Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4197 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4197 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Regalbuto il 19/04/1973
avverso l’ordinanza del 03/10/2024 del Tribunale di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore enerale NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 03/10/2024, il Tribunale di Caltanissetta rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta da NOME COGNOME contro l’ordinanza del 24/08/2024 del G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta con la quale era stata disposta, nei confronti dello stesso COGNOME, la misura della custodia cautelare in carcere per essere egli gravemente indiziato del delitto di rapina pluriaggravata (dall’essere stata la violenza commessa da più persone riunite, nonché dai cosiddetti metodo mafioso e agevolazione mafiosa) in concorso (con il mandante NOME COGNOME COGNOME e con il fratello NOME COGNOME, anch’egli, come NOME COGNOME, esecutore materiale) di un ciclomotore ai danni di NOME COGNOME e in
relazione all’esigenza cautelare di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen.
Avverso tale ordinanza del 03/10/2024 del Tribunale di Caltanissetta, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 273 dello stesso codice «in punto di riconoscimento dei gravi indizi di colpevolezza».
Il ricorrente lamenta che sia il G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta sia Tribunale di Caltanissetta si sarebbero «limitati a ritenere integrato il requisito de gravi indizi di colpevolezza», senza che nelle due ordinanze da essi adottate siano state esposte le «ragioni per le quali il Tribunale abbia ritenuto non attendibili e non suscettibili di interpretazione differente le risultanze delle investigazioni incorrendo in tal guisa nella violazione delle norme processuali relative all’obbligo di motivazione».
Il ricorrente contesta la motivazione del Tribunale di Caltanissetta secondo cui «l quadro indiziario tracciato nel provvedimento impugnato a carico di COGNOME NOME appare, invero, robusto e lineare», in quanto «l tenore dei dialoghi intercettati impone, infatti, di aderire alla prospettazione offerta dal P.M.», deduce in proposito che «nella trascrizione delle intercettazioni, di cui vi è traccia nell’ordinanza applicativa della misura carceraria, si è in presenza di svariati omissis nell’ambito di una stessa conversazione e quindi, di frasi a metà, estrapolate dal contesto ed oggetto di traduzione dal dialetto all’italiano». Con la conseguenza che difetterebbe il requisito della chiarezza del contenuto della conversazione intercettata, che dovrebbe ricorrere «affinché gli indizi raccolti nel corso di conversazioni telefoniche o ambientali assumano valenza probatoria».
Il Rundo rappresenta poi che, «n ogni caso, fra più significati parimenti attribuibili all’indizio, deve privilegiarsi quello più favorevole all’indagato, che p essere accantonato solo qualora risulti inconciliabile con altri univoci elementi di segno opposto», e che «a necessità di giustificare in modo logicamente corretto e, comunque, esente da manifeste illogicità il rigetto delle interpretazioni di segno contrario, implica anche una valutazione della precisione degli indizi e della concordanza fra loro».
Ciò rappresentato, il ricorrente lamenta che «nessun indizio in tal senso può scaturire dalla semplice lettura dell’incartamento processuale» e rammenta che la verifica delle ragioni affermative della gravità del quadro indiziario deve tenere conto della regola del favor rei, la quale, in presenza di due significati ugualmente attribuibili a un dato probatorio, impone di privilegiare quello più favorevole all’indagato.
Il ricorrente contesta poi che il G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta avrebbe «fatto ricorso alla tecnica redazionale del c.d. “copia-incolla” rispetto alla richiest presentata dalla Procura», prestando alla stessa «una adesione acritica e difettando in tale modo di “autonoma valutazione” dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze di cautela e, dunque, violando gli artt. 292 e 309 c.p.p.».
Secondo il ricorrente, «’ordinanza custodiale, le cui motivazioni vengono integralmente richiamate dal Tribunale del Riesame manca di “una sia pur sintetica valutazione autonoma dei fatti rappresentati dal P.M.”, i quali sono stati trasfusi pedissequamente nelle ordinanze impugnate senza alcuna rielaborazione riguardo alla posizione dei Rundo avendo il GIP ed anche il collegio limitato a riproporre il contenuto dell’atto proveniente dalla pubblica accusa», con il conseguente carattere meramente apparente della motivazione sia dell’ordinanza “genetica” sia «di riflesso dl Tribunale».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 110 e «629 co. 2 in relazione all’art. 628 co. 3 n. 3 c.p.», «in punto di mancato riconoscimento del diverso e meno grave reato di cui agli artt. 392-393 c.p.».
