Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4560 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4560 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a REGGIO CALABRIA il 17/07/1949
avverso l’ordinanza del 20/06/2024 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che si è riportata alla requisitoria già depositata e ha concluso per il rigetto del ricorso.
udito il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha esposto i motivi di gravame, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
I
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso l’ordinanza con cui Tribunale del riesame di Reggio Calabria, salvo riqualificare il delitto estorsivo di cui al capo 5 della provvisoria imputazione nella forma tentata e annullare l’ordinanza genetica rispetto al capo 6, ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento emesso, in data 10 maggio 2024, dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, con il quale gli veniva applicata la misura della custodia in carcere in relazione ai delitti di cui agli artt. 61, n. 11 quater (aver commesso il delitto durante sottoposizione a misura alternativa alla detenzione in carcere) , 416 bis, dal primo al sesto comma, e ottavo comma, cod. pen., e 71 d. Igs. del 6 settembre 2011, n. 159 (capo 1). Secondo la provvisoria imputazione, inoltre, il ricorrente, in qualità di promotore e dirigente della cosca COGNOME, articolazione territoriale della ‘ndrangheta operante nell’area meridionale di Reggio Calabria, avrebbe concorso nel reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso di cui al capo 3) e nel medesimo reato, in forma non tentata, di cui al capo 7).
Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge, per avere il Tribunale ritenuto sussistenti i gravi indizi in relazione al reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso di cui al capo 3), commesso, secondo i giudici, ai danni dei titolari della concessionaria automobilistica RAGIONE_SOCIALE, tramite un atto intimidatorio consistito nell lasciare una tanica di benzina davanti i locali della concessionaria.
La valutazione della gravità indiziaria poggerebbe su unico dialogo, oggetto di intercettazione, tra il ricorrente e l’affiliato alla predetta cosca NOME COGNOME rispetto al quale è mancata sia la corretta identificazione dei conversanti sia l’indicazione di una minaccia o una richiesta indebita ricevuta dalle persone offese, che mai hanno confermato di aver ricevuto un’intimidazione. Pertanto, si contesta la mancata ricorrenza degli elementi costitutivi del reato di estorsione provvisoriamente ascritto.
2.2 Col secondo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla valutazione della condotta contestata al capo 5) della rubrica e all’asserito concorso materiale del ricorrente nel reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni dei titolari di un negozio di acconciature,
ai quali il COGNOME avrebbe cercato di imporre l’assunzione del proprio nipote, NOME COGNOME
Con motivazione illogica, il Tribunale ha escluso l’applicabilità al caso di specie della fattispecie incriminatrice dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, pur dopo aver concesso alla difesa che la condotta del ricorrente non potesse ritenersi ingiusta (posto che il COGNOME chiedeva alla persona offesa COGNOME unicamente la regolare assunzione del nipote, che aveva a lungo lavorato irregolarmente presso l’esercizio commerciale del COGNOME e che, sovente, non era stato nemmeno retribuito).
La qualificazione della condotta nei termini di reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso è errata in quanto, dal punto di vista dell’elemento N oggettivo del reato” mancata qualsiasi condotta di prevaricazione o di minaccia da parte del COGNOME 2) non è stato provato, in particolare, l’elemento psicologico che caratterizza il delitto di estorsione (si richiamano, a tal proposito, i principi posti da Sez. U COGNOME e 3) infine, non si è considerato che non integra condotta estorsiva l’interessamento del terzo al fine di realizzare la giusta pretesa altrui, che ha caratterizzato il caso in esame.
La motivazione sarebbe, infine, congetturale nel punto in cui si afferma che la condotta estorsiva del ricorrente sarebbe stata sintomatica della volontà di affermare il prestigio e la supremazia della cosca sul territorio.
2.3 Con il terzo motivo, si duole di violazione di legge, per avere il Tribunale ritenuto sussistenti i gravi indizi in relazione al reato di estorsione aggravata dai metodo mafioso, di cui al capo 7), basandosi su una conversazione dalla quale non emergerebbe alcuna autoincolpazione e su dichiarazioni di collaboratori di giustizia, la cui generidtà non è sufficiente – a parere della difesa- a elidere l’evidenza della permanenza in carcere del ricorrente nel medesimo periodo indicato nella provvisoria imputazione.
