Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7481 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7481 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a CITTANOVA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CARMAGNOLA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/08/2023 del TRIB. LIBERTA’ di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG PERLA LORI: il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso.
uditi i difensori:
l’AVV_NOTAIO COGNOME del Foro di ROMA chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata in riferimento alla misura detentiva;
lAVV_NOTAIOAVV_NOTAIO COGNOME del Foro di TORINO si associa alla richiesta del co-difensore e si riporta, nel resto, ai motivi del ricorso;
l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME del foro di NAPOLI si riporta ai motivi del ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATI -0
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Torino ha rigettato le richieste di riesame presentate nei confronti dell’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di diverse persone per vari reati aggravati dal c.d. metodo mafioso. Nei confronti del solo NOME COGNOME è stata ipotizzata pure la partecipazione ad associazione mafiosa e precisamente alla ‘RAGIONE_SOCIALE, della quale è stato ritenuto elemento di riferimento nel territorio di Orbassano.
Hanno proposto ricorso per cassazione i soli indagati NOME COGNOME e NOME COGNOME: il primo è stato ritenuto attinto da gravi indizi di colpevolezza, oltre c per la partecipazione ad associazione mafiosa ascritta provvisoriamente nel capo 1, per diversi episodi di usura, estorsione e trasferimento fraudolento di valori; il secondo è invece interessato alla sola ipotesi criminosa provvisoriamente ascrittagli nel capo 10, e cioè l’estorsione, aggravata tra l’altro dal metodo mafioso, alla quale avrebbe concorso con lo stesso COGNOME e con altra persona, ai danni di NOME COGNOME, nell’estate 2021.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME si articola nei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. co proc. pen.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge sostanziale e processuale, e precisamente degli artt. 416-bis cod. pen. nonché 192 e 273 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria della partecipazione all’associazione mafiosa.
Dalla stessa formulazione dell’imputazione provvisoria, che fa riferimento ad un periodo indicato «quantomeno da aprile 2018 ad oggi» e ad un ruolo di rifermento per l’articolazione carmagnolese della ‘RAGIONE_SOCIALE nella zona di Orbassano, deve desumersi l’assenza di elementi indiziari per il periodo precedente come pure la limitazione del ruolo. In ogni caso, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che il Tribunale del riesame ha valorizzato attengono ad un periodo assai risalente nel tempo, e precisamente agli anni ’90 del secolo scorso; le dichiarazioni di NOME COGNOME sul ruolo rilevante assunto dal RAGIONE_SOCIALE valorizzano propalazioni che lo stesso ricorrente avrebbe effettuato durante una detenzione terminata nel 2013.
La motivazione sarebbe dunque illogica nella parte in cui valorizza le predette fonti a sostegno di un giudizio di intraneità attuale. In ogni caso, si tratterebbe d fonti generiche che prescindono dall’illustrazione di condotte oggettivamente apprezzabili e si limitano a segnalare il mero ruolo associativo ascritto all’indagato.
La conversazione nella quale, ancora una volta nel 2013, tale COGNOME avrebbe attribuito al COGNOME la “dote di santa”, carica di rilievo nel sodalizio, nul dimostrerebbe, tenuto conto dell’impossibilità per il COGNOME, estraneo al sodalizio, di conoscere notizie riservate.
Generica sarebbe l’informazione secondo la quale il COGNOME volesse riprendere un ruolo di controllo ad Orbassano, suo precedente luogo di residenza, una volta rientrato dalla Liguria. Identico vizio affliggerebbe quella parte di motivazione nella quale si valorizzano l’invito di NOME COGNOME, appartenente alla locale di Carmagnola, ad unirsi nella commissione di delitti tributari; ovvero le richieste di intervento in altre vicende (COGNOME Bruno; COGNOME): tutti riferimenti dai quali, non essendo chiarito in cosa sarebbe consistito l’intervento del COGNOME, non può derivare la dimostrazione di alcunché. Al contrario, l’ultima delle vicende citate riguarda un creditore che si occupava di vendita di autovetture come l’indagato e che aveva interessi in comune con lui.
