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Metodo mafioso e ‘stesa’: Cassazione conferma carcere

La Corte di Cassazione ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere per due giovani accusati di aver compiuto una ‘stesa’ a Napoli. La sentenza stabilisce che tale azione, consistita nello sparare colpi d’arma da fuoco in aria da motoveicoli in corsa, integra l’aggravante del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.) perché evoca la forza intimidatrice tipica delle organizzazioni criminali, a prescindere da un legame diretto con un clan specifico. La Corte ha rigettato i ricorsi, sottolineando che la modalità plateale e violenta della condotta è sufficiente a giustificare sia l’aggravante sia la presunzione di pericolosità che impone la detenzione in carcere.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Metodo Mafioso e “Stesa”: La Cassazione Conferma la Linea Dura

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 9662 del 2024, affronta con decisione il fenomeno delle cosiddette “stese”, confermando che tali atti di intimidazione urbana integrano la grave aggravante del metodo mafioso. Questa pronuncia è fondamentale perché ribadisce la linea dura della giurisprudenza nei confronti di azioni che, pur non essendo direttamente collegate a un clan specifico, ne emulano le modalità operative per diffondere terrore e affermare un potere criminale sul territorio. Il caso esaminato riguarda due giovani arrestati a Napoli dopo un inseguimento e accusati di aver sparato in aria in una piazza affollata.

I Fatti: Una Notte di Paura e la Risposta dello Stato

In una notte di maggio a Napoli, un agente di polizia fuori servizio assiste a una scena allarmante: due motocicli di grossa cilindrata, con a bordo quattro persone con il volto coperto da caschi, sfrecciano per le vie del centro. Giunti in una piazza, i passeggeri estraggono delle pistole e sparano diversi colpi in aria, per poi darsi alla fuga. L’agente allerta immediatamente la sala operativa, innescando un rocambolesco inseguimento che si conclude con l’arresto di due dei fuggitivi. Addosso a uno di loro viene trovata una pistola semiautomatica, risultata rubata, con l’otturatore aperto, segno che era stata appena utilizzata fino a esaurire i colpi.

Il Tribunale del Riesame di Napoli aveva già confermato la custodia in carcere per i due indagati, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza per porto illegale d’armi, esplosioni pericolose in luogo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale, il tutto aggravato dall’aver agito con metodo mafioso.

L’Aggravante del Metodo Mafioso Sotto Esame

La difesa degli indagati ha presentato ricorso in Cassazione contestando diversi punti, ma il fulcro della questione verteva sulla correttezza dell’applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 del codice penale. Secondo i legali, non vi era prova di un collegamento tra gli indagati e un’organizzazione criminale, e l’azione sarebbe stata un episodio isolato e non una manifestazione di potere mafioso.

Inoltre, sono state sollevate obiezioni sulla ricostruzione dei fatti, sui tempi di percorrenza e sull’identificazione degli autori, nonché sulla qualificazione giuridica del reato di detenzione d’arma. Tuttavia, è sulla qualificazione della “stesa” come atto compiuto con metodo mafioso che la Corte ha concentrato la sua analisi più significativa.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente i ricorsi, ritenendoli infondati o inammissibili. La motivazione della sentenza è chiara e si articola su tre pilastri principali.

1. La “Stesa” è Espressione del Metodo Mafioso: I giudici hanno stabilito che la “stesa” – un’azione violenta, plateale e intimidatoria come quella descritta – costituisce una “tipica modalità di affermazione della supremazia sul territorio”. Non è necessario dimostrare l’appartenenza degli autori a un clan specifico. Ciò che conta è la modalità esecutiva, che deve essere idonea a “evocare, in concreto, nei confronti dei consociati, la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso”. Attraversare la città sparando all’impazzata è un gesto che, per la sua valenza simbolica, comunica potere e genera un clima di assoggettamento e paura, elementi cardine del metodo mafioso.

2. Corretta Qualificazione dei Reati Connessi alle Armi: La Corte ha respinto la tesi difensiva secondo cui la detenzione di un’arma comune da sparo dovrebbe essere punita con la più lieve contravvenzione dell’art. 697 c.p. I giudici hanno chiarito che tale norma si applica alla detenzione di munizioni, mentre la detenzione e il porto illegale di armi da sparo comuni rientrano a pieno titolo nelle più gravi fattispecie delittuose previste dalla legislazione speciale (L. 895/1967 e L. 497/1974).

3. Presunzione di Pericolosità e Custodia Cautelare: Infine, la Cassazione ha sottolineato una conseguenza processuale diretta dell’aggravante del metodo mafioso. L’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale prevede una doppia presunzione: la sussistenza di esigenze cautelari e l’adeguatezza della sola custodia in carcere. Tale presunzione può essere superata solo fornendo elementi concreti che dimostrino l’assenza di pericolosità. Nel caso di specie, la difesa non ha offerto prove sufficienti a vincere tale presunzione, resa ancora più forte dalla gravità estrema dei fatti e dalla personalità degli indagati, capaci di compiere un gesto così eclatante per accrescere il proprio “prestigio criminale”.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione della Cassazione invia un messaggio inequivocabile: lo Stato non tollera manifestazioni di prepotenza criminale che minano la sicurezza pubblica e la percezione della legalità. La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale, secondo cui il metodo mafioso non è un’etichetta riservata agli affiliati storici delle grandi organizzazioni, ma una qualifica che si attaglia a chiunque utilizzi la violenza e l’intimidazione come strumenti per imporre la propria volontà sul territorio. Le implicazioni sono significative: chi compie una “stesa” rischia non solo una pesante condanna, ma anche l’immediata applicazione della custodia cautelare in carcere, in virtù di una presunzione di pericolosità sociale che è molto difficile da superare, anche per soggetti giovani e incensurati.

Quando un’azione intimidatoria come la “stesa” integra l’aggravante del metodo mafioso?
Secondo la sentenza, una “stesa” integra l’aggravante del metodo mafioso quando le sue modalità esecutive (violenza, platealità, uso di armi in pubblico) sono idonee a evocare la forza di intimidazione e la capacità di assoggettamento tipiche delle organizzazioni criminali, a prescindere dal fatto che gli autori appartengano formalmente a un clan.

La detenzione illegale di un’arma comune da sparo è una semplice contravvenzione?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che la detenzione illegale di armi comuni da sparo è un delitto punito dagli artt. 2 e 7 della legge n. 895 del 1967. La fattispecie contravvenzionale dell’art. 697 c.p. riguarda, invece, la detenzione illegale di munizioni per armi comuni, non delle armi stesse.

L’aggravante del metodo mafioso giustifica automaticamente la custodia in carcere?
Sì, in linea di principio. La legge (art. 275, comma 3, c.p.p.) stabilisce una presunzione legale secondo cui, in presenza di gravi indizi per un reato aggravato dal metodo mafioso, si presumono sia le esigenze cautelari sia l’adeguatezza della sola misura della custodia in carcere. Tale presunzione può essere vinta solo se la difesa fornisce prove concrete che dimostrino l’insussistenza di ogni pericolo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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