2.4 Col quarto motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla circostanza aggravante (agevolazione mafiosa) di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. rapportata a tutti i capi d’imputazione. La ravvisata correlazione strumentale tra le asserite condotte estorsive e il fine di rafforzare l’autorevolezza della famiglia del ricorrente nel territorio di appartenenza è indimostrata ed è stata affermata dal collegio del riesame in via del tutto congetturale e in maniera non conforme alla giurisprudenza di questa Corte, puntualmente citata dalla difesa.
2.5 Col quinto motivo, si eccepisce violazione dell’art. 273 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, in relazione all’art. 416 bis cod. pen. La difesa contesta sia l’ordito
motivazionale nella parte in cui si dà per assodata l’esistenza di una consorteria mafiosa radicata nel territorio di Arangea di Reggio Calabria sia la diretta partecipazione alla stessa dell’odierno ricorrente con ruolo apicale. Detto ruolo apicale è stato peraltro affermato sulla base di elementi del tutto inidonei a tal fine, quali le dichiarazioni di taluni collaboratori di giustizia e conversazioni intercettate, valorizzate dal Tribunale del riesame in assenza di validi riscontri, con conseguente violazione dell’art. 192 del codice di rito e dei canoni giurisprudenziali elaborati da questa Corte in tema di gravità, precisione e concordanza degli elementi raccolti con le intercettazioni qualora esse si riferiscano a colloqui di terzi. In nessun passaggio delle conversazioni intercettate emerge che i conversanti si riferissero a fatti legati alle logiche di un’associazione mafiosa. In ogni caso, i fatti narrati nelle intercettazioni non sono stati oggetto di adeguata analisi, né si è dimostrato il valore indiziante dei fatti narrati a carico del ricorrente, con conseguente violazione degli artt. 416 bis cod. pen. e 273 del codice di rito.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso II Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME riportandosi alle proprie conclusioni scritte, ha ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso. La difesa ha insistito per l’accoglimento di quest’ultimo.
Considerato in diritto
Il primo motivo è generico, aspecifico, oltre che elusivo di un effettivo confronto con la motivazione dell’impugnata sentenza, come si passa a illustrare.
A fronte dell’accurata descrizione dei passaggi chiave della conversazione tra il ricorrente e il coindagato COGNOME nel corso della quale il primo chiedeva al secondo di essere precisamente informato circa l’avvenuta esecuzione di un’azione chiaramente intimidatoria (l’apposizione di una tanica di benzina di fronte alla concessionaria RAGIONE_SOCIALE prima che l’attività dei RAGIONE_SOCIALE fosse avviata: come chiarito dal Tribunale, il messaggio così trasmesso alle vittime non poteva lasciare adito a dubbi circa l’intimidazione rivolta alle persone offese: cfr., ex multis, Sez. 1, n. 37091 del 19/07/2023, COGNOME, Rv. 285282, in tema di riconoscibilità del messaggio estorsivo in una fattispecie di delitto tentato), la difesa si limita a contestare 1) la corretta identificazione dei conversanti, senza illustrare per quale ragione il riconoscimento vocale da parte degli operanti non sarebbe idoneo a giustificare la conclusione raggiunta; 2) la mancata indicazione di una minaccia o una richiesta indebita ricevuta dalle persone offese, le quali mai hanno confermato di aver ricevuto un’intimidazione.
Ora, come correttamente evidenziato dal Collegio del riesame, dal tenore di quella conversazione non è stato possibile trarre alcuna plausibile ricostruzione alternativa della vicenda in esame, vista anche 1) la mancanza di qualsivoglia relazione giuridica o di altra natura intercorrente tra le persone offese e i due conversanti; 2) la dovizia di dettagli, emergenti dal colloquio intercettato, circa il preciso luogo in cui lasciare la tanica di benzina e il momento (precedente l’avvio dell’attività imprenditoriale da parte delle vittime, come già ricordato: ciò che ha contribuito -secondo la razionale conclusione del Collegio del riesame- ad accentuare il messaggio intimidatorio riservato alle vittime: Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, COGNOME, Rv. 277222, in tema di circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416 – bis. 1 cod. pen., e di condotta funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune).