I reati contro il patrimonio ascritti non sono di per sé significativi appartenenza ad un sodalizio mafioso, mentre sarebbe apparente la motivazione con la quale il Tribunale ha argomentato circa l’effetto intimidatorio che promanava dall’indagato: in particolare, il Tribunale non avrebbe chiarito per quale ragione tale effetto dovesse derivare dall’appartenenza alla ‘RAGIONE_SOCIALE piuttosto che da caratteristiche personali del ricorrente.
Infine, un aiuto sporadico ad un amico è stato inteso dal Tribunale, senza motivazione, quale elemento significativo di appartenenza alla ‘RAGIONE_SOCIALE, sotto il profilo dell’assistenza ai detenuti della famiglia mafiosa.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce analoghi vizi (le norme violate sarebbero in questo caso gli artt. 644 cod. pen. e 273 cod. proc. pen.) con riferimento alla ritenuta gravità indiziaria del delitto di usura di cui al capo 2.
Mancherebbe nella motivazione il giudizio di attendibilità della persona offesa, come pure qualsivoglia elemento chiaro in ordine ai termini dell’accordo tra mutuante e mutuatario.
2.3. Con il terzo motivo si deducono analoghi vizi e si denuncia la violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 393 e 629 cod. pen., con riferimento ai delitti di estorsione contestati nei capi 3-4-6-10, rispetto ai quali il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato la mancata riqualificazione nel delitto di cui all’art. 393 cod. pen.
Solo nel caso di cui al capo 2 la volontà degli agenti si sarebbe spinta al di là della mera soddisfazione del proprio credito, mentre l’intensità della violenza adoperata non sarebbe di per sé in contrasto con la richiesta riqualificazione.
Nemmeno la motivazione sarebbe corretta laddove si riferisce alla non azionabilità del credito: con riferimento al reato di cui al capo 6 la stessa ipotesi
di accusa esclude l’usura; quanto al capo 10 la medesima accusa esclude l’illiceità del credito vantato nei confronti della persona offesa COGNOME.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante in riferimento ai reati di cui ai capi 3-4-6-10.
Il vizio logico sarebbe ravvisabile nell’aver desunto la sussistenza dell’aggravante non tanto dalle modalità della condotta, ma dalle connotazioni soggettive dell’agente.
2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, con riferimento all’art. 512-bis cod. pen., nonché vizio di motivazione: l’ordinanza avrebbe omesso di motivare sul dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, limitandosi ad osservare la possibile appartenenza del ricorrente alle categorie di persone cui possono essere applicate misure di prevenzione.
2.6. Con l’ultimo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza delle eccezionali esigenze cautelari che giustificano la massima misura a carico di una persona dell’età del ricorrente. La motivazione sul punto sarebbe apparente, essendosi limitata a menzionare le famiglie mafiose con le quali il ricorrente sarebbe attualmente in contatto.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si articola nei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla mancata riqualificazione dell’estorsione ascritta nel delitto meno grave di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona.
Il ricorrente richiama il contenuto dei motivi di riesame sul punto specifico ed evidenzia che ad essi non è stata data una corretta risposta. Erano state infatti messe in evidenza le conversazioni valorizzate nell’ordinanza cautelare, per desumere da esse anzitutto l’assenza di alcuna pattuizione usuraria e, al contrario, l’avvenuto prestito di una somma di denaro da parte di COGNOME e COGNOME al venditore di automobili COGNOME; questi avrebbe impiegato le somme per scopi diversi dall’affare pattuito ed avrebbe provocato la reazione dei creditori. Il ruolo del COGNOME sarebbe stato nei termini di una mera collaborazione al tentativo, pur violento, di recupero del credito.
