Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5497 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5497 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato in Polonia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 12/07/2023 dal Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione del AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata quanto al secondo e al terzo motivo, con rigetto nel resto; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso insistendo
per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12/07/2023, il Tribunale di Catanzaro – adito con richiesta di riesame ex art 309 cod. proc. pen. da COGNOME NOME – ha confermato l’ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari, nei confronti del predetto, in relazione al delitto di estorsione pluriaggravata ascrittagl in concorso al capo 8) della provvisoria incolpazione.
Ricorre per cassazione il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Si lamenta il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza, in capo al ricorrente, di un intento di agevolare la cosca COGNOME, anche in relazione al fatto che il ricorrente aveva avuto a che fare con COGNOME NOME, indagato per associazione mafiosa ma “non menzionato nell’organigramma dell’associazione”: né vi erano stati, tra i due, ulteriori contatti idonei a comprovare l’ipotesi accusatoria.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’aggravante del metodo mafioso. Si censura l’ordinanza per aver ritenuto applicabile la disposizione, senza tener conto delle circostanze concrete (alla persona offesa era stato presentato un soggetto, quale l’odierno ricorrente, privo di caratura criminale, che agiva per conto di un albanese in realtà inesistente, mentre la minaccia paventata non costituiva la ritorsione di un gruppo criminale, ma di un singolo innominato che agiva per il recupero di somme in parte riconosciute dalla vittima come proprio debito; lo stesso COGNOME NOME non aveva partecipato direttamente, né si era manifestato alla vittima).
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura. Si lamenta il mancato apprezzamento del carattere risalente dei fatti e dell’estraneità del ricorrente al sodalizio.
Con memoria ritualmente trasmessa, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO rileva la fondatezza del secondo motivo, e la conseguente necessità di rivalutare il profilo delle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
All’odierno ricorrente sono stati applicati gli arresti domiciliari in relazione concorso nel delitto di estorsione pluriaggravata in danno di COGNOME NOME: egli è stato individuato dal correo COGNOME NOME come soggetto idoneo, da presentare ad COGNOME NOME, per la formulazione della pretesa estorsiva per conto di un inesistente pericoloso albanese.
Come già accennato, il titolo cautelare è stato in questa sede oggetto di ricorso con esclusivo riferimento, da un lato, alle aggravanti dell’agevolazione della cosca COGNOME di Cassano allo Ionio e del c.d. metodo mafioso, e – d’altro lato – alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari.
La prospettazione difensiva deve peraltro essere disattesa, ad avviso del Collegio, con riferimento a tutte le questioni prospettate.
Per ciò che riguarda l’aggravante agevolativa, deve osservarsi che la sintetica motivazione del Tribunale, volta a valorizzare un consapevole intento, in capo al COGNOME, di consolidare con la propria condotta il racket estorsivo riconducibile al clan COGNOME (cfr. pag. 4 dell’ordinanza impugnata), deve essere letta congiuntamente a quanto evidenziato sia dallo stesso Tribunale in ordine alle similitudini tra l’episodio per cui è causa e quello di cui al capo 9 (in entrambi i casi, la pretesa estorsiva veniva “mascherata” dalla rivendicazione di crediti da lavoro asseritamente vantati da braccianti agricoli dalle persone offese: cfr. pag. 2) e soprattutto in ordine al ruolo concretamente svolto dal ricorrente, come detto “selezionato” dall’COGNOME e da questi portato al cospetto di COGNOME NOME, il quale aveva appunto chiesto all’COGNOME l’individuazione di un soggetto idoneo a formulare la pretesa estorsiva, con cui si sarebbe dovuto recare “alle tre precise da me” per organizzare la spedizione (cfr. pag. 3).
Emerge inoltre, da un lato, una intensa fase preparatoria in cui l’COGNOME aveva invitato il COGNOME ad assumere un atteggiamento intimidatorio con il COGNOME, al quale si sarebbe dovuto presentare come un emissario dell’albanese (in realtà inesistente) prospettando le gravi conseguenze cui sarebbe andato incontro rifiutandosi di pagare quanto richiesto da quest’ultimo. A tale fase preparatoria, d’altro lato, era seguito un incontro alla presenza dello stesso COGNOME e di altri correi (COGNOME, COGNOME) in cui l’odierno ricorrente aveva quanto indicatogli, mentre l’COGNOME, dal canto proprio, aveva simulato un’attività di ausilio e sostegno in favore della persona offesa (cfr. pag. 3, cit., nonché pag. 35 segg. dell’ordinanza genetica, alla quale si rimanda anche per una dettagliata ricostruzione dell’intera vicenda).
Ritiene il Collegio che le conclusioni concordemente raggiunte dai giudici del merito cautelare non possano dirsi vulnerate dal fatto che la difesa ricorrente, pur non contestando la caratura criminale di COGNOME NOME, pone invece in discussione quella di COGNOME NOME (in stretto contatto con l’ARLE0 e con l’odierno ricorrente nella fase preparatoria delle richieste estorsive), dato che egli non sarebbe “menzionato nell’organigramma dell’associazione”: l’assunto appare invero privo di qualsiasi consistenza, ove si consideri che COGNOME NOME è stato raggiunto da misura custodiale in carcere per l’associazione di stampo mafioso, con ruolo apicale di promotore ed organizzatore, ipotizzata nel procedimento comprendente anche l’imputazione estorsiva contestata all’odierno ricorrente (cfr. pag. 153 dell’ordinanza applicativa delle misure).
