Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11842 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11842 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a GELA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/10/2023 del Tribunale di Caltanissetta
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato in questa sede il Tribunale del riesame di Caltanissetta ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di COGNOME NOME avverso l’ordinanza applicativa della custodia in carcere emessa in data 9 ottobre 2023 dal G.i.p. presso il Tribunale di Caltanissetta, in relazione ai reati di tentata estorsione aggravata, rapina aggravata, detenzione illegale di armi e lesioni personali aggravate, riconoscendo per tutti i reati l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. proc. pen.
Ha proposto ricorso la difesa del ricorrente deducendo con il primo motivo violazione di legge, in relazione all’art. 273 cod. proc. pen., e vizio della motivazione quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il ricorrente lamenta: il carattere “eccentrico e singolare” della motivazione dell’ordinanza che, nel valutare gli elementi nuovi dedotti con apposita memoria al Tribunale, si richiama unicamente alle considerazioni contenute nel provvedimento genetico, che per logica non poteva sviluppare argomenti contrastanti gli elementi allora sconosciuti; il valore “depotenziato” degli atti di indagine, contenenti l’assunzione di informazioni dalle persone offese e dai denuncianti senza l’osservanza delle disposizioni che prevedono la riproduzione fonografica delle informazioni rese, circostanza che pur senza comportare profili di inutilizzabilità imponeva un’attenta valutazione della capacità indiziante di quei dati; anche su tale profilo l’ordinanza aveva omesso di esprimere il proprio giudizio; ancora, si censura l’omessa valutazione della contraddizione denunciata tra il contenuto delle informazioni rese, dimostrative di un rapporto che non conteneva imposizione da parte dei presunti responsabili di limiti e condizioni all’esercizio dell’attività d’impresa svolta dalle persone offese, e le richieste avanzate dal ricorrente e dai suoi parenti che, al contrario, avevano chiesto di essere autorizzati a svolgere determinate attività; la pacifica contraddizione emergente dalle dichiarazioni delle presunte vittime sul numero e sulla disponibilità delle armi da loro indicate; non era stata valutata la propensione dei dichiaranti a rendere dichiarazioni false e a ingannare il personale medico cui si erano rivolti in occasione del diverbio, fatto ammesso dall’indagato, né le esplicite iniziative volte a concordare preventivamente il contenuto delle dichiarazioni da rendere agli operatori di polizia.
Con ulteriori argomenti, la difesa critica il giudizio espresso dal Tribunale del riesame in punto di attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, poiché basato su affermazioni apodittiche, in contrasto con elementari canoni logici di interpretazione, e senza considerare l’evidente “divergenza del molteplice” riscontrata dalla piana lettura delle dichiarazioni, giustificata con il richiamo a elementi di contesto e condizioni soggettive non risultanti dagli atti di indagine; carente era la motivazione sull’asserita inconsapevolezza dei testimoni dell’essere intercettati mentre erano in attesa di essere sentiti dagli investigatori; in definitiva ad avviso del ricorrente, il materiale indiziario non consentiva di provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell’indagato per i fatti contestati, né era prevedibile che la prosecuzione delle indagini avrebbe consentito di giungere ad una qualificata probabilità di condanna; al contrario, i dati raccolti attestavano unicamente un sicuro diverbio violento tra le parti, senza invece potere dimostrare la volontà dell’indagato, e dei soggetti che lo accompagnavano, diretta ad
utilizzare armi per imporre il versamento di denaro, sottraendo materiale di cui essi non conoscevano la collocazione; era ragionevole una diversa sequenza degli accadimenti, provocata dall’iniziativa del ricorrente che si era rivolto ad un legale per la rivendica dei diritti di successione ereditaria, iniziativa che aveva indotto la reazione della denuncia tardivamente presentata con rappresentazione di condotte ed episodi del tutto differenti da quelli riferiti al momento del diverbio intercorso tra le parti.
2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 266, 271, 309, comma 5 e 10, cod. proc. pen. e vizio della motivazione, in punto di utilizzazione delle attività di intercettazione, in difetto di trasmissione Tribunale del riesame del relativo decreto autorizzativo; l’allegazione del decreto agli atti trasmessi al G.i.p., in contrasto con quanto asserito dall’ordinanza, era dimostrato dal riferimento contenuto nel provvedimento genetico, in cui si richiamavano le intercettazioni disposte in forza di quello specifico decreto autorizzativo; eguale censura colpiva i files audio delle conversazioni intercettate che non erano stati trasmessi al Tribunale del riesame.
