Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27450 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27450 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
COGNOME IMPERIALI
Sent. n. sez. 1058/2025
– Relatore –
NOME COGNOME NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sui ricorsi proposti da:
rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
In sintesi, si contesta a Lione ed Abbruzzese (in concorso con NOME COGNOME, nei confronti del quale la sentenza di condanna Ł divenuta irrevocabile, e con altro soggetto non identificato) di avere compiuto, mediante minacce, atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere l’COGNOME, commerciante di fuochi pirotecnici, a consegnare loro detti fuochi per un valore di circa 10.000 euro, non riuscendo nell’intento a causa del rifiuto dell’COGNOME che non cedeva alle richieste estorsive.
Dette circostanze, a detta della difesa del ricorrente sarebbero tali da inficiare la credibilità soggettiva della stessa persona offesa ed i giudici del merito ne avrebbero travisato il contenuto.
I Giudici del merito avrebbero altresì omesso di considerare i trascorsi penali della persona offesa che consentono di inquadrarlo come persona avvezza a rendere dichiarazioni accusatorie false, ragionevolmente per accreditarsi agli occhi degli inquirenti al punto da essere stato ritenuto totalmente inattendibile in altro procedimento nel quale aveva affermato di essere stato vittima di una rapina ma che si Ł concluso con l’assoluzione degli imputati.
Quanto, poi, alla conforme valutazione del materiale probatorio, sempre i Giudici di merito hanno:
c) dato, poi, doverosamente atto che anche dopo la vicenda qui in esame l’COGNOME ebbe a vendere al COGNOME Fuochi d’artificio che gli sono stati regolarmente pagati;
a) l’esistenza di precedenti penali a carico dell’COGNOME e la valutazione delle dichiarazioni dello stesso in altro processo non consentono automaticamente di attribuire allo stesso una patente di inattendibilità;
Al Giudice di legittimità Ł infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchØ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, Ł – e resta – giudice della motivazione.
Peraltro, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo la quale la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni ( ex plurimis , Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, dep. 04/07/2008, COGNOME e altri, Rv. 240524; oltre a numerose altre in senso conforme), vizi non rilevabili nella situazione in esame.
Manifestamente infondato Ł anche il secondo profilo contenuto nel primo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME nel quale si Ł lamentato il mancato riconoscimento della ricorrenza della ‘desistenza volontaria’.
l’appartenenza dell’COGNOME al clan degli ‘COGNOME‘ ed al noto (anche alla persona offesa) potere criminale della consorteria sul territorio.
Rileva il Collegio che Ł, innanzitutto, indubbia la grave portata minacciosa delle frasi sopra riportate.
La decisione dei Giudici di merito di ritenere configurabile la circostanza aggravante de qua , risulta altresì corretta e conforme i principi di diritto secondo i quali «Ricorre la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis. 1 cod. pen., quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune» (Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281027; Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, COGNOME, Rv. 277222) e, ancora, che «E’ configurabile la circostanza aggravante dell’utilizzo del “metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., nel caso in cui le modalità esecutive della condotta siano idonee, in concreto, a evocare, nei confronti dei consociati, la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso, quand’anche quest’ultima non sia direttamente indirizzata sui soggetti passivi, ma risulti comunque funzionale a una piø agevole e sicura consumazione del reato» (Sez. 1, n. 38770 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283637).
A ciò si aggiunge che «In tema di estorsione, la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso non Ł esclusa dal fatto che la vittima delle minacce abbia assunto un atteggiamento “dialettico” rispetto alle ingiuste richieste, ciò non determinando il venir meno della portata intimidatoria delle stesse» (Sez. 2, n. 6683 del 12/01/2023, Bloise, Rv. 284392).
Manifestamente infondato Ł, infine, anche terzo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME nel quale sono state dedotte doglianze relative al trattamento sanzionatorio con particolare riguardo al mancato riconoscimento allo stesso delle circostanze aggravanti generiche.
Già il Tribunale (pag. 10), nel negare il riconoscimento all’imputato delle invocate attenuanti, aveva chiarito che Ł emerso che l’COGNOME Ł l’autore materiale della minaccia effettuata con metodo mafioso, oltre che il vero ispiratore della condotta delittuosa, il che induce a ritenere che si tratta di un soggetto privo di scrupoli e di remore morali, dotato di una significativa capacità a delinquere.
La Corte di appello ha, sul punto (pag. 12), con motivazione congrua e logica, da un lato evidenziato di condividere la valutazione del Tribunale e, dall’altro, ha, a sua volta, sottolineato che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche trova il suo fondamento nella particolare riprovevolezza della condotta dell’Abbruzzese, ritenendolo soggetto dotato di una significativa capacità a delinquere oltre che pregiudicato anche per un reato di tentata estorsione.
Nessun vizio Ł quindi riscontrabile nella motivazione sul punto anche alla luce del principio secondo il quale «al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchØ anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente» (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549).
A ciò si aggiunge che «Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non Ł necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma Ł sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione» (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, quanto a ciascuno di essi, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 02/07/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME