Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23737 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23737 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 23/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a COGNOME il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 03/07/2023 della CORTE di APPELLO di BARI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso con statuizioni consequenziali; udito il difensore di parte civile, avvocato COGNOME NOME in difesa di NOME COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE, di NOME E COGNOME NOME in persona del leg. rapp. p.t. NOME COGNOME che si associa alle conclusioni rassegnate dal Proc. Gen. e chiede la conferma della sentenza impugnata; deposita conclusioni scritte e nota spese;
udita l’AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO, in difesa di NOME, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 luglio 2023 la Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza emessa il 20 luglio 2022 dal GIP presso il Tribunale di Bari ed appellata dall’imputato NOME COGNOME, rideterminava la pena applicata all’imputato in
anni 6, mesi 7 e giorni 20 di reclusione e 7.200 euro di multa, esclusa la recidiva e l’aggravante di cui all’articolo 416 bis.1 cod. pen. in relazione al solo capo 1) dell’imputazione. Confermava nel resto la decisione impugnata, con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese sopportate dalle parti civili costituite per secondo grado di giudizio.
Avverso la predetta decisione NOME COGNOME, a mezzo il proprio difensore, ricorre per cassazione deducendo tre distinti motivi, con i quali argomenta per chiedere l’annullamento della sentenza impugnata.
2.1 Con il primo motivo eccepisce la violazione ed erronea applicazione degli articoli 81, 56, 629 cod. pen. nella misura in cui la Corte territoriale ha ritenuto integrato, al capo 2), anche un autonomo reato di tentata estorsione, oltre alla estorsione consumata e continuata, nonché vizio di motivazione in parte qua. In particolare, si evidenzia che le plurime intimidazioni nei confronti della medesima persona offese erano tutte sorrette da un’unica e continua determinazione, ossia di riscuotere dalla persona offesa NOME COGNOME gli interessi usurari pattuiti, non registrandosi sul piano della volontà interruzioni o desistenze tra le varie condotte minacciose. Per tali ragioni, ad avviso del ricorrente, non è possibile configurare dei reati autonomi uniti sotto il vincolo della continuazione, perché, invece si trattava di un’unica azione estorsiva seppur realizzata con più atti di intimidazione.
2.2 Con il secondo motivo lamenta la violazione ed erronea applicazione dell’articolo 416-bis.1 cod. pen., in relazione al capo di imputazione 2), nonché travisamento degli atti e vizio di motivazione in parte qua. In particolare, emergerebbe che l’imputato non aveva mai menzionato la sua amicizia con personaggi della cosiddetta RAGIONE_SOCIALE allo scopo di utilizzarne la forza di intimidazione del sodalizio mafioso per porre la persona offesa COGNOME in uno stato di assoggettamento e omertà, né gli aveva mai prospettato possibili ritorsioni che detti malavitosi avrebbero potuto porre in essere nel caso di mancato rispetto degli accordi presi. Va, infatti, evidenziato che dalle intercettazioni dei colloqui tra COGNOME e il COGNOME risulterebbe che essi discutevano tranquillamente e in maniera del tutto distesa ed amicale dei rapporti di amicizia di entrambi con personaggi di spicco della malavita locale, senza che mai il ricorrente paventasse il possibile intervento di quei soggetti citati per risolvere le difficoltà di riscuoter suo credito nei confronti della vittima dell’usura. Né vale a provare il contrario il fatto che NOME COGNOME riferiva a COGNOME di aiuti economici che in passato
aveva fornito in virtù di un consolidato rapporto di amicizia a NOME COGNOME, in quel momento detenuto, trattandosi di una azione che non può essere assimilata alle condotte tipiche delle associazioni di tipo mafioso in cui sono avanzate pretese estorsive in nome di un’organizzazione criminale per sostenere i sodali in stato di detenzione. Il ricorrente, quindi, eccepisce che l’utilizzazione del metodo mafioso deve essere effettiva, non essendo all’uopo sufficiente il mero collegamento con contesti di criminalità organizzata o la caratura mafiosa degli autori del fatto, occorrendo invece la concreta realizzazione di una condotta secondo le modalità tipizzate dall’articolo 416 bis cod. pen.. Infine, si sottolinea che la vittima dell’usu avrebbe avuto anch’egli rapporti di frequentazione e di condivisione di attività illecite con malavitosi foggiani (ad esempio in relazione ad una piantagione di marijuana), ragion per cui non sarebbe logicamente verosimile che egli abbia subito la particolare coartazione psicologica che integra l’aggravante de qua.
Con l’ultimo motivo si duole della violazione ed erronea applicazione dell’articolo 644, comma 5, n. 3, cod. pen. e vizio di motivazione in parte qua. In particolare, ritiene che sia emerso chiaramente dagli atti che il COGNOME non avesse contratto prestiti “a condizione tanto inique e onerose” per un inesistente “stato di bisogno” o perché si trovava in difficoltà con la sua attività imprenditoriale, bensì perché era aduso fare speculazioni e affari, per lo più di dubbia liceità, promettendo al finanziatore di turno una percentuale sui guadagni che avrebbe lui stesso conseguito, come risulterebbe, ad esempio, dalle conversazioni registrate in data 24/09/2020. Si afferma, perciò, che lo stato di bisogno, in quanto circostanza aggravante, non può essere meramente presunta, ma deve essere oggetto di rigorosa dimostrazione, che sarebbe del tutto mancata nelle motivazioni apodittiche dei giudici di merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi non consentiti e comunque manifestamente infondati.
