Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10976 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10976 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOMECOGNOME nato a ISOLA DI CAPO RIZZUTO il 20/11/1966, avverso la sentenza del 07/05/2024 della Corte d’appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito i Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME in difesa della parte civile NOME COGNOME che si è riportata alle conclusioni scritte, depositate unitamente all’allegata nota spese; udito l’Avvocato NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso ed ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
La Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza con cui, in data 15/02/2022, il Tribunale di Crotone aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei fatti di usura, estorsione ed intralcio alla giustizia (tutti aggrava ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.) ragion per cui, ritenuto il vincolo dell continuazione tra le diverse violazioni di legge, l’aveva condannato alla pena complessiva di anni 10 e mesi 6 di reclusione ed euro 8.200 di multa oltre al pagamento delle spese processuali, procedendo in ordine all’applicazione delle conseguenti pene accessorie ed alla condanna al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 violazione di legge penale sostanziale e processuale e vizio di motivazione sul delitto di usura: ripercorre sinteticamente la ricostruzione della vicenda operata dai giudici di merito a partire dall’iniziale prestito erogato al Suppa da NOME COGNOME nel 2010/2011 cui erano subentrati – a causa del decesso di costui – prima NOME COGNOME e, infine, NOME COGNOME segnala che, in questo contesto, i giudici di merito non hanno considerato l’estraneità del Fazio alla pattuizione usuraria, essendosi il ricorrente limitato ad indirizzare il COGNOME dal COGNOME ed a consegnare in alcune occasioni il denaro alla persona offesa non avendo ricoperto alcun ruolo nemmeno nel rapporto direttamente instaurato da costui con i COGNOME; osserva che la responsabilità del ricorrente è stata affermata su presupposti fattuali contraddetti dalla stessa ricostruzione operata dalle due sentenze di merito in quanto la Corte non si è confrontata con il dato secondo cui il ricorrente era all’oscuro dei rapporti intercorrenti tra il COGNOME ed i COGNOME oltre che alle stesse originarie pattuizioni intercorse con il COGNOME;
2.2 violazione di legge penale sostanziale e processuale e vizio di motivazione in merito al delitto di estorsione, anche con riferimento all’elemento soggettivo: rileva che le due sentenze di merito finiscono per attribuire al COGNOME, per traslazione, condotte di natura estorsiva commesse in danno del COGNOME ma riferibili solo ed esclusivamente ai COGNOME; aggiunge che la responsabilità concorsuale del COGNOME in merito ai fatti di estorsione collide con la sua accertata estraneità ai prestiti di cui era stato destinatario il COGNOME il quale, dal canto suo aveva riferito in ordine agli ottimi rapporti sempre e costantemente intrattenuti con l’odierno ricorrente tanto da avergli proposto, nel 2020, di costituire insieme una società commerciale circostanza che, inconciliabile con il ruolo attribuitogli, la Corte ha del tutto omesso di vagliare;
2.3 violazione di legge sostanziale penale e processuale e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il delitto di cui al capo C): rileva che i giudici di merito non hanno potuto individuare alcuna
condotta decettiva nei confronti del COGNOME, avendo invece interpretato in chiave accusatoria le espressioni profferite nel corso di una conversazione intercorsa con la compagna della persona offesa; aggiunge, inoltre, che le due sentenze di merito non hanno potuto dar conto del fatto che le presunte e larvate minacce che sarebbero state profferite dal COGNOME fossero state effettivamente riportate al COGNOME il quale, d’altra parte, non aveva receduto dalle proprie accuse, rendendo così praticabile l’alternativa ipotesi secondo cui egli non fosse mai stato messo a parte delle pretese minacce ovvero, comunque, che le parole del Fabio non possedessero alcuna valenza minatoria;