Il Tribunale avrebbe errato in diritto, perché avrebbe fondato il giudizio sulla gravità indiziaria del delitto di estorsione sulla sproporzione delle minacce e delle intimidazioni poste in essere, laddove invece le Sezioni Unite (n. 29541/2020) hanno chiarito che il criterio distintivo tra il delitto di ragion fattasi e l’estors risiede esclusivamente nel diverso elemento soggettivo, potendosi realizzare
anche il meno grave reato in presenza di condotte contraddistinte da violenza ragguardevole, purché, come nel caso di specie, si sia in presenza di una pretesa astrattamente tutelabile. Il Tribunale, anche sul punto, avrebbe errato, facendo riferimento alla scarsa probabilità di successo di un’eventuale azione a tutela del credito, circostanza non rilevante. Del pari irrilevante sarebbe il paragone, operato dal Tribunale, con altra vicenda menzionata in un diverso capo di imputazione (vicenda cui è estraneo il ricorrente) nella quale i creditori hanno deciso di rivolgersi all’autorità giudiziaria. Ciò che conta è il dato empirico della cessione di denaro in vista di un affare economico e della mancata restituzione del denaro, che ha provocato la reazione violenta del creditore e del concorrente NOME, a fronte di una pretesa astrattamente tutelabile dinanzi al giudice.
Parimenti ininfluente è la circostanza che, in una conversazione con il COGNOME, NOME COGNOME abbia fatto riferimento alla possibilità di prendersi due o tre macchine, trattandosi chiaramente di una possibilità alternativa di soddisfazione del medesimo credito e non di un ulteriore profitto.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento all’art. 416-6/5.1 cod. pen.
Già nel capo di imputazione provvisorio mancherebbe il riferimento a condotte evocative della forza intimidatrice e la contestazione provvisoria dell’aggravante sembra fondata, come la motivazione su di essa, sul mero dato della partecipazione del solo COGNOME ad una consorteria mafiosa. Manca, in particolare, una correlazione funzionale tra l’evocazione della forza intimidatrice e la commissione del reato che, nel caso di specie, si risolve nella mera minaccia e violenza per ottenere la soddisfazione di un credito.
Non avrebbero alcun valore dimostrativo dell’aggravante gli ulteriori elementi valorizzati dal Tribunale del riesame: una condanna non definitiva del COGNOME per false fatture; la condanna – del pari non definitiva – dell’emittente di tali fattur per reato associativo; la circostanza che COGNOME abbia avvisato il COGNOME del decesso di una persona appartenente ad una famiglia mafiosa.
3.3. Con l’ultimo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in relazione agli artt. 125, 275 e 292 cod. proc. pen. con riferimento alla decisione di mantenere la massima misura cautelare e di non sostituirla con altra meno gravosa, in assenza di elementi dai quali desumere la commissione di nuovi reati da parte dell’indagato. Si censura ancora una volta il riferimento operato dal Tribunale del riesame alla comunicazione, nel 2023, dell’avvenuto decesso di un mafioso, dato che il Tribunale ha considerato significativo e che invece ha carattere neutro.
4. Si è proceduto a discussione orale.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
I Difensori dei ricorrenti, AVV_NOTAIO COGNOME e AVV_NOTAIO COGNOME per COGNOME e AVV_NOTAIO. COGNOME per NOME hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è infondato, con alcuni aspetti di inammissibilità.
1.1. Sono inammissibili le deduzioni di violazione di legge sostanziale e processuale.
Anzitutto, con riguardo a quest’ultimo aspetto, laddove si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. C) cod. proc. pen. non vengono nemmeno ipotizzate nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenze come previsto dalla norma.
Diffusamente si deduce violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in realtà introducendo null’altro che la sollecitazione alla Corte di rileggere, nel modo che il ricorrente ritiene più plausibile, gli elementi di fatto già interpretati e coordina dai giudici della cautela nelle loro decisioni.
La deduzione di violazione di legge presuppone circostanze in sé incontestate ovvero oggettive, rispetto alle quali si prospetta un diverso inquadramento rispetto a quello prescelto nel provvedimento impugnato.