Il Rundo contesta che nell’ordinanza impugnata mancherebbe «alcuna ragione completa e chiara» dell’affermata infondatezza del motivo di riesame con il quale egli aveva dedotto che il fatto in contestazione avrebbe dovuto essere qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone o alle cose, atteso che «’unica “chiosa” è il richiamo al bene giuridico tutelato dalle norme de quibus».
Il ricorrente deduce che «trattenere con forza un ciclomotore appartenente al legittimo proprietario e minacciarlo con lo scopo di ottenere un altro bene, costituisce una forma di autotutela indubbiamente illecita», con la conseguenza che, «se si ritiene di avere un diritto legittimo (in questo caso, il recupero di u bene rubato), l’uso della forza o della minaccia per fare valere tale diritto configura il reato sopra citato» di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Dopo avere richiamato Sez. 2, n. 26139 del 05/05/2021, Greco, non massimata, sulla distinzione tra il delitto di rapina e il delitto di esercizio arbitr delle proprie ragioni con violenza alle persone, il ricorrente lamenta che «la magistratura ha voluto escludere anche per i Rundo letture alternative unicamente al solo fine di tentare di dimostrare, per l’ennesima volta, la caratura mafiosa ed il ruolo indiscusso di boss dell’COGNOME NOME».
Il COGNOME espone ancora che la valutazione della prova indiziaria «ruota intorno ad una lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio», essendo «bandita qualsiasi valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi», i quali
devono essere certi, gravi, precisi, «univoci e non suscettibili di una diversa interpretazione» e concordanti.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. «in punto di riconoscimento della circostanza aggravante del metodo mafioso».
Dopo avere esposto che il Tribunale di Caltanissetta, nel motivare la sussistenza dei gravi indizi di tale circostanza aggravante del metodo mafioso, ha affermato che lo COGNOME, «già l’indomani , si recava personalmente dall’Arcadia per chiedere perdono e manifestare sottomissione» (pag. 8, primo capoverso, dell’ordinanza impugnata), il Rundo contesta che «on è dato sapere da dove abbiano ricavato questo dato fattuale, atteso che, lo COGNOME si recava dall’Arcadia unicamente per chiedergli di intercedere con i COGNOME affinché gli restituissero il ciclomotore».
Dopo avere ulteriormente esposto come «il metodo mafioso vada interpretato in termini diversi a seconda che sia elemento della fattispecie associativa, ovvero costituisca la circostanza aggravante di uno specifico delitto», e dopo avere rammentato come l’art. 416-bís.1 cod. pen. preveda, accanto all’aggravante di natura oggettiva del metodo mafioso, l’aggravante di natura soggettiva del fine di agevolare le attività delle associazioni di tipo mafioso, il ricorrente deduce che il G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta, nel ritenere la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, avrebbe commesso un «grave errore di fondo», in quanto avrebbe «afferma la configurabilità dell’aggravante del metodo mafioso ex art. 416 bis 1 c.a. con quella del fatto commesso dal partecipe all’associazione mafiosa in materia di rapina prevista dall’art. 628 co. 3 c.a.».
Il ricorrente sostiene che l’opzione ermeneutica che sarebbe stata seguita dal G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta e che sarebbe stata «condivisa anche dal Tribunale del riesame» nasconderebbe «il tentativo di far entrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta: difatti, pur di inchiodare l’Arcadia e dimostrare a tutti costi la sua levatura mafiosa e la presunta volontà di quest’ultimo di riaffermarsi come il boss indiscusso di Regalbuto, si finisce con il dimenticare che, nell’art. 416bis.1 c.p., invece, si vuole sempre punire la maggiore valenza intimidatoria», sicché «la prima circostanza aggravante concerne la sola qualifica soggettiva del soggetto che ponga in essere la condotta intimidatoria; la seconda , invece, attiene alla sua modalità d estrinsecazione».