2.4 violazione di legge penale sostanziale e processuale e vizio di motivazione in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.: segnala che l’aggravante mafiosa era stata contestata ed è stata ritenuta sotto il profilo oggettivo pur essendo il Fabio pacificamente estraneo ad ambienti della criminalità organizzata non potendosi identificare il metodo mafioso con le minacce che integrano un elemento costitutivo proprio del reato, ovvero con la mera contestualità territoriale in cui era maturata la vicenda;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso;
la parte civile ha trasmesso una memoria con conclusioni scritte cui si è riportata;
la difesa, a sua volta, ha trasmesso una memoria in replica alle argomentazioni del PG insistendo, pertanto, per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito ed all’esito di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, dei delitti di (A) usura aggravata dal metodo mafioso in danno dell’imprenditore NOME COGNOME il quale, su sua indicazione, si era rivolto nel 2010-2011 a tale COGNOME dal quale aveva ottenuto un prestito di 4.000 euro; nel mese di novembre 2014 il COGNOME era deceduto e NOME COGNOME, presente il COGNOME, aveva fatto presente al COGNOME che, secondo le originarie intese intercorse con il COGNOME, il suo debito ammontava a 20.000 euro concordando un “piano di rientro”
rateizzato a 250 rate mensili da 150 euro importo, nell’agosto-settembre 2018, su iniziativa di NOME COGNOME, sarebbe stato portato a 250 euro; del delitto (B) di estorsione – in concorso con COGNOME – aggravata e continuata in danno di NOME COGNOME e, infine, del delitto (C) di intralcio alla giustizia, consistente in condotte finalizzate ad ottenere la ritrattazione del COGNOME a séguito dell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare in danno di NOME, NOME e NOME COGNOME.
Il primo giudice aveva ricostruito la vicenda partendo dalle dichiarazioni del COGNOME, di cui aveva ritenuto la piena attendibilità, supportate da una serie di elementi oggettivi di riscontro che avevano permesso, complessivamente, di trarre conferma dell’ipotesi accusatoria compendiate nel capo di imputazione.
La Corte d’appello ha motivato la conferma della decisione del Tribunale replicando alle censure articolate dalla difesa in termini puntuali in fatto e corrett in diritto e rispetto ai quali le censure formulate nel ricorso risultano in gran part generiche, reiterative delle medesime doglianze già compiutamente vagliate dai giudici di secondo grado e, per il resto, fondate su premesse di natura ermeneuta giuridicamente non condivisibili.
3.1 Tanto premesso, osserva il collegio che nei primi tre motivi di ricorso la difesa deduce, promiscuamente, violazione di legge e vizio di motivazione in punto di responsabilità per ciascuna delle tre ipotesi di reato ascritte all’imputato dovendosi allora ribadire che è inammissibile, per aspecificità, ex artt. 581, comma 1 e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., il motivo che denunci l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonché, in modo cumulativo, promiscuo e perplesso, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, ove non sia indicato specificamente il vizio di motivazione dedotto per i singoli, distinti aspetti, con puntuale richiamo, alle parti della motivazione censurata (cfr., così, ad esempio, Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME, Rv. 285870 – 01).
D’altra parte, il motivo di ricorso fondato sulla lett. b) dell’art. 606 cod proc. pen. deve essere invero articolato sotto il profilo della contestazione della riconducibilità del fatto – così come ricostruito dai giudici di merito – nel fattispecie astratta delineata dal legislatore; e non, invece, come nel caso di specie, mettendo in dubbio o contestando che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale, operazione che comporta una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio, essendo preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal
giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure, in ipotesi, anch’essa logica, dei dati processuali o percorrere una diversa ricostruzione storica dei fatti ovvero formulare un diverso giudizio di rilevanza o di attendibilità delle fonti di prova (cfr., tra le tante, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148).