Al contrario, nel caso in esame, si viene a censurare, piuttosto, il percorso logico-giuridico che ha condotto i giudici del riesame al loro pronunciamento, sovente peraltro attraverso indebite sollecitazioni alla rivalutazione degli elementi di prova.
1.2. Pertanto, sono in parte inammissibili anche i motivi che deducono vizio di motivazione.
Va ricordato che il ricorso per cassazione che deduca l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o l’assenza delle esigenze cautelari è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (v., per tutte, Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
1.3. Il primo e l’ultimo motivo di ricorso, dunque, inducono la Corte di cassazione a rivalutare partitamente i singoli indizi che sono stati posti dal tribunale del riesame a fondamento della decisione, proponendone non soltanto una lettura diversa, ma anche parcellizzata.
Compito della Corte di cassazione, invece, è solo quello di verificare la tenuta della motivazione rispetto a se stessa, cioè la non manifesta illogicità delle conclusioni raggiunte rispetto alle premesse esposte.
Da questo punto di vista, nessun vizio è ravvisabile nell’ordinanza impugnata, che non ha affatto valorizzato esclusivamente dichiarazioni di chiamanti in correità risalenti nel tempo, ma ha correttamente collegato tali dichiarazioni, significative di antichi legami del RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE, con elementi più recenti: il tutto essendo significativo della mancata recisione da parte sua dei legami con l’associazione. Del resto, a fronte di prime dichiarazioni accusatorie collocate negli anni ’90, le fonti di prova risalenti al 2013 attestano, corroborandosi tra loro (così le fonti COGNOME e COGNOME), l’elevato livello raggiunto nel tempo dal COGNOME, promosso a “santista” o a “vangelo” (l’ordinanza riepiloga alle pagine 14-15 la gerarchia mafiosa) e dunque ad un livello di rango primario già, per l’appunto, nel 2013 (data cui risalgono le informazioni riferite dalle due citate fonti).
Pertanto, l’indicazione del tempus commissi delitti indicata nel capo di imputazione, che prende le mosse dalle risultanze investigative più recenti e collegate ai reati-fine che sono stati contestati, non è affatto significativa nell’ordito della motivazione del tribunale del riesame, di un ruolo associativo emerso improvvisamente o non collegato con il passato.
Al contrario, le diverse fonti stratificate nel tempo sono sintomatiche, nella motivazione del tutto logica fornita dal Tribunale, del prestigio criminale e della forza intimidatrice raggiunta dal COGNOME e, contemporaneamente, dell’attualità delle esigenze cautelari. La motivazione su di esse si salda dunque perfettamente con la valorizzazione delle fonti più recenti, e cioè delle persone che hanno riferito del ruolo di COGNOME senza provenire dai ranghi della criminalità organizzata e che hanno chiaramente evidenziato la forza intimidatrice del COGNOME e dei suoi collaboratori («è gente che non perdona, quelli sono della “RAGIONE_SOCIALE quelli ammazzano»: fonte COGNOME, pagg. 71-72 dell’ordinanza impugnata).
Ancora con riferimento alle eccezionali esigenze cautelari, la lettura completa dell’ordinanza evidenzia che il Tribunale non si è limitato ad evidenziare i legami attuali del ricorrente con diverse famiglie di ‘RAGIONE_SOCIALE – dato comunque significativo dell’attualità delle esigenze di massimo grado – ma ha indicato tale ulteriore dato, a pagina 76 dell’ordinanza impugnata, dopo aver riepilogato in modo tutt’altro che illogico il curriculum del COGNOME, la sua lunga militanza, il grado raggiunto, la forza di intimidazione concretamente ancora esercitata.
Sono dunque correttamente motivate le esigenze di eccezionale rilevanza ai sensi dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., ai fini del mantenimento della massima misura custodiale nei confronti di soggetto ultrasettantenne che rivesta un ruolo di rilievo quale quello che è stato ricostruito come conseguito nel tempo
e fino all’attualità dal COGNOME (si veda Sez. 6, n. 19848 del 28/03/2023, Cuttone, Rv. 284737).