Il COGNOME conclude che, «dall’incartamento processuale, non risulta che venga considerato un affiliato all’associazione mafiosa operante sul territorio di
COGNOME», sicché sarebbe «evidente, pertanto, che i Giudici siano incorsi in un grave errore che inevitabilmente inficia anche la legittimità della motivazione».
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 273, 274 e 292, comma 2, lett. c), dello stesso codice, nonché dell’art. 416-bis.1 cod. pen. «in punto di riconoscimento delle specifiche esigenze cautelari».
Il Rundo contesta anzitutto che il Tribunale di Caltanissetta non avrebbe «forni alcuna risposta alla censura difensiva tendente a dimostrare l’insussistenza delle specifiche esigenze cautelari, limitandosi a condividere la valutazione compiuta dal primo giudice e nascondendosi, in tal guisa, dietro il metodo della motivazione per relationem, nella sub-specie della cd. motivazione copia-incolla».
Il ricorrente deduce che, nella specie, sarebbero insussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., che il Tribunale di Caltanissetta avrebbe erroneamente ritenuto «sulla sola base della presunzione di esclusiva adeguatezza della misura intramuraria a cagione dei reati contestati» (così il ricorso).
In proposito, il ricorrente rappresenta che, se è vero che anche la sussistenza di una delle aggravanti previste dall’art. 416-bis.1 cod. pen. determina l’operare della presunzione di pericolosità ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sarebbe «altrettanto incontrovertibile che siffatta presunzione, oltre ad avere carattere relativo, va giudicata secondo parametri diversi da quelli dettati per l’associato atteso che l’assenza dell’affectio societatis consente di escludere il ripetersi della situazione che ha dato luogo al contributo dell’extraneus al metodo della consorteria».
Secondo il COGNOME, la motivazione dell’ordinanza impugnata si sarebbe «risolta in una serie di affermazioni generiche e apodittiche, frutto dell’evidente profondo pregiudizio nutrito dagli inquirenti ed anche dai giudici nei confronti anzitutto dell’Arcodia e dei COGNOME, non solo in ragione dei rapporti intrattenuti con il primo, ma anche per i precedenti penali di questi ultimi».
Il ricorrente contesta la «mancata esposizione delle “specifiche esigenze cautelari”», con riferimento ai requisiti della concretezza e dell’attualità de pericolo di reiterazione dei reati, i quali renderebbero «necessaria ed indefettibile una prognosi correlata alla situazione esistenziale e ambientale in cui verrà a trovarsi l’indagato nell’ipotesi in cui venga meno la detenzione» e, in particolare, al requisito dell’attualità del pericolo, il quale richiederebbe «la valutazione di u “pericolo prossimo” all’epoca in cui viene applicata la misura ovvero di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche ed
astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi», ciò che imporrebbe «una rimeditazione dell’onere motivazionale del giudice».
La motivazione resa dal Tribunale di Caltanissetta non sarebbe idonea a connotare in chiave di attualità il rischio cautelare, da intendersi come occasione prossima favorevole alla commissione di nuovi reati, così che si possa ritenere la certezza o comunque l’elevata probabilità che l’occasione del delitto si presenterà e che, altrettanto certamente o, comunque, con un elevato grado di probabilità, l’indagato tornerà a delinquere.
Il COGNOME lamenta ) infine r che il Tribunale di Caltanissetta avrebbe fatto ricorso «a una mera formula di stile» anziché adempiere all’obbligo di motivare in ordine all’adeguatezza della misura, indicando le concrete e specifiche ragioni per cui ogni altra misura diversa da quella che era stata disposta si dovesse ritenere inidonea a fronteggiare il pericolo di reiterazione del reato; le quali ragioni andrebbero «desunte con specifico riferimento alla vicenda concreta», tenendo anche conto della «possibilità di graduare la custodia domestica attraverso l’imposizione di limiti e/o divieti ex art. 284 co. 2 c.p.p. che consentono di adeguare l’intervento coercitivo alla situazione concreta da tutelare».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo non è consentito perché non si confronta con il contenuto motivazionale dell’ordinanza impugnata ed è del tutto generico.