Il sindacato sulla motivazione, dal canto suo, deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenb errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 2, n. 36119 del 4.7.2017, COGNOME; Sez. 1, n. 41738 del 10.10.2011 n. 41.738, COGNOME; Sez. 6, n. 108ì951 del 15.3.2006, COGNOME), sicché non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatori del singolo elemento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2.1 Ad ogni modo, il primo motivo, incentrato sulla contestazione della responsabilità per il delitto di usura, si fonda, a ben guardare, su una diversa ricostruzione fattuale e, conseguentemente, su una errata prospettiva ermeneutica: sotto il primo profilo, infatti, la difesa non considera quanto puntualmente rilevato da entrambi i giudici di merito circa il fatto che il Fazio, cui
il COGNOME aveva confidato le proprie difficoltà, dopo averlo presentato al COGNOME, era stato incaricato da costui di riscuotere i ratei del mutuo usurario (cfr., pagg. 7 e 11 della sentenza impugnata che ha valorizzato proprio questo aspetto per disegnare la figura dell’odierno ricorrente come colui che, sfruttando il rapporto di antica consuetudine e fiducia che in lui riponeva la persona offesa, aveva di fatto consentito la rovina del COGNOME finendo persino per estrometterlo dal mercato di Le Castella).
Del tutto congruamente, pertanto, proprio dalle circostanze sopra richiamate, i giudici di merito hanno potuto desumere la consapevolezza, da parte del COGNOME, delle condizioni illecite cui il prestito era stato erogato dal COGNOME e, conseguenza, fondarne la responsabilità concorsuale per il delitto di usura; in tal modo hanno dato continuità e si sono conformati all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il delitto di usura si configura come reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata perché i pagamenti effettuati dalla persona offesa, in esecuzione del patto usurario, compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, con la conseguenza che ne rispondono a titolo di concorso nel reato i terzi, estranei all’accordo originario, che intervengono dando impulso alla procedura esecutiva per il recupero dei crediti rimasti inadempiuti e per il conseguimento dell’illecito vantaggio usurario dagli stessi preteso (cfr., Sez. 2, n. 40380 del 11/06/2015, COGNOME, Rv. 264887 – 01; Sez. 2, n. 26553 del 12/06/2007, COGNOME, Rv. 237169 01; Sez. 2, n. 34910 del 10/07/2008, COGNOME, Rv. 241818 – 01 cfr.’ più recentemente, Sez. 1, n. 17029 del 12/12/2022, dep. 2023, C. Rv. 284402 – 01, in cui la Corte ha ribadito che risponde del delitto di usura in concorso chi, in un momento successivo al perfezionamento dell’accordo usurario, avendo ricevuto l’incarico di recuperare il credito, ne ottiene il pagamento, vertendosi in tema di reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata). 3.2.2 Il secondo motivo del ricorso è aspecifico. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La difesa, infatti, non si confronta con le considerazioni sviluppate dai giudici di merito, alla luce delle emergenze istruttorie, in ordine alla condotta tenuta dal COGNOME una volta subentrati i COGNOME nella gestione del rapporto usurario con il COGNOME (cfr., pagg. 11 e 39 della sentenza di primo grado quanto alle minacce di cui il COGNOME fu vittima ad opera di NOME COGNOME e dello stesso COGNOME che “… gli mostrarono una pistola …”) nell’ambito del quale il COGNOME aveva assunto un ruolo ambiguo, non raro in contesti del genere, presentandosi alla vittima come persona che, anche alla luce dei pregressi rapporti, era in grado di intercedere in suo favore salvo, poi, disvelare il suo vero ruolo che, nel caso di specie, lo aveva portato non soltanto a spalleggiare sia il COGNOME che i COGNOME ma, infine, ad estromettere il COGNOME
dal mercato di Le Castella in cui, da una posizione di mero collaboratore della persona offesa, era invece subentrato in prima persona.