Né il motivo fornisce, in tal senso, qualche utile delucidazione o efficace controdeduzione idonea a incrinare la regola di comune esperienza che consente di collegare razionalmente la condotta di lasciare una tanica di benzina ad una minaccia di darvi fuoco in caso di mancato adempimento di ciò che è stato richiesto. Quanto al silenzio serbato dalle persone offese, la replica dei giudici del riesame (nel punto in cui essi rimarcano la tipicità delle condotte omertose nelle vittime dei reati di estorsione) è del tutto adeguata ai fini della completezza motivazionale.
Non si ravvisano, pertanto, né cadute logiche nella tenuta dell’ordito motivazionale né errori nell’applicazione della legge, essendo stata correttamente argomentata la valutazione della gravità indiziaria in relazione al delitto di tentata estorsione, anche avuto riguardo ai canoni interpretativi posti da questa Corte sul tema in esame (v. Sez. 6, n. 46796 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285566 – 01: «in tema di delitto tentato, anche gli atti preparatori possono integrare gli estremi del tentativo punibile, purché univoci, ossia rivelatori, per il contesto nel quale si inseriscono e per la loro natura ed essenza, secondo le norme di esperienza e l'”id quod plerumque accidit”, del fine perseguito dall’agente»: fattispecie di tentata estorsione, in cui la Corte ha censurato il provvedimento del tribunale del riesame, in ragione della necessità di rivalutare l’univocità della condotta posta in essere dal ricorrente, professionista incaricato dall’associazione mafiosa al fine di formulare la richiesta estorsiva, il quale si era limitato a verificare che l’appalto non era stato aggiudicato alla società in titolarità della vittima).
Il secondo motivo è, del pari, generico e privo di specificità nei termini sopra ricordati, mancando la difesa di confrontarsi, in maniera critica ed effettiva,
con le adeguate ragioni rese dal Tribunale sia in relazione alla denegata qualificazione della condotta provvisoriamente ascritta nei termini di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sia alla sussistenza della circostanza aggravante del metodo mafioso.
Riguardo al primo profilo, si osserva che, secondo quanto puntualizzato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie, fermo restando che il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, NOME Rv. 280027 – 02 e 03).
Sviluppando quest’ultimo profilo (v., in particolare, il punto 13.3 della motivazione), sez. U Filardo hanno chiarito che «nei casi in cui ricorra la circostanza aggravante della c.d. “finalità mafiosa” , la finalizzazione della condotta alla soddisfazione di un interesse ulteriore (anche se di per sé di natura non patrimoniale) rispetto a quello di ottenere la mera soddisfazione del diritto arbitrariamente azionato, comporta la sussumibilità della fattispecie sempre e comunque nella sfera di tipicità dell’art. 629 cod. pen., con il concorso dello stesso creditore, per avere agevolato il perseguimento (anche o soltanto) di una finalità (anche soltanto lato sensu) di profitto di terzi».
Ora, il Tribunale del riesame ha accuratamente evidenziato le diverse ragioni per cui la pretesa arbitrariamente attuata dal ricorrente si inserisse nel contesto mafioso da quest’ultimo espresso anche attraverso l’evocazione, rivolta al destinatario dell’intimidazione, di non essere “mai stato disturbato”, con la conseguenza che proprio la finalità di riaffermazione del potere del sodalizio sul territorio – del tutto genericamente criticata in ricorso, rispetto ai dati appena indicati – vale ad escludere in radice la configurabilità del delitto di ragion fattasi.
E, del resto, i giudici del riesame, nell’esaminare i contenuti dei colloqui intercettati tra l’indagato e il figlio NOMECOGNOME hanno chiarito come il ricorrente esplicitasse il chiaro proposito di imporre al COGNOME la regolare assunzione del proprio nipote presso l’esercizio commerciale delle vittime, dopo peraltro avere in passato preteso e ottenuto che membri della propria famiglia (segnatamente, il nipote –NOME COGNOME nonché, un anno prima, la nipote – NOME COGNOME) fossero assunti nel negozio di acconciature gestito dalle vittime.