2.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 125, comma 3, 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen. e vizio della motivazione, in punto di valutazione dell’assenza del requisito dell’autonoma valutazione da parte del G.i.p. in relazione sia ai gravi indizi di colpevolezza, sia ai requisiti attualità e concretezza delle esigenze cautelari; il Tribunale del riesame si era limitato ad affermare in modo assertivo, senza alcuna indicazione specifica, l’esistenza di argomenti valutativi da parte del provvedimento genetico, impedendo così di apprezzare l’assolvimento del dovere di autonoma valutazione.
2.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 416 bis.1 cod. pen. e vizio della motivazione, circa il profilo della sussistenza della contestata circostanza aggravante del metodo mafioso; il provvedimento non aveva spiegato come potesse esser esercitato il metodo mafioso nei confronti di soggetti, come COGNOME NOME e COGNOME NOME, attinti da gravi precedenti penali e già sottoposti a misure di prevenzione.
2.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 274 cod. proc. pen., e vizio della motivazione, in quanto mancante, in punto di dimostrazione dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari, a fronte di una serie di dati (decorso del tempo dall’epoca dei commessi reati, assenza di analoghe condotte successive, evoluzione delle controversie familiari) che dimostravano la carenza di quei caratteri, affermati in modo apodittico e cumulativo richiamando datati precedenti penali e la sottoposizione del ricorrente alla misura della sorveglianza speciale di p.s.; era anche mancante la motivazione idonea a dimostrare che ogni altra misura, in primo luogo l’eventuale misura detentiva con
applicazione di dispositivi elettronici di controllo, fosse inidonea nel garantire le eventuali esigenze di cautela, considerato anche l’avvenuto risarcimento del danno in favore delle ipotizzate vittime dei reati.
In data 12 gennaio 2024 è pervenuta a mezzo PEC dichiarazione del difensore del ricorrente con allegato provvedimento del G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta che ha dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare applicata al ricorrente, in relazione al reato contestato al capo D) (lesioni personali aggravate); successivamente in data 18 gennaio 2024 è pervenuta con lo stesso mezzo memoria difensiva, con la quale si ripropone il tema della mancata trasmissione al Tribunale del riesame del decreto autorizzativo delle attività di intercettazione audio-video, i cui esiti sono stati valutati con il provvedimento impugnato e rivestono carattere decisivo ai fini della tenuta dell’apparato motivazionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel suo complesso infondato.
1.1. Il primo motivo è reiterativo delle questioni sollevate con la memoria difensiva depositata davanti al Tribunale del riesame che, al contrario di quanto lamentato dal ricorrente, non si è limitato a condividere le valutazioni del Giudice della cautela ma ha preso in esame le singole questioni sollevate (v. pagg. 10 e ss.) superandole con argomenti corretti in diritto e privi di vizi logici.
L’omessa verbalizzazione delle informazioni assunte dalle persone offese, secondo le modalità indicate dall’art. 134 cod. proc. pen., richiamate per l’attività della polizia giudiziaria dall’art. 357, comma 2 e 3 bis cod. proc. pen., nell’ipotesi che le informazioni assunte siano relative ad indagini per delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a) cod. proc. pen., non è assistita da alcuna specifica sanzione processuale; pertanto, la violazione della previsione riguardante la documentazione dell’attività mediante riproduzione fonografica delle informazioni assunte non comporta alcun profilo di inutilizzabilità (a differenza di quanto previsto dall’art. 357, comma 3 ter, cod. proc. pen. ove è testualmente prevista la sanzione processuale dell’inutilizzabilità per la documentazione delle informazioni assunte da soggetto minorenne, infermo di mente o particolarmente vulnerabile senza la riproduzione audiovisiva o fonografica).
Il Tribunale del riesame in modo corretto ha escluso l’esistenza di alcun profilo di inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte dalle persone offese, mettendo in rilievo come la stessa prospettiva del ricorrente, che evocava l’inosservanza del
dovere generale previsto dall’art. 124 cod. proc. pen., confermava l’assenza di cause di nullità o inutilizzabilità, non espressamente previste al riguardo.