In termini logicamente lineari, dunque, i giudici di secondo grado hanno ribadito l’effettiva affidabilità della persona offesa con cui il COGNOME si era rapporta sfruttando il rapporto di consuetudine e collaborazione, strumentalmente utilizzato per assoggettare il COGNOME in un contesto di rapporti economici obiettivamente illeciti; hanno infatti evidenziato che il COGNOME aveva visto nel COGNOME colui al quale confidare i propri problemi economici, venendo presentato al COGNOME proprio su iniziativa dell’imputato cui aveva proseguito ad affidare le somme da recapitare al proprio creditore; lo stesso COGNOME, ad ulteriore testimonianza della ambivalenza del ruolo ricoperto dall’odierno ricorrente, aveva inizialmente evitato di coinvolgere il COGNOME nella denuncia che aveva portato all’arresto dei COGNOME (cfr., pag. 11 della sentenza impugnata).
3.2.3 Analoghe considerazioni circa l’aspecificità delle censure articolate dalla difesa possono essere svolte con riguardo al terzo motivo: i giudici di merito hanno motivato in termini ampi e dettagliati (cfr., pagg. 12-13; 18; 20-28; 5356; pagg. 12-13 della sentenza di secondo grado) circa i tentativi del COGNOME di indurre il COGNOME a rivedere le proprie dichiarazioni, facendo pervenire questo messaggio alla persona offesa sia attraverso il COGNOME che, anche, attraverso la compagna della vittima.
È pacifico, d’altra parte, che integra il reato di cui all’art. 377, terzo comma, cod. pen., qualsiasi condotta minacciosa posta in essere al fine – non raggiunto di far commettere al soggetto passivo uno dei reati indicati nel primo comma del predetto art. 377 (false dichiarazioni al pubblico ministero o al difensore, falsa testimonianza, falsa perizia o interpretazione), indipendentemente dalla gravità della minaccia (cfr., in tal senso, ad esempio, Sez. 6, n. 14862 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 263117 – 01, resa in un caso in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza di condanna nei confronti di imputato che aveva rivolto la frase “pensa a dopo” al soggetto passivo che si accingeva a deporre come testimone in un procedimento a carico del fratello della stessa).
Non rileva, evidentemente, che il Suppa non abbia receduto dalle proprie dichiarazioni accusatorie, atteso che il delitto di cui all’art. 377 cod. pen. è un reato di pericolo tanto che si esclude possa atteggiarsi nella forma del tentativo, realizzando una tutela anticipata del bene giuridico del buon andamento dell’amministrazione della giustizia (cfr., Sez. 6, n. 34667 del 05/05/2016, Arduino, Rv. 267704 – 01, in coerenza con Sez. U, n. 37503 del 30/10/2002, COGNOME, Rv. 222348 – 01).
–
–
GLYPH
GLYPH
Altrettanto pacifico, poi, che il delitto di intralcio alla giustizia di cui all 377 cod. pen. possa realizzarsi nel compiere pressioni o minacce sulla persona che ha reso dichiarazioni accusatorie in fase di indagini preliminari per indurla alla ritrattazione in detta fase o in prospettiva del successivo dibattimento (cfr., Sez. 2, n. 27382 del 08/02/2023, GLYPH COGNOME GLYPH Rv. 284866 GLYPH 01; Sez. 6, n. 17665 del 17/02/2016, GLYPH COGNOME Rv. 266796 GLYPH 01; Sez. 6, n. 50008 del 20/10/2015, COGNOME, Rv. 266040 – 01).
3.2.4 Il quarto motivo è generico e, comunque, manifestamente infondato.
La difesa, infatti, non si confronta con la puntuale motivazione resa sul punto dai giudici di merito (cfr., pagg. 57-58 della sentenza di primo grado e pag. 14 della sentenza di secondo grado); soprattutto, pare non considerare il principio per cui la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso non presuppone necessariamente l’esistenza di un’associazione con le caratteristiche di cui all’art. 416-bis, cod. pen., essendo sufficiente, ai fini della sua applicazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intinnidatrice “tipica” dell’agire mafioso essendo perciò l’aggravante configurabile tanto con riferimento ai reatifine commessi nell’ambito di un’associazione criminale comune, che nel caso di reati posti in essere da soggetti estranei al reato associativo (cfr., Sez. 6, n. 41772 del 13.6.2017, Vicidomini; Sez. 5, n. 21530 dell’8.2.2018, Spada).