Per quel che ha riguardo all’elemento soggettivo della tentata estorsione provvisoriamente ascritta, si osserva come l’impugnato provvedimento abbia fatto buon governo di principi elaborati da questa Corte sul tema, e ciò da vari punti di vista. Ove si ricordi che «Il delitto di estorsione è configurabile quando la condotta minacciosa o violenta, anche se finalisticamente orientata al soddisfacimento di un preteso diritto, si estrinsechi nella costrizione della vittima attraverso l’annullamento della sua capacità volitiva (Sez. 2, Sentenza n. 36928 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 273837 – 01), non potrà che convenirsi sulla persuasività di quei passaggi motivazionali dedicati a tratteggiare l’idoneità degli atti a coartare la capacità volitiva delle vittime e la loro posizione di sottomissione (a dispetto della “serenità” del colloquio tra COGNOME e COGNOME, notano i giudici del riesame) : le due vittime, come già accennato, prima ancora di essere “sollecitate” ad assumere il nipote (NOME COGNOME) del ricorrente, erano state indotte dal ricorrente ad assumere, nel recente passato, un altro membro della famiglia COGNOME (NOME COGNOME). Si è altresì sottolineato il trentennale lavoro gratuito svolto dalle vittime a favore di NOME COGNOME e, infine, il modo in cui alle persone offese (il COGNOME e la coniuge) fosse stato prospettato il venir meno della protezione mafiosa di cui avevano fino ad allora goduto, lavorando senza subire alcun danno, peraltro fin dal momento dell’apertura dell’esercizio commerciale (per la quale le vittime avevano chiesto l’autorizzazione al Palumbo, in linea con la prassi tipica dei territori sottoposti al controllo pervasivo delle cosche).
Sebbene l’evento richiesto dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 629 cod. pen (I’«altrui danno» e l’ingiusto profitto, su cui v. Sez. 2, n. 51074 del 12/09/2023, COGNOME, Rv. 285692: Sez. 2, n. 32083 del 12/05/2023, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 285002) non si sia realizzato nel caso di specie, dato che la regolarizzazione lavorativa del COGNOME NOME COGNOME non si è realizzata, è vero anche che la tentata estorsione è stata razionalmente dimostrata dal fatto che la minaccia estorsiva abbia raggiunto la persona offesa COGNOMEchiamato a colloquio presso l’abitazione del ricorrente).
Il terzo motivo è di assoluta genericità nel criticare il contenuto della conversazione dal contenuto autoaccusatorio rispetto al delitto di cui al capo n. 7. In disparte l’assertività della tesi per la quale la conversazione stessa non sorreggerebbe la conclusione del provvedimento impugnato, va ribadito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae
al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 01).
In tale contesto, del pari generiche sono le critiche indirizzate all’apparato motivazionale che ha ricostruito le modalità attraverso le quali il ricorrente, durante la detenzione, continuava per il tramite del figlio NOME, ad esercitare il proprio potere direttivo.
4. Il quarto e il quinto motivo -esaminabili congiuntamente, data la connessione logica che li accomuna- sono infondati. Dal momento che il ricorrente lamenta la la mancata analisi, da parte del Collegio del riesame, dei singoli fatti narrati nelle intercettazioni, va ricordato che, ai fini dell’integrazione del reato di partecipazione a un’associazione di tipo mafioso, la commissione di reati-fine non è essenziale (Sez. 2, Sentenza n. 31920 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281811, in motivazione, p. 63; Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703; Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, COGNOME, Rv. 273571; Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269207); per altro verso, è legittimo valorizzare proprio la realizzazione di detti reati, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima (Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, COGNOME, Rv. 218376; Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266670; Sez. 2, n. 2740 del 19/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254233; da ultimo v. Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, non mass.).
Ora, per quanto riguarda l’esistenza e l’operatività del sodalizio, le critiche sviluppate nel quinto motivo sono prive di specifica correlazione con l’ampio apparato argonnentativo dell’ordinanza impugnata che riposa non solo sulla precedente ricostruzione operata dalle sentenze menzionate nel par. 1 dell’ordinanza stessa, ma dall’ampia messe di dati ritratti dalle intercettazioni di comunicazioni e dalla stessa ricostruzione delle modalità dei singoli reati fine.
Ne discende che il ricorso, nel censurare (in particolare con il quarto motivo) sia la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., sia (quinto motivo) la esistenza del sodalizio e la partecipazione del ricorrente, aspira nella sostanza in termini meramente assertivi ad una rivalutazione del compendio indiziario, inammissibile in questa sede.
All’inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247
del 26/01/2016, COGNOME Rv. 267585 – 01) – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 25/10/2024
Il consigliere estensore
Il presidente