Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11972 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11972 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NOME il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/05/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, la quale, riportandosi alla requisitoria già depositata, ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso.
udito l’AVV_NOTAIO, il quale si è riportato ai motivi di ricorso, insistendo per l’accoglimento dello stesso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 30 maggio 2023, il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il provvedimento con cui il G.i.p. applicava a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di tentata estorsione, aggravato dalla circostanza di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. A parere del Tribunale, l’indagato, in concorso con COGNOME NOME, rivolgeva alla presunta persona offesa, un imprenditore di AVV_NOTAIO, richieste volte a ottenere un regalo, seguite da ulteriori insistenze affinché la persona offesa ottemperasse alle richieste economiche formulate in cambio di tranquillità e protezione.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite dei propri difensori, affidando le proprie censure ai tre motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, per mancanza assoluta di ragioni giustificatrici dell’impugnata ordinanza, nonostante la specificità dei motivi addotti dalla difesa in sede di proposizione d’istanza di riesame. Alla motivazione resa dal Tribunale del riesame, che si sarebbe limitato a recepire integralmente le ragioni esposte dal G.i.p. nell’ordinanza genetica, farebbe infatti difetto qualsivoglia ricostruzione critica degli elementi probatori documentali, oltre che l’analisi degli elementi costitutivi del reato contestato all’indagato.
2.2 Col secondo motivo, si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 273 del codice di rito e all’art. 629 cod. pen., oltre che travisamento di prova. La difesa contesta il ravvisato apporto causale, da parte del ricorrente, alla condotta estorsiva individuata dal Giudice cautelare, non essendo, di fatto, mai intercorsi rapporti tra l’indagato e la presunta persona offesa. Le parole scambiate tra i due nel corso dell’unico incontro verificatosi sarebbero state erroneamente interpretate dal Tribunale come sintomatiche di una condotta estorsiva e, ciò, sulla base di una percezione meramente soggettiva della persona offesa. La motivazione dell’impugnato provvedimento mostrerebbe ulteriori segni di illogicità, non avendo il Tribunale attribuito alcun rilevo al fatto che i maggiori contatti con la persona offesa vennero stabiliti non già dal dall’odierno ricorrente, bensì dal concorrente nell’ipotizzato reato d’estorsione.
Immotivatamente disattesa è stata anche l’eccezione relativa alla desistenza volontaria, nel cui ambito la difesa ritiene che si debba descrivere la condotta del ricorrente.
Profili di patente illogicità emergerebbero, infine, in relazione all’ipotizzata circostanza aggravante di cui all’art. 416 6/5.1 cod. pen., nella sua accezione d’impiego del metodo mafioso, attesa la mancata dimostrazione, da parte del Tribunale, di una condotta oggettivamente idonea a esercitare sulla vittima la peculiare coartazione psicologica evocata dall’aggravante in parola.
2.3 Il terzo motivo ha a oggetto violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alle esigenze cautelari. Il Tribunale avrebbe erroneamente valutato il pericolo della commissione di reati della medesima specie, di cui all’art. 274, comma 3, del codice di rito. Sul punto, la motivazione non avrebbe tenuto in conto il requisito della concretezza del pericolo, richiesto dalla norma citata.
All’udienza del 20 dicembre 2023, si è svolta trattazione orale del ricorso. il AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, riportandosi alla requisitoria scritta, ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso. L’AVV_NOTAIO si è riportato ai motivi di ricorso, insistendo, in particolare, sull’errata qualificazione giuridica dell’ipotizzato reato e chiedendo, infine, l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato, con riguardo a tutte le censure che lo articolano. Per quel che concerne l’adesione del Tribunale alla struttura argomentativa dell’ordinanza genetica, va ricordato che «in tema di motivazione delle ordinanze cautelari personali, la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 47 del 16 aprile 2015, è osservata anche quando l’ordinanza cautelare operi un richiamo, in tutto o in parte, ad altri atti del procedimento, a condizione che il giudice, per ciascuna contestazione e posizione, svolga un effettivo vaglio degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a formule stereotipate, spiegandone la rilevanza ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari nel caso concreto (Sez. 6, n. 30774 del 20/06/2018, Vizzì, Rv. 273658 – 01)».
Ciò premesso, va evidenziata l’accurata, autonoma e critica valutazione effettuata dal Tribunale, con riferimento sia ai gravi indizi di colpevolezza sia alle esigenze cautelari. Le censure difensive relative al difetto di ricostruzione critica degli elementi probatori documentali e di analisi degli elementi costitutivi del reato contestato non trovano riscontro nella motivazione dell’impugnato provvedimento, avendo il Tribunale verificato sia l’attendibilità intrinseca del
narrato della vittima (che ha fornito un’accurata -e mai inficiata da contraddizioni- descrizione delle richieste estorsive dell’indagato, con specificazione di luoghi, tempi e, quel che più rileva, modalità espressive delle richieste stesse) sia delle conferme esterne a quelle dichiarazioni (fornite, soprattutto, dalle videocamere di sorveglianza, che hanno ripreso il COGNOME COGNOME nell’esatto luogo indicato dalla vittima, e per la durata temporale specificata dalla stessa).
