Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26630 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26630 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a Catania il 4/2/1996 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso l ‘ordinanza in data 2/5/2025 del Tribunale di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale del procedimento;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore generale, NOME
Cuomo che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso ;
letta la memoria difensiva di replica alle conclusioni della Procura generale.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Catania in sede di riesame ha confermato l’ordinanza del GIP di Catania del 4 aprile 2025 con cui è stata disposta la custodia cautelare in carcere, tra gli altri, nei confronti di NOME COGNOME perchè indagato per il delitto di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni della RAGIONE_SOCIALE.
Si contesta a ll’indagato di avere, in concorso con altri soggetti e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dal 19 giugno 2024, minacciato di gravi ritorsioni NOME NOME (capo area per la Sicilia orientale) e NOME NOME (responsabile della filiale di Belpasso), al fine di costringere la RAGIONE_SOCIALE a non recedere dal contratto di facchinaggio con la RAGIONE_SOCIALE, di fatto gestita da NOME COGNOME, o comunque a riconoscere una compensazione economica come buona uscita. In particolare, il ricorrente accompagnava NOME NOME a casa di Intelisano NOME, sottoposto a misura cautelare e figlio di COGNOME NOME, detenuto perché condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, il quale sollecitava i suoi interlocutori a non interrompere i rapporti con la Gifra, formulando velate minacce di morte e di fare sparire i mezzi di trasporto della BRT se la società avesse proceduto a revocare il contratto di facchinaggio.
In seguito, COGNOME NOME e COGNOME NOME si recavano presso la filiale RAGIONE_SOCIALE di Belpasso, ove incontravano NOME NOME e COGNOME Marco, e chiedevano con tono minaccioso notizie sul ‘risarcimento’ dovuto alla RAGIONE_SOCIALE per l’avvenuta risoluzione contrattuale (nella circostanza reiterando minacce e comportamenti intimidatori per influire sulle scelte imprenditoriali e commerciali degli interlocutori e delle società di appartenenza).
Ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’indagato, deducendo quanto segue:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla idoneità estorsiva degli atti posti in essere e all’elemento soggettivo del delitto contestato. Gli indagati hanno agito nella convinzione di esercitare un diritto anche supposto, non considerando come ingiusta la finalità perseguita, che era quella di garantire la prosecuzione del rapporto contrattuale intercorso tra la società RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE a tutela dei lavoratori dipendenti.
La condotta realizzata avrebbe dovuto più correttamente essere qualificata come violenza privata o esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in quanto non vi sono elementi per ritenere concretizzato il rischio della produzione dell’ingiusto profitto con altrui danno, e la sequenza degli atti sarebbe idonea a integrare soltanto la violenza privata, ma non anche l’ingiusto profitto.
In alternativa, il difensore ravvisa nella condotta posta in essere la diversa fattispecie delittuosa dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, poiché la RAGIONE_SOCIALE non aveva comunicato tempestivamente la scelta di recedere dal vincolo contrattuale, nonostante si fosse da tempo determinata, e da ciò trae origine la richiesta di risarcimento avanzata dagli indagati, che non è stata peraltro ottenuta. In presenza di un comportamento contrattualmente sleale, la pretesa di ottenere
un risarcimento in denaro era giustificabile, in quanto fondata sulla ragionevole, anche se infondata, convinzione di agire nell’esercizio di un diritto.
Il Collegio, in sede di qualificazione del fatto, ha ritenuto gli indagati estranei rispetto alla Gifra e non legittimati ad avanzare pretese nei confronti dei loro interlocutori; nel contempo, ha affermato che la società apparteneva alla famiglia degli indagati, considerata vicina ad ambienti mafiosi, nella persona di COGNOME NOME, detenuto condannato per reati associativi.
Inoltre, il Tribunale ha erroneamente affermato che, quando sia contestata l’aggravante ex art. 416bis .1 cod. pen. non è possibile configurare l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni e detta aggravante comporta la sussumibilità della fattispecie sempre e comunque nella sfera estorsiva, senza considerare che le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno sconfessato questo orientamento, affermando che la circostanza aggravante in parola non è assolutamente incompatibile con il reato di cui all’art. 393 cod. pen.