Quanto, poi, all’evocata necessità di un esame “più penetrante” di quelle dichiarazioni, per effetto dell’omessa registrazione fonografica, il ricorrente non considera la puntuale valutazione riguardante l’attendibilità del dichiarato condotta dall’ordinanza impugnata (pagg. 14 ss.), operata considerando criteri di logica, di riscontro documentale e di contestualizzazione della vicenda, apprezzando gli effetti dell’aggressione subita dalle persone offese (e in difetto di qualsivoglia conseguenza fisica degli aggressori) sia quanto alla precisione dei ricordi (in particolare, quanto al possesso e all’uso delle armi da parte dei singoli componenti il gruppo degli aggressori) che alla scelta di non denunciare immediatamente alle autorità i fatti come accaduti, per evidenti timori di gravi ritorsioni.
Si tratta di argomentazioni coerenti con i dati di indagine raccolti e prive di vizi logici, rispetto alle quali il ricorrente sollecita ancora una differen ricostruzione fattuale (espressamente a pag. 11 del ricorso), sulla scorta di un’alternativa causa del diverbio individuata in contrasti familiari per motivi ereditari, di un differente apprezzamento delle rilevate incongruenze delle dichiarazioni e dell’ipotizzata (ma non dimostrata: v. pag. 18) consapevolezza delle persone offese di esser intercettate mentre erano in corso le operazioni di captazione presso gli uffici della polizia.
Così strutturata la censura, emerge con evidenza il carattere non consentito del motivo di ricorso: secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione proposto avverso i provvedimenti emessi in materia di misure cautelari personali è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero se censura la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884 – 01), poiché il controllo di legittimità sui provvedimenti emessi nel giudizio cautelare personale è circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Sansone, Rv. 269438 – 01).
1.2. Il secondo motivo di ricorso, tenuto conto altresì dei motivi nuovi esposti sul medesimo profilo, è infondato.
Il ricorrente ripropone la questione della perdita di efficacia della misura cautelare a causa dell’omessa trasmissione al Tribunale del riesame dei decreti autorizzativi delle intercettazioni, attaccando l’affermazione del provvedimento che ha escluso l’allegazione, con la richiesta formulata dal P.M. al G.i.p. per l’emissione dell’ordinanza applicativa, dei decreti autorizzativi. Ad avviso della difesa, l’espressione contenuta nel provvedimento del Tribunale (pag. 10) ove si precisava che l’ordinanza del G.i.p. era stata emessa sulla base di un decreto autorizzativo, espressamente richiamato con i relativi estremi, smentiva l’assunto dell’omessa trasmissione al G.i.p. dei decreti; la mancata trasmissione dei decreti al Tribunale del riesame avrebbe determinato, se non la perdita di efficacia della misura, quanto meno l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, ovvero “la nullità del risultato probatorio intercettato”; analogo vizio andava rilevato per l’omessa trasmissione dei files audio ritenuti determinanti per l’individuazione dei gravi indizi di colpevolezza.
La censura, così articolata, non può trovare accoglimento.
È stato più volte ribadito dalla giurisprudenza della Corte che la perdita di efficacia della misura cautelare consegue solo all’omessa trasmissione al Tribunale del riesame degli atti che siano stati sottoposti all’esame del G.i.p. dalla parte pubblica, con la richiesta ex art. 291 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 5981 del 17/10/2019, dep. 2020, Monaco, Rv. 278436 – 01; Sez. 1, n. 29036 del 06/02/2018, Scordio, Rv. 273296 – 01; Sez. 4, n. 18802 del 21/03/2017, Semilia, Rv. 269944 – 01; Sez. 6, n. 51677 del 30/10/2014, COGNOME, Rv. 261666 – 01; Sez. 3, n. 19101 del 07/03/2013, D., Rv. 255117 – 01).
Egualmente costante l’affermazione secondo la quale il P.M., nel formulare la richiesta di emissione di ordinanza in materia di misure cautelari, ha il potere di selezionare il materiale ritenuto utile e necessario per dimostrare l’esistenza dei presupposti applicativi della misura (v. già Sez. 1, n. 3111 del 30/06/1993, COGNOME, Rv. 194361 – 01; Sez. 5, n. 39950 del 16/06/2004, COGNOME, Rv. 229896 – 01, Sez. 2, n. 12080 del 06/02/2008, COGNOME, Rv. 239739 – 01; Sez. 1, n. 47353 del 25/11/2009, COGNOME, Rv. 245636 – 01).
