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Metodo mafioso: Cassazione conferma la custodia cautelare

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7481 del 2024, ha rigettato i ricorsi contro un’ordinanza di custodia cautelare per reati di associazione mafiosa, estorsione e usura. La Corte ha confermato la sussistenza della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, soffermandosi sulla corretta applicazione dell’aggravante del metodo mafioso e sulla distinzione tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Metodo Mafioso: la Cassazione sui Confini tra Estorsione e Ragion Fattasi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7481 del 30 gennaio 2024, è tornata a pronunciarsi su temi cruciali del diritto penale, offrendo chiarimenti fondamentali sull’applicazione dell’aggravante del metodo mafioso e sulla linea di demarcazione tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La decisione conferma la validità di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di due soggetti, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, usura e trasferimento fraudolento di valori, ribadendo la solidità del quadro indiziario e la sussistenza delle esigenze cautelari.

I Fatti del Caso: Dalle Accuse alla Decisione del Riesame

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Torino che disponeva la custodia in carcere per diverse persone coinvolte in reati aggravati dal cosiddetto metodo mafioso. Due degli indagati proponevano ricorso in Cassazione. Al primo, soggetto con un curriculum criminale di lunga data, veniva contestata la partecipazione all’associazione di stampo ‘ndranghetista, oltre a vari episodi di usura, estorsione e intestazione fittizia di beni. Al secondo, invece, veniva addebitato il concorso in un singolo episodio di estorsione, commesso insieme al primo, ai danni di un commerciante di auto.

Il Tribunale del Riesame aveva confermato l’impianto accusatorio, rigettando le istanze di annullamento della misura. Secondo i giudici, gli elementi raccolti erano sufficienti a configurare una grave quadro indiziario sia per la partecipazione all’associazione criminale sia per i reati-fine.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Le difese degli indagati hanno articolato diversi motivi di ricorso. Per il primo indagato, si contestava la sussistenza della gravità indiziaria per l’associazione mafiosa, sostenendo che le prove (dichiarazioni di collaboratori di giustizia e intercettazioni) fossero datate e non dimostrative di un’appartenenza attuale. Inoltre, si chiedeva la riqualificazione dei reati di estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sostenendo che l’azione violenta fosse finalizzata unicamente al recupero di un credito legittimo e non all’ottenimento di un profitto ingiusto.

Anche la difesa del secondo indagato insisteva sulla riqualificazione del reato di estorsione, evidenziando che il suo ruolo si era limitato a una collaborazione nel tentativo, seppur violento, di recuperare un credito vantato dal co-indagato. Entrambi i ricorsi, infine, contestavano la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso e la necessità della massima misura cautelare.

Il Metodo Mafioso e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, ritenendoli infondati. Uno dei punti centrali della pronuncia riguarda proprio l’applicazione dell’aggravante del metodo mafioso. I giudici hanno chiarito che tale aggravante non deriva automaticamente dalla ‘qualifica’ soggettiva dell’agente, ovvero dalla sua appartenenza a un clan. Al contrario, è necessario un riscontro concreto nella condotta.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse correttamente motivato, basandosi sulla forza di intimidazione che la nota appartenenza dell’indagato principale alla ‘ndrangheta era in grado di esercitare. Le intercettazioni di una delle vittime, che esprimeva terrore per la capacità degli indagati di ‘ammazzare’, sono state considerate emblematiche. L’aggressione fisica ai danni del delegato di un debitore, accompagnata da minacce che evocavano la provenienza geografica e criminale (‘quando un calabrese fa così…’), è stata ritenuta una manifestazione tipica della forza intimidatrice del gruppo criminale, idonea a piegare la volontà della vittima.

La Distinzione tra Estorsione ed Esercizio Arbitrario

Un altro snodo cruciale della sentenza è la distinzione tra il delitto di estorsione (art. 629 c.p.) e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.). La Corte ha richiamato il principio consolidato delle Sezioni Unite, secondo cui il criterio distintivo risiede nell’elemento soggettivo e, in particolare, nella natura della pretesa dell’agente.