2.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all’art. 416bis .1 cod. pen. e mancanza di valutazione dei gravi indizi in ordine all ‘ aggravante del metodo mafioso, che il pubblico ministero ha contestato sotto il profilo del metodo mafioso e non dell’agevolazione dell’attività del sodalizio.
Il Gip ha rigettato la richiesta di misura cautelare nei confronti di COGNOME NOME poiché il quadro indiziario non ha evidenziato una sua compartecipazione nella vicenda; inoltre COGNOME NOME non è più riconducibile ad ambienti di criminalità organizzata e non è mai stato coinvolto nella gestione della società appaltante; i coindagati COGNOME NOME, COGNOME COGNOME e COGNOME sono incensurati e non sono mai stati coinvolti in dinamiche associative, nonostante le numerose ordinanze di custodia cautelare emesse nei confronti del clan COGNOME. Il timore palesato dalla persona offesa di recarsi a casa di Intelisano è comprensibile ma non risulta sufficiente a qualificare le minacce come aggravate dal metodo mafioso, in quanto COGNOME NOME si limitava a rappresentare ad COGNOME il disappunto del padre in ordine alla decisione di non rinnovare il vincolo contrattuale, in ragione dei rapporti di amicizia intercorsi nel passato tra i rispettivi genitori; in ogni caso, una mera frase non può giustificare una contestazione così gravosa.
Anche le persone offese COGNOME e COGNOME hanno sottolineato che diversi incontri con gli indagati sono avvenuti con toni pacati e colloquiali e non hanno mai manifestato particolare preoccupazione in merito agli atteggiamenti minacciosi subìti, invitando i loro interlocutori ad adire le vie legali per quanto riguarda la pretesa risarcitoria.
2.3. Violazione di legge e in particolare degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. poiché il Tribunale ha errato nel ritenere sussistenti le esigenze cautelari e
salvaguardabili esclusivamente con la custodia tutelare, sia perché non ricorre il fumus del reato estorsivo, sia perché non sussiste un pericolo di reiterazione del reato o di fuga in quanto la dinamica contrattuale da cui è scaturito il processo si è concretamente definita e due dei soggetti ritenuti pericolosi sono stati rimessi in libertà il 2 agosto 2024 e non hanno avuto un solo contatto con le persone offese.
Il ricorrente ricorda che anche la Corte costituzionale ha osservato che la compressione della libertà personale dell’indagato va contenuta entro limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari riconoscibili nel caso di specie.
Con memoria trasmessa il 9 giugno 2025 l’ avv. COGNOME ha replicato alle conclusioni scritte del pubblico ministero e ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
Il ricorso è inammissibile poiché propone motivi generici e non consentiti in quanto invocano una diversa ricostruzione dei fatti, osservando che le richieste minacciose formulate dal ricorrente e dai coindagati all’indirizzo delle persone offese non avrebbero avuto efficacia coercitiva, non sarebbero state dirette a perseguire un ingiusto profitto e, comunque, sarebbero state sostenute dalla convinzione di agire nell’esercizio di un proprio diritto.
Si tratta di prospettazione difensiva che non trova conforto nelle emergenze processuali e non si confronta con le articolate considerazioni formulate dal Tribunale, che ha respinto le argomentazioni del medesimo tenore formulate con il riesame.
4.1. Con riferimento al contributo materiale svolto da ciascun indagato, i giudici della cautela personale ponevano bene in evidenza che, dopo il mancato rinnovo contrattuale: a) COGNOME NOME e COGNOME NOME insultavano e minacciavano NOME NOME dentro il magazzino aziendale; b) COGNOME NOME, unitamente al COGNOME e al COGNOME minacciavano l’COGNOME prospettando gravi conseguenze per la mancata prosecuzione dei rapporti contrattuali, evocando il disappunto del detenuto COGNOME NOME e per l’interruzione del rapporto contrattuale (con possibile danneggiamento o incendio dei furgoni delle ditte di trasporto); c) NOME (appena scarcerato) e il COGNOME ripetutamente avevano minacciato NOME e NOME di compiere ritorsioni aziendali anche sull’attività di consegna, rivendicando un potere di fatto sulle ditte di trasporto su gomma.
