Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12429 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12429 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a REGALBUTO il 03/02/1978
avverso l’ordinanza del 03/10/2024 del Tribunale di CALTANISSETTA, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso, con le conseguenti determinazioni in tema di condanna alle spese;
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza resa in data 3 ottobre 2024 il Tribunale di Caltanissetta, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari, decidendo sulla richiesta di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME, confermava l’ordinanza emessa in data 24 agosto 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta con la quale era stata applicata al COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di rapina in concorso, aggravata anche dall’impiego del metodo mafioso e dalla finalità di agevolare l’associazione “RAGIONE_SOCIALE“, di cui agli artt. 110, 628, comma 3, n. 1) e 416bis.1 cod. pen., contestata perché COGNOME NOME, in concorso con COGNOME NOME e NOME COGNOME NOME, per procurarsi un ingiusto profitto,
NOME COGNOME in qualità di mandante e gli altri in qualità di esecutori materiali, mediante violenza consistita nel percuotere COGNOME e nel minacciarlo di morte, si impossessava del ciclomotore della persona offesa.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione COGNOME COGNOME per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando quattro motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva violazione dell’art. 273 cod. prod. pen. in punto di riconoscimento dei gravi indizi di colpevolezza.
Assumeva in particolare che il Tribunale aveva effettuato un acritico richiamo all’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, omettendo di argomentare in maniera autonoma in merito alla valutazione dei dialoghi intercettati, il cui contenuto era stato posto a fondamento della ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma in realtà era privo di una elevata capacità dimostrativa del fatto da provare in quanto caratterizzato da mezze frasi e da svariati “omissis”.
Con il secondo motivo deduceva violazione degli artt. 110 e 629, comma 2, cod. pen., in relazione all’art. 628, comma 3, n. 3), cod. pen., in punto di mancata riqualificazione del fatto ai sensi degli artt. 392 e 393 cod. pen., richiamando al riguardo la giurisprudenza della Corte di legittimità che individuava l’elemento distintivo fra il delitto di rapina e quello di esercizi arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone nell’elemento soggettivo, costituito, nel primo caso, nel fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, e, nel secondo, nell’avere agito nella ragionevole opinione di esercitare un diritto.
Con il terzo motivo deduceva violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen., in punto di riconoscimento della circostanza aggravante del metodo mafioso, assumendo che tale aggravante non poteva essere configurata in quanto non era emerso che il ricorrente fosse un affiliato all’associazione mafiosa operante sul territorio di Regalbuto, teatro del delitto in oggetto.
Con il quarto e ultimo motivo deduceva violazione degli artt. 273, 274 e 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen. e 416-bis.1 cod. pen. in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, assumendo che nella specie il Tribunale non aveva adeguatamente motivato in punto di sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva, pericolo che doveva necessariamente essere caratterizzato da concretezza e attualità, ove il
concetto di attualità presupponeva il riconoscimento di prossime occasioni favorevoli di reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile in quanto caratterizzato da genericità.
Ed invero, il ricorrente non ha individuato in maniera puntuale le conversazioni fatte oggetto di attività captativa il cui contenuto, secondo la prospettazione, sarebbe inidoneo, in quanto non chiaro e suscettibile di più interpretazioni fra loro alternative, ad integrare in gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’emissione di una misura cautelare personale.
A fronte di ciò deve osservarsi che il provvedimento impugnato ha fatto richiamo, congruamente e in maniera specifica (v. pagg. 5, 6 e 7), alle numerose conversazioni utilizzate ai fini della valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione alla vicenda in esame.
Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il secondo motivo, avendo il Tribunale evidenziato, tra gli altri, il dialogo intercorso tra i fratelli COGNOME nel corso del quale era stato affermato esplicitamente che lo scopo che li aveva animati nel commettere il reato era costituito dalla “necessità di chiarire … chi comandava nel territorio …” (v. pag. 8 dell’ordinanza impugnata).
Con tale richiamo il Giudice della cautela ha escluso che nel caso di specie potesse ricorrere l’elemento soggettivo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, precisando che non poteva essere qualificata ai sensi dell’art. 393 cod. pen. una “brutale rapina animata dallo scopo di punire l’autore di un furto e di ristabilire gli equilibri di potere nel territorio” (v. pag. 7 del provvedimento impugnato).
La denunciata violazione di legge deve, pertanto, essere esclusa.
Anche il terzo motivo è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
Osserva, innanzitutto, il Collegio che la semplice lettura della disposizione di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. consente di apprezzare che ai fini dell’integrazione dell’aggravante in discorso non è necessario che il soggetto agente risulti affiliato a una associazione di tipo mafioso.
Ciò premesso, deve ulteriormente osservarsi che il provvedimento impugnato ha reso una motivazione adeguata e immune da vizi in ordine alla sussistenza dell’aggravante, nella specie declinata in entrambi gli aspetti del
cosiddetto “metodo mafioso” e dell’agevolazione mafiosa, avendo effettuato, quanto al primo aspetto, congruo richiamo alle conversazioni intercettate, nel corso delle quali i fratelli COGNOME avevano affermato di avere rimproverato la parte offesa per essere venuta meno alle regole che governavano il territorio, con ciò implicitamente evocando l’esistenza di una consorteria criminale che, per l’appunto, “governava” il territorio, e, quanto al secondo, avendo evidenziato che i medesimi fratelli COGNOME avevano affermato in maniera esplicita di avere agito allo scopo di chiarire ai consociati chi comandava (v. pagg. 7 e 8 dell’ordinanza impugnata).
Anche il quarto motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Ritiene il Collegio che il Tribunale abbia reso una motivazione immune da vizi in punto di sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva, avendo effettuato congruo richiamo alla presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., per poi argomentare in maniera puntuale – con richiami congrui e specifici alle modalità dell’azione criminosa, caratterizzata da “brutale e smodata violenza”, e ai motivi dell’azione, questi ultimi riconducibili alla “logica criminale tipica dell’agire RAGIONE_SOCIALE” (v. pag. 9 dell’ordinanza impugnata) – in ordine alle ragioni per le quali nel caso di specie tale presunzione non poteva essere vinta.
Il Tribunale, infine, ha anche richiamato, in proposito, la personalità “massimamente negativa del ricorrente, che vantava un curriculum criminale di notevole spessore, considerati i precedenti penali per gravi reati quali il tentato omicidio e la detenzione illegale di armi”.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. adempimenti di cui all’art. 94, comma
Così deciso il 15/01/2025