Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4921 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4921 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a TRICARICO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/06/2023 del TRIBUNALE di POTENZA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con ogni conseguente statuizione, conclusioni ribadite con memoria del 09/11/2023.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Potenza – sulla richiesta di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME avverso l’ordinanza emessa in data 19/01/2022 dal Gip presso il Tribunale di Potenza, che aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere, misura poi sostituita da quella degli arresti domiciliari con provvedimento del Tribunale collegiale di Potenza del 05/09/2022, ulteriormente sostituita con quella dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria in data 05/04/2023 – nel giudizio di rinvio a seguito
della sentenza della Sesta sezione penale del 09/05/2023 ha confermato la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. nella forma del metodo in riferimento ai capi 3) e 5), confermando il mantenimento della misura in esecuzione (obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria).
COGNOME NOME, per mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.att. cod. proc. pen.
2.1.Violazione di legge quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al capo 3) dell’imputazione provvisoria; il Tribunale ha nuovamente ritenuto la sussistenza dell’aggravante contestata a causa della ritenuta spendita del nome del clan COGNOME, valorizzando la frase criptica utilizzata “fare il confetto” e in considerazione dell’insistenza degli indagati che si presentavano presso il locale del COGNOME in più occasioni e in almeno due persone, così manifestando un evidente potere intimidatorio; tale conclusione non è condivisibile; le circostanze specifiche richiamate non sono inidonee a configurare il metodo mafioso; il COGNOME ha semplicemente utilizzato dei toni alterati, non sufficienti ad integrare l’aggravante contestata; lo stesso atteggiamento del COGNOME che cercava di prendere tempo parlando con il COGNOME fa comprendere che non era stata posta in essere alcuna intimidazione; se fosse stato veramente intimorito si sarebbe immediatamente recato in questura a denunciare l’accaduto; inoltre il COGNOME dopo la risposta della teorica persona offesa guadagnava immediatamente l’uscita del bar, senza replicare e dunque evidentemente senza alcuna carica intimidatoria. In concreto il ragionamento del Tribunale rimane oscuro e nebuloso, con motivazioni involute e sostanzialmente inespresse; manca qualsiasi riscontro intercettivo e la prova di un accordo tra il ricorrente e il COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2.Violazione di legge in relazione al capo 5) quanto alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dell’aggravante del metodo mafioso ex art. 416-bis.1 cod. pen.; il Tribunale è incorso nella medesima violazione che era stata rilevata dalla Corte di cassazione in sede di annullamento, essendo stata ritenuta la ricorrenza della aggravante esclusivamente in considerazione della presenza di più persone e dell’utilizzo di armi; il Tribunale non ha correttamente valutato, cadendo anche in un vizio della motivazione, che lo stato di omertà del COGNOME comunque non è stato
provocato dalla azione asseritamente posta in essere dai correi, quanto invece dalla necessità di2non fare l’infame” e dalla necessità riferita dal COGNOME di non delegittimarsi nei confronti dei calabresi con i quali intrattiene rapporti.
2.3.La difesa ha ribadito le proprie conclusioni con memoria del 09/11/2023.
Il AVV_NOTAIO generale ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
In tal senso occorre considerare come, a fronte del perimetro di valutazione e giudizio, conseguente all’annullamento con rinvio della Sesta sezione di questa Corte il Tribunale di Potenza abbia adeguatamente colmato le lacune motivazionali richiamate, con una argomentazione congrua e logicamente articolata, a fronte della quale il ricorrente, in tema di gravità indiziaria in ordine alla ricorrenza della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., quanto ai capi 3) e 5), non si confronta, limitandosi a proporre la propria alternativa versione senza considerare l’oggettiva ricostruzione, l’approfondimento dei temi devoluti, che hanno portato il Tribunale a ritenere compiutamente ricorrente la aggravante contestata.
Difatti, anche in sede di rinvio, e nell’ambito del perimetro delibativo devoluto, alla Corte spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976-01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460-01). Di conseguenza, l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle
censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito, come di fatto avvenuto nel caso in esame, atteso che il ricorrente non si è realmente ed adeguatamente confrontato con la rinnovata motivazione del Tribunale sul tema oggetto di annullamento con rinvio (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698-01 e di recente Sez.1, n. 45201 del 11/10/2023, La Cognata).
Come correttamente osservato dal AVV_NOTAIO generale nelle proprie conclusioni, la difesa con i propri motivi ha semplicemente inteso riproporre argomenti fattuali, senza che ricorra alcuna violazione di legge in tema di valutazione della provvista indiziaria quanto alla aggravante contestata.
Sono stati difatti ampiamente considerati, in modo articolato ed approfondito, secondo le indicazioni della sentenza di annullamento, con una ricostruzione sistematica e logica, una serie di elementi significativi, ulteriori rispetto agli altri già richiamati nel precedente provvedimento, evocativi del timore che la minaccia, caratterizzata dal metodo mafioso, aveva determinato non solo nei confronti delle persone offese, ma anche di soggetti estranei, a fronte di censure di fatto meramente reiterative e caratterizzate da lettura parcellizzata. In tal senso, veniva evidenziata non solo la portata del linguaggio e l’evocazione dei COGNOME noti criminali della zona, ma anche la chiusura del locale oggetto di minaccia per due giorni, la reazione di un avventore del locale che si allontanava immediatamente attesa la caratura del ricorrente e del COGNOME, le particolari accortezze adottate dai sodali per raggiungere i propri obiettivi, il recupero delle armi proprio a casa dei COGNOME in relazione alla contestazione di cui al capo 5), la reiterazione delle condotte, con presenza sui luoghi estremamente significativa e condizionante, la paura indotta della presenza del ricorrente e del COGNOME, che inducevano la persona offesa ad adottare soluzioni disincentivanti e di difesa, proprio per il timore di danneggiamenti ed incendi, le dichiarazioni della COGNOME, la corrispondenza delle condotte poste in essere ripetutamente e delle dichiarazioni rese dal COGNOME, chiaramente evocative di una minacciata ritorsione da parte delle persone che si erano recate dal COGNOME, il timore conseguente dello stesso, la caratterizzazione della minaccia in senso mafioso, nonostante un iniziale rapporto dialettico, volto a limitare all’evidenza peggiori conseguenze.
Infine nella critica difensiva sono state del tutto omessi, con una lettura parziale e parcellizzata, gli esiti delle captazioni, quanto alla posizione del COGNOME e al suo tentativi di mantenere il riserbo sulle minacce ricevute, di portata inequivoca, considerate, in modo logico ed argomentato, in relazione al solo al fine di potersi giovare con il suo silenzio di vantaggi conseguenti e collaborazione nell’azione della consorteria criminale di riferimento per non subirne gli effetti negativi, con chiaro e logico riferimento alle dichiarazioni del collaboratore COGNOME, anche quanto all’uso dell’arma.
Non ricorre dunque alcuna violazione di legge, né un vizio della motivazione tale da poter considerare la stessa apparente o assente, a fronte di una serie di doglianze che si caratterizzano oggettivamente per genericità ed aspecificità, in mancanza di confronto con la motivazione.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp.att.cod. proc. pen. Il Consigliere estensore NOME COGNOME