1.4. Manifestamente infondato e generico è il secondo motivo, che lamenta la mancata valutazione dell’attendibilità della persona offesa, vittima dell’usura contestata nel capo 2. Il rilievo è generico e, in ogni caso, la gravità indiziaria stata, in modo tutt’altro che illogico, fondata sul risultato chiaro di intercettazio dai quali è stato possibile sia cogliere la chiara manifestazione all’usuraio dello stato di bisogno dell’usurato (come laddove il secondo riferisce al primo di essere stato costretto a mandar via i fornitori, poiché non era in grado di pagare la merce ordinata: pag. 51 dell’ordinanza) sia verificare il quantum delle restituzioni pretese e calcolare il tasso di interesse usurario praticato (cfr. pag. 46 dell’ordinanza).
1.5. Il terzo e il quarto motivo saranno esaminati unitamente ai correlativi motivi del ricorso NOME.
Il quinto motivo è infondato.
Nessun vizio logico è ravvisabile nell’ordinanza impugnata, posto che «il delitto di trasferimento fraudolento di valori può essere commesso anche da chi non sia ancora sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali e ancora prima che il relativo procedimento sia iniziato, occorrendo solo, ai fini della configurabilità de dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, che l’interessato possa fondatamente presumere l’avvio di detto procedimento» (Sez. 5, n. 1886 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282645), sicché non è illogica la motivazione dell’impugnata ordinanza laddove evidenzia, alla luce dei fatti ascritti e del ruolo del COGNOME, come la sua manifestata intenzione di acquisire attività economiche lecite sia connotata dalla piena consapevolezza di rientrare nel novero dei soggetti indiziati dell’appartenenza alle associazioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. (cfr. pag. 75 dell’ordinanza impugnata).
Sono infondati i motivi (il primo del ricorso NOME, il terzo del ricor COGNOME) che si riferiscono alla mancata riqualificazione dei reati di estorsione rispettivamente ascritti in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Naturalmente, nessun rilievo può essere mosso all’ordinanza impugnata, in punto di qualificazione del fatto, per tutti quei reati di estorsione (non ascritti COGNOME) in cui la pretesa dell’agente riguardava anche la corresponsione degli interessi usurari che accedevano ai diversi prestiti. Evidente, infatti, è l’illiceità fine perseguito, che di per sé esclude la configurabilità del delitto di cui all’art. 39 cod. pen.
Il reato di cui al capo 10, ascritto ad entrambi i ricorrenti (oltre che al non ricorrente COGNOME) riguarda invece la restituzione di un prestito non contestato come usurario.
Ebbene, va allora ricordato che se è vero che l’usura e l’estorsione si distinguono non già per l’intensità della violenza quanto piuttosto per l’elemento soggettivo (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027), la stessa sentenza delle Sezioni Unite, nel prendere in esame i termini del contrasto che era chiamata a dirimere, ha affermato che «il denunciato contrasto di orientamenti riguardante la distinzione tra i reati di cui agli artt. 393 e 629 cod. pen. risulta pi apparente che reale» e che «ai fini della distinzione tra i reati di cui agli artt. 39 e 629 cod. pen. assume, pertanto, decisivo rilievo l’esistenza o meno di una pretesa in astratto ragionevolmente suscettibile di essere giudizialmente tutelata».
Dunque, nessuna manifesta illogicità è ravvisabile nella motivazione dell’ordinanza impugnata laddove si è osservato, da un lato, che del prestito non esisteva alcuna prova idonea a fondare ragionevolmente la pretesa di ottenere tutela in giudizio e, dall’altro lato, che la condotta consistita nella decisione d recarsi a Desenzano del Garda per soddisfarsi attraverso il prelievo di alcune automobili, il cui valore non poteva certo essere esattamente corrispondente al credito residuo, è indicativo del perseguimento di un interesse di profitto ulteriore o, quantomeno, della non esatta sovrapponibilità tra pretesa astrattamente tutelabile e modalità di soddisfazione previste.
Sono infondati i motivi di entrambi i ricorsi, attinenti alla ritenuta sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso.