Quanto al primo motivo di ricorso relativa all’erroneo riconoscimento della continuazione interna tra più episodi di estorsione di cui al capo 2), va rilevato che questa eccezione non è stata oggetto dei motivi di appello, in cui, peraltro, la difesa si è limitata a chiedere di irrogare “un più contenuto aumento per la continuazione, in guisa da evitare una pena evidentemente eccessiva e sproporzionata”, implicitamente riconoscendo anche la sussistenza della continuazione interna relativa al capo 2). La Corte intende ribadire il consolidato principio
giurisprudenziale secondo cui: “Non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inammissibile il dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, atteso che la relativa questione non era stata prospettata in appello, ove il ricorrente si era limitato a dolersi dell’illegittimo diniego all’imputato del benefic della pena sospesa)”. Ne consegue l’inammissibilità del motivo perché non è stata rispettata la catena devolutiva prevista dall’ordinamento (in motivazione Sez.2, n. 19411 del 12.03.2019, COGNOME, Rv. 276062-01; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316-01; Sez. 2, n.13826 del 17.02.2017, COGNOME, Rv.269745.01).
3. Il secondo motivo, riguardante la lamentata violazione ed erronea applicazione dell’articolo 416-bis.1 cod. pen., in relazione al capo di imputazione 2), nonché il travisamento degli atti e vizio di motivazione in parte qua, è inammissibile perché aspecifico. Infatti, esso è ampiamente reiterativo di doglianze proposte nell’atto di appello, disattese nella sentenza impugnata con specifiche e puntuali argomentazioni, con le quali la difesa in buona parte non si è confrontata. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è innanzitutto e indefettibilnnente il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il Cui dispositivo si contesta. La mancanza di specificità del motivo, dunque, va valutata anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822-01 e Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME, in motivazione). Va ribadito, dunque, che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l’aggiunta di espressioni che contestino, in termini essertivi e apodittici, l correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino – come nel caso di specie di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per
confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi gravame non sono stati accolti (Sez. 2, n.33580 del 1/08/2023, RAGIONE_SOCIALE + RAGIONE_SOCIALE, non massimata sul punto; Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, COGNOME, Rv. 267611; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, COGNOME, Rv. 256133).
Nel caso di specie, si rileva che la sentenza impugnata (al punto 4.2) ha svolto una dettagliata descrizione del contenuto di alcune intercettazioni di colloqui tra l’imputato e COGNOME, da cui si desumono plurimi elementi per affermare la ricorrenza dell’aggravante del metodo mafioso, basti solo evidenziare, a titolo di esempio, il contenuto della conversazione intercettata il 30.10.2020 (RIT 1619/20, prog.1385), in cui COGNOME affermava di agire anche per conto di RAGIONE_SOCIALE per recuperare crediti non suoi, con evidente riferimento alla criminalità mafiosa locale, nonché le minacce di morte di cui vi è traccia nell’intercettazione del 15.09.2020 (RIT n.1619/20, prog. 807), dichiarazione correttamente valorizzata dalla sentenza di appello (pagg. 6/7) per dimostrare che le condotte di COGNOME si caratterizzavano per il ricorso alle modalità tipiche della criminalità organizzata. Si tratta di un valutazione di merito, esplicitata con motivazioni prive di illogicità contraddittorietà, che non può essere sindacata in sede di legittimità, non potendo la Corte sostituirsi ai giudici di merito nella valutazione delle prove.
4. Analoghe considerazioni di aspecificità riguardano l’ultimo motivo di ricorso, in COGNOME si duole della violazione ed erronea applicazione dell’articolo 644, comma 5, n. 3, cod. pen. e vizio di motivazione in parte qua. La Corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine alla medesima censura svolta nei motivi di appello. Di recente la Suprema Corte ha riaffermato il principio di diritto secondo cui: “Lo stato di bisogno della parte lesa del delitto di usura può essere provato anche con la sola misura degli interessi, nel caso in cui siano di entità tale da far ragionevolmente presumere che solo un soggetto in tale stato possa contrarre il prestito a condizioni tanto inique e onerose” (così Sez.2, n.51670, del 23.11.2023, Rv.285670-01; conf. Sez. 2, n.21993/2017, Rv.270064-01), principio a cui si è attenuta la sentenza impugnata e che il Collegio intende qui ribadire.
5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della
somma, che si si ritiene equa di euro tremila a favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende. L’imputato va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle diverse parti civili, che hanno partecipato al giudizio e presentato conclusioni scritte più nota spese, che vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, di NOME e NOME COGNOME in persona del leg. rappr. p.t. NOME COGNOME, che liquida in complessivi euro 4.423,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 23 febbraio 2024
Il Consigliere estensore