Ad analoghe conclusioni di infondatezza deve pervenirsi quanto ai rilievi concernenti il c.d. metodo mafioso.
La prospettazione difensiva, come già ricordato nella sintesi dei motivi di ricorso, appare imperniata sul fatto che, alla persona offesa, ci si sarebbe limitati a presentare un personaggio privo di caratura criminale (il COGNOME), incaricato di riscuotere somme non dovute per conto di un soggetto albanese in
realtà inesistente, sicchè la minaccia rivolta alla persona offesa sarebbe stata da ricondurre a tale individuo, e non ad un gruppo criminale.
È agevole osservare, al riguardo, che la censura sottende una sollecitazione ad una lettura alternativa delle risultanze fin qui acquisite, che in questa sede è ovviamente preclusa. Il Tribunale ha infatti ricostruito l’intera vicenda, tutt’altr che illogicamente, come volta ad attribuire agli COGNOME, agli occhi della persona offesa, un ruolo ben diverso da quello di diretti interessati alla richiesta estorsiva: “il fatto che costoro si accreditassero come intermediari, capaci di dirimere le controversie involgenti le imprese operanti sul territorio su cui esercitano la propria forza di intimidazione, è indice del controllo mafioso e capillare anche sul tessuto produttivo” (cfr. pag. 4 dell’ordinanza impugnata).
Tale ottica ricostruttiva appare avvalorata da quanto ben più diffusamente argomentato dal G.i.p. in sede applicativa della misura, sulla scorta delle plurime conversazioni intercettate in cui – da un lato – si rappresenta al COGNOME l’estrema pericolosità dell’albanese (cfr. ad es. quella riportata a pag. 37 dell’ordinanza genetica, in cui COGNOME NOME consiglia di andare a parlare con l’albanese, al contempo però suggerendogli estrema prudenza; pag. 42, in cui l’COGNOME raccomanda alla persona offesa di rifiutare qualsiasi invito dovesse ricevere da “loro”) e, d’altro lato, si forniscono al COGNOME e agli altri correi istruzioni dettagliate su cosa dire alla persona offesa per convincerla a sottostare alle pretese dell’albanese (cfr. pagg. 34 segg., soprattutto pag. 40).
Inoltre, ed anzi soprattutto, viene in rilievo quanto affermato proprio dalla persona offesa, la quale si dichiara disposta a chiudere la vicenda per il “rispetto” maturato nei confronti degli COGNOME (cfr. pag. 4 dell’ordinanza impugnata e pag. 42 dell’ordinanza genetica: il COGNOME dichiara alla fine all’COGNOME di essere disposto a versare la somma di 5.000 Euro, “visto che ci sei tu e mi stai raccomandando”). La persona offesa è quindi ben consapevole dell’identità e della caratura del proprio interlocutore, tanto da rassegnarsi a versare una somma non dovuta proprio per la paradossale “raccomandazione” ricevuta da COGNOME NOME.
A tale ultimo proposito, è opportuno evidenziare, conclusivamente, che nessun rilievo può attribuirsi al fatto che il COGNOME abbia opposto resistenza a versare la maggior somma richiesta dagli indagati: questa Suprema Corte ha infatti chiarito che «in tema di estorsione, la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso non è esclusa dal fatto che la vittima delle minacce abbia assunto un atteggiamento “dialettico” rispetto alle ingiuste richieste, ciò non determinando il venir meno della portata intimidatoria delle stesse» (Sez. 2, n. 6683 del 12/01/2023, Bloise, Rv. 284392 – 01, la quale, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione con la quale si era escluso che la riduzione, da parte della vittima, della somma da consegnare nell’immediato all’estorsore, che ne pretendeva una d’importo più elevato, facesse venir meno la
particolare e qualificata portata intimidatoria della richiesta estorsiva e, quindi, la sussistenza dell’aggravante).
Anche le doglianze prospettate in punto di esigenze cautelari e di adeguatezza della misura applicata appaiono infondate.
Il Tribunale ha osservato che il trattamento cautelare, già connotato dal superamento della presunzione relativa di adeguatezza della misura carceraria, non era suscettibile di ulteriore mitigazione, avuto riguardo, da un lato, al contesto criminale di consumazione del reato estorsivo, alla sua intrinseca gravità e alle allarmanti modalità esecutive: elementi ritenuti idonei a fondare un concreto pericolo di reiterazione di condotte analoghe. D’altro lato, il tempo trascorso dai fatti non consentiva di pervenire a diverse conclusioni, alla luce della contiguità del COGNOME rispetto al tessuto criminale mafioso, e alla sua assenza di remore nell’assunzione del ruolo di “braccio operativo” degli COGNOME, svolto con l’atteggiamento gravemente intimidatorio assunto nei confronti della persona offesa (cfr. pag. 4-5).
Si tratta di un percorso argomentativo immune da censure qui deducibili, anche quanto alla necessità del mantenimento di una misura custodiale.
Le considerazioni fin qui svolte impongono il rigetto del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 gennaio 2023
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Il Presidente