. ed è connessa non alla struttura ed alla natura del delitto rispetto al quale la circostanza è contestata, quanto, piuttosto, alle modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso. (ex multis Sez. 5, n. 21530 del 08/02/2018, COGNOME, Rv. 273025 – 01; Sez. 6, n. 41772 del 13/06/2017, COGNOME, Rv. 271103 – 01).
Ritiene il Collegio che, ai fini della configurabilità dell’aggravante, la forza intimidazione non deve essere necessariamente indirizzata in via diretta sul
soggetto passivo. In tal senso depone il chiaro tenore letterale della disposizione dall’art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, il cui contenuto è stato trasfuso nell’art 416-bis.1 cod. pen. dall’art. 8, comma 1, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21. Tale disposizione, nel descrivere l’aggravante del metodo mafioso, fa riferimento alla consumazione di reati “commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen.” sicché è conseguenziale ritenere che qualora essa acceda a reati la cui esecuzione prescinda del tutto dall’esercizio di forza di intimidazione indirizzata in via diretta sui soggetti passivi, possa essere integrata da altre condotte, desunte sempre caratteristiche delle modalità esecutive, se funzionali ad una più agevole e sicura consumazione del reato in ragione del diretto ed immediato collegamento con la forza di intimidazione ordinariamente esercitata sul territorio dai gruppi mafiosi su consociati e alla conseguenziale condizione di assettamento ed omertà che ne deriva.
Va, dunque, dats vcontinuità all’orientamento interpretativo secondo cui per la configurabilità dell’aggravante in esame non è sufficiente la connotazione mafiosa dell’azione o, peggio, la mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti dell’organizzazione mafiosa, ma è sempre necessario che le modalità esecutive della condotta siano idonee a evocare, nei confronti dei consociati ed eventualmente della persona offesa, la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso che deve incidere in concreto sulla consumazione del reato rendendola quanto meno più agevole e sicura (cfr. Sez. 1, n. 37621 del 14/07/2023, C., Rv. 285761 – 01 e Sez. 1, n. 38770 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283637 – 01, che ha ritenuto sussistente l’aggravante del metodo mafioso nel caso di consapevole sfruttamento, ai fini della più sicura riuscita del progetto omicidiario e della riduzione del rischio di essere scoperti, della soggezione delle persone presenti durante la consumazione del reato determinata, in via diretta ed immediata, dall’evocazione dell’agire mafioso ed il conseguenziale atteggiamento reticente ed omertoso).
2.2. La sentenza impugnata, pur richiamando i ricordati principii, non ne ha affatto corretta applicazione perché si è limitata a richiamare le caratteristiche dell’azione (plateale, efferata, eseguita, a volto scoperto in pieno giorno, in una via centrale e trafficata), senza approfondire il tema, parimenti rilevante, dell’idoneità di tali peculiari modalità esecutive ad ingenerare un clima di soggezione concretamente sfruttato dagli esecutori per una migliore riuscita del piano omicidiario. Al riguardo si è fatto riferimento non a specifiche evidenze probatorie relative alla vicenda in esame, ma ad effetti potenzialmente riconducili ad azioni dello stesso tipo.
Parimenti fondati sono i motivi relativi alla circostanza aggravante della premeditazione.
3.1. Va premesso che la premeditazione, configurata come circostanza aggravante nei delitti di omicidio volontario, ex art. 577, primo comma, n. 3 cod. pen., e di lesione personale, ex art. 585, primo comma, cod. pen., è contraddistinta da due elementi costitutivi: un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso (elemento di natura cronologica), tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso, e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica) (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241575; tra le successive, Sez. 5, n. 34016 del 09/04/2013, F., Rv. 256528; Sez. 5, n. 42576 del 03/06/2015, COGNOME, Rv. 265149). L’elemento cronologico richiede una estensione temporale tale da consentire all’agente la riconsiderazione della decisione assunta e da far prevalere la spinta al crimine rispetto ai freni inibitori L’elemento ideologico postula il radicamento e la persistenza costante, nella psiche del reo del proposito omicida tanto che non è sufficiente ad integrarlo la mera preordinazione del delitto, intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a quest’ultima immediatamente precedente, potendo tale comportamento fungere anche da antecedente di una risoluzione criminosa assunta in via estemporanea e poi attuata (Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022 Rv. 283512 – 01). Neanche l’agguato costituisce una modalità di esecuzione del delitto di per sé, sufficiente a dimostrare in ogni caso il processo psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione che caratterizza il premeditato proposito di uccidere e può assumere rilevanza probatoria ai fini dell’aggravante della premeditazione %quando dimostri che il delitto è stato deliberato in un arco di tempo apprezzabile in concreto e sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa (tra le altre, Sez. 1, n. 47250, del 09/11/2011, COGNOME, Rv. 251503), ovvero si inserisca come mezzo di esecuzione nel quadro complessivo di una macchinazione del delitto (tra le altre, Sez. 5, n. 26406 del 11/03/2014, COGNOME, Rv. 260219)) Per il reato premeditato occorre, quindi, che l’agente sia animato da un proposito criminoso determinato e duraturo e non insorto ed attuato al momento dell’azione. Ne segue che la premeditazione è incompatibile con il dolo d’impeto e con il dolo eventuale, ma richiede in capo all’agente il dolo diretto o intenzionale, anche nella forma del dolo alternativo (Sez. 1 , n. 29013 del 10/06/2021, COGNOME, Rv. 281643 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2. Ai fini dell’accertamento dell’aggravante è necessario fare ricorso a elementi estrinseci e sintomatici, individuati, a livello esemplificativo, nella causale dell’azione, nell’anticipata manifestazione dell’intento poi attuato, non
contraddetto da condotte opposte, nella ricerca dell’occasione propizia, nella meticolosa organizzazione e nell’accurato studio preventivo delle modalità esecutive, nella violenza e nella reiterazione dei colpi inferti (tra le altre, Sez. 16711 del 17/01/2014, Troia, Rv. 259521). Anche la consumazione dell’omicidio a seguito dell’occasionale incontro con la vittima può essere compatibile con la premeditazione purché tale circostanza fortuita non sia stata la scaturigine dell’intenzione omicidiaria, ma abbia facilitato o comunque reso possibile l’attuazione di quest’ultima già ferma nell’agente da un lasso di tempo utile ad integrare il già esaminato elemento cronologico (Sez. 1,n. 16142 del 24/01/2017, dep. 2018, Bidognetti, Rv. 273110 – 01).