A fronte dell’affermazione del Tribunale del riesame dell’omessa trasmissione, con la richiesta del P.M, dei decreti autorizzativi delle intercettazioni (proprio con l’affermazione indicata dal ricorrente, il cui tenore è privo di equivoci e smentisce l’assunto difensivo: “(il) G.i.p. (…) ha posto a base dell’ordinanza genetica solo i verbali contenenti la trascrizione effettuata dalla P.G. delle conversazioni captate, sulla base del decreto autorizzativo n. 282/20023 R. intercettazione., neanch’esso messo a disposizione del giudice di prime cure”), era onere della difesa, ove avesse inteso verificare la legittimità dell’attività di captazione e sollevare profili inutilizzabilità dei risultati delle operazioni, provvedere a richiedere al P.M. i
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rilascio dei decreti autorizzativi (ovvero, sollecitare il Tribunale del riesame ad acquisirli d’ufficio: Sez. 1, n. 823 del 11/10/2016, dep. 2017, NOME, Rv. 269291 – 01; Sez. 3, n. 42371 del 12/10/2007, NOME, Rv. 238059 – 01) così mettendo a disposizione del Tribunale del riesame prima, e della Corte poi, il materiale processuale necessario per decidere su eventuali questioni afferenti alla legittimità dell’attività di ricerca della prova.
Analoghe considerazioni valgono per l’omessa trasmissione dei supporti contenenti le registrazioni eseguite; è pacifico che il pubblico ministero non ha l’obbligo di trasmettere i supporti informatici contenenti registrazioni di suoni e immagini utilizzate ai fini dell’applicazione delle misure, quando gli esiti di quelle registrazioni siano riportati negli atti di polizia giudiziaria (Sez. 2, n. 19195 de 12/04/2019, COGNOME, Rv. 276444 – 01; Sez. 1, n. 33819 del 20/06/2014, COGNOME, Rv. 261092 – 01; Sez. 1, n. 34651 del 27/05/2013, COGNOME, Rv. 257440 – 01; Sez. 1, n. 16781 del 24/03/2010, COGNOME, Rv. 246938 – 01); pertanto, i risultati delle intercettazioni sono utilizzabili nel procedimento cautelare anche quando il pubblico ministero non abbia allegato i relativi supporti (Sez. 5, n. 37699 del 17/07/2008, COGNOME, Rv. 241948 – 01).
La decisione del Tribunale è dunque corretta quanto all’applicazione della regola di diritto al caso di specie, avendo motivato in modo puntuale le ragioni a sostegno della mancata trasmissione al G.i.p. dei decreti autorizzativi (circostanza fattuale che, del resto, il ricorrente avrebbe potuto contrastare allegando i dati documentali attestanti il contrario).
1.3. Il terzo motivo è anch’esso infondato.
Il provvedimento del Tribunale del riesame (pag. 12) ha dato conto della valutazione compiuta dal provvedimento genetico escludendo l’acritica ricezione della prospettazione della richiesta del P.M.; ha precisato che mentre nella ricostruzione in fatto delle vicende oggetto delle indagini il Giudice della cautela aveva fattor rinvio testuale al contenuto della richiesta della parte pubblica, invece nella fase valutativa del quadro indiziario e del profilo delle esigenze cautelari il G.i.p. aveva, pur se sinteticamente, esposto le ragioni a sostegno della sussistenza dei presupposti richiesti dagli artt. 273 e 274 cod. proc. pen.
A fronte di tale motivazione, il ricorrente lamenta anche in questa sede il difetto di autonoma valutazione in termini del tutto astratti; mentre era onere del ricorrente evidenziare, in primo luogo mediante l’allegazione dei testi della richiesta del P.m. e dell’ordinanza genetica, la sostanziale riproduzione dei medesimi argomenti di natura valutativa così mettendo in rilievo il difetto lamentato; ma ancor più, com’è stato chiaramente affermato, avrebbe dovuto assolvere l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali quella omissione avrebbe impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da
condurre a conclusioni diverse da quelle adottate, poiché «per la rilevazione di una nullità afferente alla formazione della decisione giudiziale è (…) richiesta la prospettazione dell’incidenza su quel risultato decisorio di una mancanza di elaborazione critica, nel senso che occorre denunciare, con sufficiente specificità, in quale parte e per quale aspetto l’omessa autonoma valutazione abbia determinato una conclusione decisoria che altrimenti non sarebbe stata» (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, NOME, Rv. 277496 – 01; Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, dep. 2019, Esposito, Rv. 274760 – 01).