Si deve in proposito precisare che il Tribunale di Caltanissetta, nel motivare la sussistenza dei gravi di colpevolezza a carico del ricorrente, non si è limitato ad affermare che «l quadro indiziario tracciato nel provvedimento impugnato a carico di COGNOME NOME appare, invero, robusto e lineare», in quanto «l tenore dei dialoghi intercettati impone, infatti, di aderire alla prospettazione offerta d P.M.», ma ha diffusamente esposto, alle pagine da 5 a 7 dell’ordinanza impugnata, il contenuto di ciascuno degli stessi dialoghi, dei quali ha anche trascritto i passaggi che ha ritenuto maggiormente significativi, evidenziando come lo stesso contenuto consentisse di «fotografare, una dopo l’altra, tutte le fasi nelle quali si è snodata la vicenda criminale».
Il ricorrente ha del tutto omesso di confrontarsi con tale diffusa e puntuale motivazione e, a fronte di essa, ha prospettato delle censure totalmente generiche, atteso che: 1) nel lamentare che il Tribunale di Caltanissetta non avrebbe esposto le «ragioni per le quali abbia ritenuto non attendibili e non suscettibil interpretazione differente le risultanze delle investigazioni», non ha indicato né a quali risultanze investigative faccia riferimento né quale sarebbe stata la differente interpretazione di esse in ipotesi a sé favorevole; 2) nel contestare il difetto d chiarezza del contenuto delle conversazioni intercettate, non ha indicato né a quali
conversazioni faccia riferimento né in che termini il contenuto di esse si dovrebbe ritenere non chiaro; 3) nel dedurre che «fra più significati parimenti attribuibi all’indizio, deve privilegiarsi quello più favorevole all’indagato», nel rappresentare «[ha necessità di giustificare in modo logicamente corretto e, comunque, esente da manifeste illogicità il rigetto delle interpretazioni di segno contrario», e ne rammentare che la verifica delle ragioni affermative della gravità del quadro indiziario deve tenere conto della regola del favor rei, la quale, in presenza di due significati ugualmente attribuibili a un dato probatorio, impone di privilegiare quello più favorevole all’indagato, non ha indicato né a quali dati probatori faccia riferimento, né quale sarebbe stato il significato a sé più favorevole che sarebbe stato in ipotesi attribuibile agli stessi dati, né quali specifiche «interpretazion segno contrario» stia invocando.
Il ricorrente ripropone poi la doglianza, che aveva già avanzato in sede di riesame, circa l’asserita violazione, da parte del G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta, della prescrizione della necessaria autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari che è stabilita dall’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., anche in questo caso, tuttavia, senza confrontarsi, come sarebbe stato invece necessario fare, con la motivazione con la quale il Tribunale di Caltanissetta, al punto 2.1 dell’ordinanza impugnata (pagine da 4 a 5), ha rigettato la stessa doglianza, evidenziando come dalla lettura dell’ordinanza “genetica” (le pagine di interesse sono quelle da 574 a 576) emergesse come il G.i.p. avesse svolto un effettivo vaglio degli elementi di fatto che aveva ritenuto decisivi ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari con riguardo al contestato delitto di rapina e alla posizione del ricorrente.
Quanto alla censura secondo cui «anche il collegio limitato a riproporre il contenuto dell’atto proveniente dalla pubblica accusa», anch’essa risulta del tutto generica e, comunque, manifestamente infondata, atteso che, dalla lettura delle già indicate pagine da 5 a 7 dell’ordinanza impugnata, emerge come il Tribunale di Caltanissetta abbia sì condiviso l’impostazione del pubblico ministero, ma non limitandosi a riproporla acriticamente k2 come si è detto, esponendo il contenuto dei dialoghi intercettati i (usi; sulla base della propria interpretazione di esso, a ritenere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, con una motivazione che, contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, non risulta, perciò, in alcun modo meramente apparente.
Il secondo motivo non è consentito ed è, in ogni caso, manifestamente infondato.