La prospettazione offerta dal Tribunale si fa particolarmente stringente laddove vengono esaminate le frasi rivolte dall’indagato alla persona offesa: l’eccentrica pretesa di un “regalo”, avanzata dal COGNOME alla persona offesa -ha spiegato il Tribunale- era stata preceduta e, anzi, chiaramente preannunciata dal concorrente COGNOME che, oltre a parlare del predetto regalo, aveva specificato trattarsi dell’elargizione di una somma di circa 2.000 euro, da consegnare al COGNOME. Delle parole adoperate dal ricorrente (“se mi chiudi la porta, ricordati che io non ci sono”) di fronte alla reazione negativa della persona offesa, il Tribunale ha diffusamente spiegato l’inequivoco tenore intimidatorio; sicché è finanche superfluo invocare i principi di diritto elaborati da questa Corte sulla valenza intimidatoria della minaccia cd. implicita che può caratterizzare la condotta estorsiva (a ogni buon conto, v. ad es., Sez. 2, n. 11922 del 12/12/2012, dep. 2013, Lavitola, Rv. 254797 – 01).
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, in parte anche per le già indicate ragioni di cui al precedente paragrafo. Intanto, va notato come il Tribunale abbia efficacemente confutato la tesi difensiva della assenza di contatti tra le due parti e, ciò, attraverso (come illustrato sub 1) il narrato della persona offesa, riscontrato dalle immagini riprese dal sistema di videosorveglianza, che hanno attestato la presenza del COGNOME presso la rimessa dell’imprenditore COGNOME, con cui conversò per almeno 10 minuti e almeno in un’occasione. Al dato, valorizzato dalla difesa, secondo cui i maggiori contatti con la persona offesa erano stati stabiliti non già dal dall’odierno ricorrente, bensì dal concorrente COGNOME, il Tribunale ha fornito adeguata replica, disattendo la censura con argomenti privi di vizi logici: in un ambiente intriso di criminalità di origine mafiosa -ha chiarito il Tribunale- il fatto che il COGNOME, nel presentarsi alla vittima con la richiesta del regalo-denaro, abbia speso il nome del ricorrente (vale a dire una persona non soltanto nota per la sua partecipazione all’ambiente criminale, ma già in precedenza condannata per reati di associazione mafiosa) è stato razionalmente ritenuto indicativo della riconducibilità della pretesa estorsiva al ricorrente stesso.
Si sottolinea, inoltre, che la censura relativa alla desistenza è tanto generica quanto aspecifica, non avendo il ricorrente illustrato in che modo l’asserita desistenza dal tentativo estorsivo si sarebbe manifestata; per contro, il Tribunale ha evidenziato la condotta reiterata della richiesta di denaro (prima da parte del concorrente COGNOME, di poi direttamente del COGNOME COGNOME).
Infine, quanto alla contestata circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., nella sua accezione d’impiego del metodo mafioso, osserva il Collegio che, diversamente da quanto lamentato dalla difesa, è stata correttamente configurata tanto la dimostrazione di una condotta oggettivamente idonea a esercitare sulla vittima la peculiare coartazione psicologica evocata dall’aggravante in parola (come già rilevato sub 1), quanto la configurazione di detta circostanza nella forma del cd. avvalimento, per essersi la minaccia manifestatasi in veste tipicamente mafiosa. Il ricorrente ha infatti evocato generici vantaggi in termini di protezione e sicurezza, di cui la persona offesa avrebbe goduto se soltanto avesse ottemperato alla richiesta del “regalo” (cfr. ex multis, Sez. 2, n. 10467 del 10/02/2016, NOME, Rv. 266654 – 01: «in tema di estorsione, integra la circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso, prevista dall’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. nella L. n. 203 del 1991, la condotta di chi, senza spendere la propria appartenenza ad una “famiglia” mafiosa, ma avvalendosi della propria fama criminale, costringa l’aggiudicatario di una gara d’appalto a rinunciarvi»; Sez. 5, n. 44903 del 13/09/2017, COGNOME, Rv. 271062 – 01: «ai fini della sussistenza del delitto tentato, rilevano l’idoneità causale degli atti compiuti al conseguimento dell’obiettivo delittuoso e la univocità della loro destinazione, da apprezzarsi secondo una valutazione “ex ante” della concreta condotta dell’agente, in rapporto alle sue modalità ed al contesto ambientale in cui è stata posta in essere»: fattispecie in tema di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, in cui l’autore del reato aveva fatto richiesta alla persona offesa di “mettersi a posto”, pagando una somma di denaro proporzionale ai compensi spettanti da un appalto). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3. Il terzo motivo è infondato. Diversamente da quanto affermato dal ricorrente, il Tribunale ha fornito adeguate ragioni circa il concreto pericolo di commissione di reati della medesima specie, di cui all’art. 274, comma 3, del codice di rito, e, ciò, sulla base di una complessiva analisi della fattispecie concreta. Sono state, invero, sottolineate 1) la perdurante tendenza a comportamenti rivelatori di un’intima adesione all’agire mafioso, nonostante precedenti carcerazioni patite; 2) la contiguità del ricorrente ad ambienti della criminalità organizzata della provincia cosentina; 3) la gravità della condotta estorsiva, attuata attraverso modalità reiterative, pesantemente allusive ed evocative delle conseguenze
negative, per l’imprenditore, dell’eventuale rifiuto di un “regalo” da parte sua. Elementi, tutti, che, secondo la ragionevole prospettazione del Giudice della cautela, si saldano, senza soluzione di continuità, con i precedenti penali relativi a delitti di criminalità organizzata gravanti sul ricorrente. Pertanto, la motivazione adottata è coerente con i canoni valutativi in tema di misure cautelari personali elaborati dalla ormai ferma giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale e che non deve altresì contemplare la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991 – 01).
Per i motivi sopra esposti, il Collegio rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 20/12/2023
Il Consigliere estensore
Il Pre ‘dente