Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10411 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10411 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a GIARRE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/09/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
letta la memoria del difensore dell’AVV_NOTAIO, il quale ha insistito nei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con ordinanza del 14 settembre 2023, il Tribunale di Catania rigettava l’istanza di riesame avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania con la quale era stata applicata a NOME, indagato per il reato di tentata estorsione aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., la misura della custodia cautelare in carcere.
1.1 Avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il difensore di NOME, eccependo l’erronea applicazione dell’aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. visto che il Tribunale, ogni volta che cercava di fornire la prova indiziaria sulla sussistenza dell’aggravante, non faceva altro che riportare l’indicazione degli elementi costitutivi del reato di estorsione, non considerando che ribadire la presenza di minaccia provava il delitto, ma non l’aggravante.; nella motivazione si leggeva l’apodittica frase “condizioni ambientali”, senza null’altro precisare, e le sentenze di questa Corte citate nell’ordinanza andavano in direzione totalmente contraria all’uso che se ne voleva fare in motivazione.
1.2 Il difensore lamenta l’errata applicazione dell’art. 275 cod. proc. pen. quanto alla assoluta necessità di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere: in luogo di apprezzare correttamente l’interruzione volontaria di qualsivoglia accesso e/o contatto, frutto evidentemente di azioni poste in essere in modo quasi maldestro, si era valutata come grave la quantità di accessi, tutti senza alcun successo persuasivo; COGNOME, oltre a non avere un passato mafioso, aveva precedenti risalenti nel tempo, che erano anche stati duplicati nella indicazione dei carichi pendenti; la presunta adeguatezza della sola detenzione carceraria non pareva confrontarsi con le modalità esplicative dell’azione criminosa, rimasta nelle forme del tentativo e non vi erano indicazioni di astratta possibilità che per l’inefficacia dei controlli l’indagato potesse allontanarsi dal domicilio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
1.1 Relativamente al primo motivo, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel sostenere che l’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1 cod. pen.) configura due ipotesi di circostanze aggravanti: nel caso qui di interesse, la prima è relativa al reato commesso dal soggetto, appartenente o meno all’associazione di cui all’art. 416 bis cod. pen., che si avvale del metodo mafioso, ai fini della cui integrazione non è necessaria la prova l’esistenza della associazione criminosa, essendo sufficiente l’aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l’agente appartenga a tale
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associazione (vedi Sez.2, Sentenza n.49090 del 04/12/2015 Rv. 265515); “Ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991, n. 203), non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo.” (Sez.2, Sentenza n. 16053 del 25/03/2015 (dep. 17/04/2015 ) Rv. 263525.
La “rado” sottostante al citato art. 7 (ora art. 416 bis 1 cod.pen.), non è solo quella di punire più severamente coloro che commettono reati con il fine di agevolare le associazioni mafiose, ma essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisa, data la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, l’atteggiamento di coloro che, partecipi o non di reati associativi, utilizzino metodi mafiosi, cioè si comportino come mafiosi oppure ostentino, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e quella conseguente intimidazione che sono proprie delle organizzazioni della specie considerata.
Ora, traslando detti principi nel caso in esame appare di tutta evidenza che le modalità delle azioni descritte, come evidenziato dal Tribunale, portano a dover ravvisare la sussistenza dell’aggravante, posto che gli indagati hanno chiesto “un regalo” per accordare “protezione” al cantiere, tipiche espressioni usate dalle consorterie mafiose per indicare la capacità delle stesse di controllare il territorio.
1.2 Quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, si deve ribadire che “in tema di applicazione di misure cautelari personali, la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, prevista per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., deve intendersi riferita anche ai delitti tentati, aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen (Sez.2, 23935 del 04/05/2022, Alcamo, Rv. 283176); ciò premesso, il Tribunale ha motivato sulla sussistenza delle esigenze cautelari alle pagine 10 e 11 dell’ordinanza impugnata, con motivazione congrua e coerente con le risultanze processuali.
3. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1-ter, delle disposizioni
di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perc provveda a quanto stabilito dal comma 1-bis del citato articolo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 20/12/2023