2.1. Il motivo non è consentito in quanto muove dalla premessa che gli indagati si sarebbero impossessati con violenza del ciclomotore dello COGNOME «con lo scopo di ottenere un altro bene», cioè, si deve ritenere, con lo scopo di
costringere lo COGNOME a restituire gli agnelli che egli aveva sottratto a NOME COGNOME
Tale ricostruzione non è, però, quella che è stata accolta dal Tribunale di Caltanissetta, il quale, nel rigettare il motivo di riesame con il quale il Rundo aveva dedotto che il fatto a lui contestato avrebbe dovuto essere qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ha affermato che la condotta criminosa era «animata dallo scopo di punire l’autore di un furto e di ristabilire gli equilibri di pot nel territorio».
Ne discende che il ricorrente, nel lamentare una violazione di legge, ha in realtà prospettato una ricostruzione del fatto diversa da quella che è stata fatta propria dal giudice di merito, senza peraltro contestarla adeguatamente, con la conseguenza che la doglianza di violazione di legge, così articolata, si deve ritenere non consentita.
2.2. In ogni caso, anche ponendosi nella prospettiva dell’indicata premessa del ricorrente, il motivo si deve ritenere manifestamente infondato.
L’elemento distintivo del delitto di rapina da quello di esercizio arbitrario dell proprie ragioni con violenza alle persone risiede nell’elemento soggettivo, perché nel primo caso l’autore agisce al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa (Sez. 2, n. 11484 del 14/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269685-01. Con tale pronuncia la Corte, in applicazione del citato principio, ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna per il delitto di rapina pronunciata nei confronti degli imputati che, vantando un credito riconducibile alla mancata restituzione di una modesta somma di denaro elargita alla persona offesa, l’avevano inseguita e, nel corso della colluttazione successivamente sviluppatasi, le avevano sottratto il cellulare. Nello stesso senso: Sez. 2, n. 11484 del 14/12/2016, dep. 2017, COGNOME Rv. 26968501; Sez. 6, n. 23678 del 01/04/2015, COGNOME, Rv. 263840-01; la non massimata Sez. 2, n. 26139 del 05/05/2021, Greco, richiamata anche dal ricorrente).
Più di recente, le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027-02), nel chiarire la distinzione tra i delitti d esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e di estorsione – ma affermando un principio che, mutatis mutandis, è di rilievo anche ai fini della distinzione tra il primo di detti delitti e quello di rapina – dopo avere statuito c la suddetta distinzione deve essere operata in relazione all’elemento psicologico, da accertare secondo le ordinarie regole probatorie, ha precisato che, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, l’agente
persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione, non meramente astratta e arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di esercitare una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria.
Nel caso di specie, anche ponendosi, come si è detto, nella prospettiva dell’indicata premessa del ricorrente, la totale mancanza di corrispondenza tra l’asseritamente vantato diritto alla restituzione degli ovini che sarebbero stati sottratti dallo COGNOME e la pretesa, attuata dagli indagati, di impossessarsi, al fi di ottenere tale restituzione, di un bene diverso dagli stessi ovini (il ciclomotore dello COGNOME) renderebbe comunque immediatamente palese l’assoluta arbitrarietà della pretesa azionata dagli indagati e la sua del tutto evidente insuscettibilità di formare oggetto di un’azione giudiziaria.
Ne consegue che, in ogni caso, verrebbe a emergere la consapevolezza, in capo agli indagati, della non spettanza di quanto da essi preteso e della sua non azionabilità in giudizio e, quindi, l’ingiustizia del profitto da essi perseguito, con conseguente esclusione della qualificazione del fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e qualificazione dello stesso come rapina.
Il terzo motivo non è consentito per difetto di interesse.
A tale proposito, si deve rilevare che: 1) il Tribunale di Caltanissetta ha motivato la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. nella sua duplice declinazione, così come contestata, del metodo mafioso e dell’agevolazione mafiosa; 2) con il motivo di ricorso, il ricorrente ha contestato soltanto la prima di tali due declinazioni dell’elemento accidentale, cioè quella, di natura oggettiva, del metodo mafioso.
Tale parzialità della contestazione non consente di individuare un interesse del Rundo a ricorrere per cassazione.