3.3. La sentenza impugnata (pagg. 18 e 19 ) non ha fatto buon governo dei rammentati principii ed ha seguito un percorso motivazionale incompleto.
Ha, infatti, desunto l’elemento ideologico dalla circostanza, di per sé non decisiva, perché parimenti compatibile con determinazione criminosa estemporanea, del collegamento del fatto onnilAtio con altri episodi conflittuali che avevano avuto per protagonisti i familiari di COGNOME e COGNOME verosimilmente vicini a RAGIONE_SOCIALE contrapposti, e l’elemento cronologico dalla preventiva organizzazione dell’agguato con la predisposizione di uomini, mezzi ed armi nonché dalla dinamica della sparatoria. Tuttavia, ha cronologicamente collocato il primo atto esecutivo del piano ordito da COGNOME, la telefonata a COGNOME per procurarsi l’autovettura, un’ora prima del delitto, sicché rimane, non sciolto, con idonea motivazione, il ragionevole dubbio, sollevato dalla difesa coi motivi di appello, che la deliberazione omicidiaria, anziché essere il frutto di una riflessione meditata per un tempo significativo, sia stata scatenata da un evento sopravvenuto poco prima dell’organizzazione dell’agguato e si sia, quindi protratta fino all’esecuzione, per un arco temporale assai contenuto.
Il quarto motivo, relativo all’utilizzabilità delle intercettazioni ai dell’affermazione di responsabilità in ordine ad entrambi i capi di imputazione, è inammissibile per manifesta infondatezza, se esaminato con riferimento alle imputazioni di tentato omicidio pluriaggravato ai sensi degli artt. 416-bis.1 e 577, comma 1, n. 3 cod. pen. e di porto e detenzione della pistola aggravato dal metodo mafioso. La stessa difesa ricorrente riconosce che la dedotta violazione dell’art. 270 cod. proc. pen., cui conseguirebbe l’inutilizzabilità delle conversazioni intercettate in un diverso e separato procedimento penale, non è nemmeno astrattamente configurabile qualora l’accertamento di responsabilità, così come contestato, continui ad avere ad oggetto tali delitti per i quali è pacificamente previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
4.1. Il giudice del rinvio dovrà, invece, riesaminare tale eccezione di inutilizzabilità qualora, nell’adempimento del mandato conferitogli in questa sede, pervenga ad una diversa qualificazione giuridica dei fatti, escludendo una o entrambe le aggravanti. Nell’ipotesi di accoglimento dell’eccezione difensiva, dovrà necessariamente verificare la resistenza del compendio probatorio residuo a sostenere autonomamente il giudizio di responsabilità a carico dell’imputato per entrambi i reati ascrittigli.
Il quinto motivo, relativo alla legittima difesa, è inammissibile perché interamente versato in fatto.
Il ricorrente sollecita una diversa ricostruzione della dinamica dlela sparatoria, attraverso un’alternativa lettura delle evidenze probatorie (in particolare di una deposizione testimoniale), da sovrapporre a quella non illogica di entrambe le sentenze di merito (cfr., in particolare, pag. 16 e 17 della sentenza impugnata), che hanno conformemente escluso, sulla scorta della sequenza temporale delle immagini, direttamente osservate dalla Corte distrettuale, in disparte dalle precisazioni dei testimoni di polizia giudiziaria, la circostanza che COGNOME avesse utilizzato l’arma prima di COGNOME in modo da costringerlo a sparare per difendersi. Al riguardo, si è precisato che in un primo fotogramma in ordine di tempo, quello contrassegnato dal n. 7, è effigiato il passeggero della Twingo che tende il braccio destro fuori da finestrino, mirando in direzione di COGNOME e che soltanto in quell cronologicamente successivi, aventi i numeri 9, 10 e 11 si ha modo di vedere COGNOME, rialzatosi da terra, stendere il braccio come per rispondere al fuoco con l’ama in suo possesso.
Il quarto motivo del ricorso a firma degli AVV_NOTAIO, relativo all’assorbimento del reato di detenzione illecita dell’arma in quello di porto è infondato.
La Corte di appello (pag. 23), nel rispondere ad analoga doglianza, ha fatto corretta applicazione el principio giurisprudenziale secondo cui il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta. In mancanza di alcuna specificazione da parte dell’imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto (Sez. 1, n. 27343 del 04/03/2021, COGNOME, Rv. 281668 – 01).
I motivi relativi al trattamento sanzionatorio, alle circostanze attenuanti generiche e alla recidiva sono assorbiti e non preclusi e rimessi al giudice del rinvio.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto limitatamente all’aggravante della premeditazione e all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. sicché la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio su tali capi e sul trattamento sanzionatorio, che sarà condotto alla stregua dei principi sin qui espressi e con la precisazione di cui al paragrafo 4. della parte in fatto in tema di utilizzabilità delle intercettazioni. .
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai punti concernenti l’aggravante della premeditazione e l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso, in Roma 7 febbraio 2024.