4.1. Non coglie nel segno il motivo articolato dal ricorrente COGNOME, laddove lamenta una sorta di applicazione “automatica” dell’aggravante in ragione della sua qualifica soggettiva. Al contrario, il Tribunale del riesame ha motivato in modo tutt’altro che manifestamente illogico attraverso il riferimento concreto alla forza di intimidazione che la persona del COGNOME era in grado di esercitare, laddove commetteva i reati-fine contestati, in forza della sua notoria appartenenza alla RAGIONE_SOCIALE con un ruolo rilevante. Emblematiche, sul punto, sono le ricordate intercettazioni della COGNOME che, ignara di essere ascoltata mentre parlava con la figlia, esprime tutto il suo terrore per la capacità di “ammazzare” che COGNOME e i suoi collaboratori avevano; salvo, a dimostrazione ulteriore di tale timore, cercare di negare l’evidenza dinanzi agli inquirenti (pag. 38 dell’ordinanza impugnata).
3. 2. Con riferimento al reato che vede il concorso di COGNOME, fermo quanto già osservato in generale con riguardo a COGNOME, nondimeno l’aggravante sussiste anche con riferimento al COGNOME e l’ordinanza impugnata non si presta a critiche.
Basti ricordare la descrizione di quanto accaduto nel corso dell’incontro a Desenzano, al quale il debitore, impossibilitato ormai a negarsi dopo una serie di rinvii, inviò altra persona (cfr. pagg. 63-65 per la descrizione, dalle parole stesse di uno dei protagonisti intercettati): lo scontro fisico, con la collaborazione attiva del COGNOME che ha fornito la mazza da baseball usata per colpire il debitore (rectius, il delegato del debitore), è stato accompagnato da manifestazioni tipiche della forza di intimidazione del gruppo criminale, attraverso riferimenti alla necessità di avere “educazione” nei confronti del “prepotente” («quando un calabrese fa così, perché non è nessuno… vuoi scommettere che ti vengo a trovare in Calabria…?»). E l’effetto di maggior intimidazione è stato raggiunto, come ha osservato il Tribunale evidenziando che immediatamente dopo l’aggressione descritta, il debitore ha versato un ingente importo.
Dunque, l’estorsione è stata consumata con modalità evocative della forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso (cfr. Sez. 1, n. 38770 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283637 e Sez. 5, n. 22554 del 09/03/2018, COGNOME, Rv. 273190) in un territorio nel quale la ‘RAGIONE_SOCIALE era ormai radicata (sicché è sufficiente che il soggetto agente si riferisca implicitamente al potere criminale della consorteria, in quanto tale potere è di per sé noto: cfr. Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, COGNOME, Rv. 284950); la violenza e la minaccia hanno assunto la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti (Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023, Bisogni, Rv. 285018).
Il Tribunale del riesame ha fatto buon governo dei principi consolidati ed ha reso sul punto una motivazione sufficiente e non manifestamente illogica.
Infondato è l’ultimo motivo del ricorso NOME.
La doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, prevista per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 2, n. 23935 del 04/05/2022, Alcamo, Rv. 283176), non è stata vinta.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale del riesame abbia attribuito eccessivo peso alla circostanza, a suo giudizio neutra, della comunicazione da parte del COGNOME al COGNOME del decesso di un esponente di una famiglia mafiosa.
In realtà, il Tribunale del riesame si è limitato, correttamente (pag. 76 dell’ordinanza impugnata), ad evidenziare che il dato è semplicemente
significativo del contatto tra COGNOME, la famiglia COGNOME e lo stesso COGNOME: contatto che semplicemente denota, unitamente agli altri elementi che il Tribunale ha valorizzato e, in particolare, la capacità criminale non comune e la gravità dell’azione violenta posta in essere, la persistente attualità delle esigenze cautelari di massimo grado anche al di là della citata presunzione.
4 I ricorsi vanno dunque rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
(‘ Devono essere disposti gli adempimenti di cancelleria di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 30/01/2024