La Corte di cassazione ha infatti chiarito – affermando un principio che il Collegio, condividendolo, intende ribadire -, che, in tema di impugnazioni avverso misure cautelari personali, ove sia contestata l’aggravante di cui all’art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. con modif. dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1 cod. pen.), nella duplice accezione del metodo e dell’agevolazione mafiosa, non sussiste l’interesse dell’indagato a ricorrere in cassazione ove contesti una sola delle declinazioni della circostanza, non derivando dall’eventuale accoglimento del ricorso alcuna concreta utilità (Sez. 6, n. 550 del 31/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274936-01).
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, il Tribunale di Caltanissetta, con riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari, non ha utilizzato una «cd. motivazione copia-incolla» ma risulta avere esposto, alle pagine
da 8 a 9 dell’ordinanza impugnata, le proprie autonome valutazioni in ordine al pericolo che il Rundo potesse commettere delitti della stessa specie di quello per il quale si stava procedendo.
Inoltre, il Tribunale di Caltanissetta non ha ritenuto la sussistenza dello stesso pericolo solo sulla base della presunzione relativa di esistenza delle esigenze cautelari che è prevista dall’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., con riguardo ai delitti aggravati anche da una sola delle due circostanze aggravanti di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., ma, oltre ad avere dato atto dell’inesistenza d specifici elementi idonei a vincere la suddetta presunzione relativa, ha anche motivato come, anche a prescindere da essa, ricorressero plurimi elementi che si dovevano ritenere deporre nel senso dell’attualità e concretezza del rischio di recidiva di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen. Segnatamente: 1) il carattere brutale e smodato della violenza che era stata commessa nei confronti della vittima della rapina, che il COGNOME, dopo averle teso un’imboscata, aveva picchiato selvaggiamente e minacciato gravemente, così manifestando una personalità negativa e spregiudicata, la cui allarmante e pericolosa mentalità criminale trovava conferma anche nell’essersi il Rundo messo a disposizione dell’NOME COGNOME; 2) l’ostinazione criminale che era stata mostrata dal Rundo, il quale non solo, come si è detto, aveva immediatamente aderito al proposito criminale del suo mandante NOME COGNOME, ma si era anche mostrato restio a restituire alla persona offesa il ciclomotore, dopo che l’NOME COGNOME, dopo avere “perdonato” lo COGNOME, aveva ordinato allo stesso Rundo di restituirgli il ciclomotore; 3) i precedenti penali dell’indagato, il quale aveva riportato tre condanne definitive per lesioni personali e una condanna definitiva per resistenza a un pubblico ufficiale.
Il Tribunale di Caltanissetta si deve pertanto ritenere avere adeguatamente assolto al proprio obbligo motivazionale e, a fronte dell’indicato percorso argomentativo dei Giudici del riesame, le doglianze del ricorrente, ancorché diffuse, si devono ritenere collocarsi ai limiti dell’inammissibilità, in quanto, da u lato, non si confrontano con le anzidette argomentazioni dell’ordinanza impugnata e, dall’altro lato, attengono al merito della decisione, il quale, in assenza d contraddizioni e di manifeste illogicità della motivazione, non è sindacabile in questa sede.
Lo stesso è a dirsi con riguardo alla ritenuta inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa. La quale inadeguatezza è stata argomentata dal Tribunale di Caltanissetta alla stregua del medesimo quadro che lo stesso Tribunale aveva valorizzato con riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari, in quanto ritenuto dimostrativo anche dell’impossibilità di fare affidamento sulla capacità del Rundo di attenersi al
rispetto delle prescrizioni che gli sarebbero state imposte mediante una misura autocustodiale (quali sono gli arresti domiciliari), con una motivazione che, in quanto appare anch’essa non contraddittoria né manifestamente illogica, si sottrae a censure in questa sede e che, in quanto assorbente e pregiudiziale, si deve ritenere costituire anche pronuncia implicita sull’impossibilità dell’impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza di cui all’art. 275-bis cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, COGNOME, Rv. 277762-01; Sez. 2, n. 31572 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270463-01).
5. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto per motivi non consentiti o manifestamente infondati, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14/01/2025.