Le condotte, reiterate nel tempo, apparivano ancor più pericolose ed idonee a perseguire l’obiettivo illecito programmato, atteso che gli indagati alternavano maliziose blandizie ad allusioni e gravi minacce esplicite.
4.2. La richiesta di diversa qualificazione giuridica della condotta incontestabilmente ascritta agli indagati è generica e manifestamente infondata.
A prescindere dalla prospettazione alternativa, violenza privata o esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che induce a dubitare della ammissibilità della censura, va osservato che il Tribunale ha reso in ordine al giudizio di gravità indiziaria articolata e puntigliosa motivazione e ha valutato e respinto le prospettazioni difensive con argomentazioni corrette e congrue all’emergenze processuali.
Con valutazione conforme ai principi ribaditi in materia da questa Corte, è stata esclusa la configurabilità di reati meno gravi, ponendo in evidenza alcuni punti decisivi, come il tenore delle minacce in danno delle persone offese, l’ assenza di legittimazione degli autori delle minacce a rappresentare la società e l’ ingiustizia della pretesa per l’ inesistenza di un diritto legittimamente vantato ad impedire la risoluzione contrattuale.
Ed in effetti né COGNOME né COGNOME potevano astrattamente agire in nome e per conto della RAGIONE_SOCIALE o nell’inter esse dei dipendenti, per avanzare alla BRT la pretesa al rinnovo del contratto di facchinaggio o quella di stipulare contratti di trasporto con ditte collegate alla RAGIONE_SOCIALE e le modalità oggettive della richiesta palesano la consapevolezza di agire non nell’esercizio di un diritto , anche solo putativo, ma per perseguire un interesse personale non tutelato dall’ordinamento , avvalendosi di mezzi illeciti.
Il ricorrente non si confronta con questa motivazione ed incorre anche nel vizio di genericità.
4.3. La censura in ordine alla sussistenza della aggravante del metodo mafioso è manifestamente infondata poiché a pagina 9 dell’ordinanza si espone che, fin dal primo incontro a casa di Intelisano Filippo, questi ammoniva COGNOME che il mancato rinnovo del contratto non sarebbe stato apprezzato dal padre, detenuto per mafia, in quanto la famiglia doveva sopravvivere e, anche in seguito, le reiterate minacce erano tese ad evocare la forza del vincolo associativo e il coinvolgimento di terzi che avrebbero potuto esporre gli interessi della società e la incolumità personale delle persone offese a grave pregiudizio.
Nè va poi trascurato che l’utilizzo del metodo mafioso nella riscossione di un preteso credito non è incompatibile con il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, non comportando il raggiungimento di una finalità ulteriore rispetto alla riscossione, pur se è possibile valorizzare tale
aggravante, in uno ad altri elementi, quale dato sintomatico del dolo di estorsione. (Sez. 2, n. 2331 del 17/11/2023, dep. 2024, Bianco, Rv. 285817-01).
4.4. Anche il motivo relativo alle esigenze cautelari non si confronta con la motivazione della Corte, che ha ritenuto non superabile la presunzione relativa che scaturisce dalla sussistenza dell’aggravante mafiosa, valorizzando le modalità della condotta, reiterata in un apprezzabile arco di tempo, a riprova della significativa intensità del dolo.
Il ricorso non censura in modo specifico dette argomentazioni, limitandosi ad osservare che la vicenda contrattuale si sarebbe ormai risolta, senza considerare che il medesimo analogo atteggiamento prevaricatore potrebbe essere reiterato nell’ambito di altri rapporti contrattuali .
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 1/7/2025