La circostanza del metodo mafioso è, pertanto, configurabile anche a carico di soggetto che non faccia parte di un’associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto (cfr., Sez. 2, n. 38094 del 5.6.2013, De Paola; Sez. 2, n. 16053 del 25.23.2015, Campanella; Sez. 1, n. 5881 del 4.11.2011, COGNOME; Sez. 2, n. 322 del 2.10.2013, COGNOME).
In altri termini, quel che rileva non è la effettiva e reale esistenza di un sodalizio riconducibile a quelli connotati dalle caratteristiche proprie di cui all’art 416-bis cod. pen. e, per altro verso, ovvero che il reo ne faccia effettivamente parte, ma il fare ricorso a metodi propri e simili a quelli utilizzati nell’ambito quelle consorterie criminali, connotate per l’appunto dalla forza intimidatrice promanante ge -1=Eapitizu2to dalla consapevolezza, da parte delle vittime, che la condotta criminosa di cui sono destinatarie non è riconducibile esclusivamente all’autore materiale della condotta in quel momento da essi subita ma, ben diversamente, che costui possa contare sull’apporto di terzi in grado di sostenerne l’azione, di vendicarlo se occorre, comunque di intervenire in suo aiuto anche con metodi violenti; con l’effetto, così, di ridurre, per ciò solo, i margini di “resistenz
della persona offesa in tal modo indotta ad accondiscendere “spontaneamente” ed a non reagire rispetto alle illegittime pretese avanzate nei suoi confronti.
Come è stato chiarito, è sufficiente, cioè, che l’esistenza di un sodalizio appaia sullo sfondo, perché evocato dall’agente, inducendo perciò la vittima sia spinta ad adeguarsi al volere dell’aggressore – o ad abbandonare ogni velleità di difesa – per timore di più gravi conseguenze; ciò in quanto “la ratio della disposizione di cui all’art. 7 D.L. 152/1991 non è soltanto quella di punire con pena più grave coloro che commettono reati utilizzando metodi mafiosi o con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisa, stante la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, siano essi partecipi o meno in reati associativi, si comportino da mafiosi, oppure ostentino in maniera evidente e provocatoria una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione o quella conseguente intimidazione, propria delle organizzazioni della specie considerata” (cfr., così, Sez. 6, n. 582 del 19.2.1998, Primasso).
E’ infine pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che l’aggravante delle più persone riunite, avendo riguardo alle modalità dell’azione, ha natura oggettiva sicché si comunica ai correi non presenti nei luogo di consumazione del reato, se siano stati consapevoli che il reato stesso sarebbe stato consumato da più persone riunite, ovvero se abbiano ignorato per colpa tale circostanza (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 46221 del 08/11/2023, COGNOME, Rv. 285443 – 01, resa in una fattispecie relativa a imputato che aveva conferito incarico a più persone, affinché, in sua assenza, riscuotessero un credito usurario presso la persona offesa con violenza e minaccia; Sez. 2, n. 36926 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 273521 – 01; Sez. 2, n. 31199 del 19/06/2014, Posteraro, Rv. 259987 – 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragioni che escludano profili di colpa nella proposizione del gravame.
L’imputato va infine condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute, nel grado, dalla costituita parte civile, liquidate alla luce dell notuia e delle tariffe professionali, come in dispositivo.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME ch liquida in complessivi euro 3.686,00 oltre accessori di legge.
Così è deciso, 26/02/2025
Il C
PI
estensore
GLYPH
Il Presidente
NOME COGNOME
l’ A
COGNOME