1.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
La valutazione della caratteristica dell’azione costituita dal ricorso al metodo mafioso, da cui discende la forza d’intimidazione della vittima del reato, non è condizionata dalla capacità della vittima di resistere o restare indifferente rispetto a quella specifica modalità della condotta, ovvero dall’essere la vittima soggetto anch’egli inserito in circuiti criminali. E’ stato ripetutamente affermato che la circostanza in esame ha carattere oggettivo, da valutare alla stregua delle caratteristiche della condotta, esplicative dell’evocazione di una capacità criminale (derivante dall’organizzazione che viene richiamata, esplicitamente o attraverso modelli comunicativi e comportamentali, dall’azione dell’imputato) che rende particolarmente temibile l’agire criminale, «riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune» (Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, Pagnotta, Rv. 277222 – 01); sicché non rileva la reazione della vittima all’intimidazione subita per escludere la circostanza aggravante (come quando essa si sia immediatamente rivolta alle forze dell’ordine per denunciare i fatti accaduti: Sez. 2, n. 45321 del 14/10/2015, COGNOME, Rv. 264900 – 01), né assume carattere decisivo «il consapevole consenso, da parte della vittima del reato, di relazionarsi con un soggetto appartenente ad un’associazione di stampo mafioso» (Sez. 2, n. 37516 del 11/06/2013, COGNOME, Rv. 256659 – 01) così come la circostanza non è esclusa quando «la vittima delle minacce riesca ad assumere un atteggiamento di contrapposizione “dialettica” alle ingiuste richieste» (Sez. 1, n. 14951 del 06/03/2009, COGNOME, Rv. 243731 – 01; Sez. 2, n. 6683 del 12/01/2023, Bloise, Rv. 284392 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per le medesime ragioni, nella valutazione della sussistenza della circostanza aggravante non può incidere la qualità soggettiva della vittima, ove la stessa sia soggetto pregiudicato o inserito in analoghe organizzazioni criminali (Sez. 5, n. 22554 del 09/03/2018, COGNOME, Rv. 273190 – 01), dovendosi esclusivamente apprezzare se le modalità dell’azione complessivamente considerate siano riconducibili al parametro dell’agire mafioso, che si sostanzia nell’evocazione della capacità di intimidazione derivante dallo specifico vincolo associativo.
1.5. Il quinto motivo è generico oltre che manifestamente infondato.
Il ricorrente, nel censurare il giudizio espresso quanto al profilo delle esigenze cautelari e della misura applicata, elude completamente il tema della presunzione fissata dall’art. 275, comma 3 cod. proc. pen., che non impone una valutazione in positivo sulla sussistenza delle esigenze di cautela, ma richiede esclusivamente di apprezzare eventuali ragioni di esclusione di quelle esigenze (Sez. 5, n. 36891 del 23/10/2020, Quaceci, Rv. 280471 – 01); tema rispetto al quale non viene neppure allegato alcun elemento contrario in grado di superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari (Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282865 – 01; Sez. 5, n. 91 del 01/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280248 – 01), non potendo valere al riguardo il decorso del tempo dalla commissione del fatto (anteriore di un solo anno rispetto all’applicazione della misura) o il dato meramente assertivo del carattere “squisitamente familiare” del diverbio esitato nei fatti contestati.
Al contrario, il provvedimento ha analizzato in dettaglio sia le caratteristiche dei fatti, sia il profilo soggettivo del ricorrente, desumendone con valutazioni logicamente coerenti con i dati considerati la sicura permanenza di esigenze di cautela, fronteggiabili unicamente con la misura custodiale in carcere in ragione del livello di pericolosità sociale e della influenza del vincolo solidaristico con ambienti criminali organizzati.
Al rigetto del ricorso, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Copia del presente provvedimento deve essere trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario ove è custodito il ricorrente, affinché provveda a quanto previsto dall’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 24/1/2024