Si configura l’esercizio arbitrario quando la pretesa, pur fatta valere con violenza, è ‘in astratto ragionevolmente suscettibile di essere giudizialmente tutelata’. Si ha, invece, estorsione quando l’agente persegue un profitto ‘ingiusto’, ovvero una pretesa non tutelabile davanti a un giudice.

Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione come estorsione. La condotta degli indagati, consistente nel recarsi presso la sede del debitore per prelevare automobili di valore incerto, non era meramente finalizzata al recupero del credito residuo. Tale modalità, infatti, indicava la volontà di perseguire un interesse ulteriore e un profitto non esattamente corrispondente al credito, rendendo la pretesa ‘ingiusta’ e quindi estranea alla fattispecie meno grave dell’esercizio arbitrario.

Le motivazioni

La Cassazione ha ritenuto le motivazioni del Tribunale del Riesame logiche e coerenti. Sull’associazione mafiosa, ha sottolineato come la combinazione di prove risalenti nel tempo con elementi più recenti dimostrasse non un ruolo emerso improvvisamente, ma una continuità nel legame con il sodalizio criminale. La stratificazione delle fonti, dalle dichiarazioni degli anni ’90 alle intercettazioni del 2013 fino ai fatti recenti, disegnava un quadro di persistente e attuale pericolosità, giustificando pienamente le esigenze cautelari massime, anche per un soggetto ultrasettantenne.

Per quanto riguarda l’aggravante del metodo mafioso, la Corte ha ribadito che la sua sussistenza è legata all’evocazione, anche implicita, del potere criminale della consorteria in un territorio dove questa è notoriamente radicata. La violenza e la minaccia assumono così una veste ‘mafiosa’, ovvero più penetrante ed efficace, derivante dalla prospettazione della provenienza da un sodalizio dedito a delitti efferati. La doppia presunzione di pericolosità prevista dalla legge per tali reati non è stata superata dagli elementi forniti dalla difesa.

Le conclusioni

La sentenza in commento si inserisce nel solco della giurisprudenza consolidata, ma offre spunti di riflessione pratici di grande rilevanza. Ribadisce che la valutazione della partecipazione a un’associazione mafiosa deve essere complessiva e storica, valorizzando la continuità dei legami. Soprattutto, fornisce criteri chiari per distinguere l’estorsione aggravata dal metodo mafioso da altre forme di violenza privata. La Corte insegna che non è sufficiente vantare un credito per sfuggire all’accusa di estorsione: se le modalità di recupero travalicano la mera soddisfazione del diritto e mirano a un profitto ulteriore, e se la violenza è amplificata dalla fama criminale dell’agente, si rientra a pieno titolo nella più grave fattispecie delittuosa.

Quando si applica l’aggravante del metodo mafioso?
L’aggravante si applica quando la condotta criminale sfrutta concretamente la forza di intimidazione che deriva dall’appartenenza, anche solo nota, a un’associazione mafiosa. Non è sufficiente la mera qualifica soggettiva dell’agente, ma è necessario che la sua azione evochi, anche implicitamente, il potere criminale del gruppo, generando nella vittima uno stato di assoggettamento e omertà.

Qual è la differenza tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni?
La differenza fondamentale risiede nella natura della pretesa. Si ha esercizio arbitrario quando la pretesa, sebbene fatta valere con violenza, potrebbe essere tutelata in sede giudiziaria. Si configura, invece, l’estorsione quando l’agente mira a un ‘profitto ingiusto’, ovvero a ottenere qualcosa che non gli spetta o che va oltre il suo diritto, oppure quando la sua pretesa non ha alcuna tutela legale.

Le prove di reati molto datati possono giustificare una misura cautelare attuale per associazione mafiosa?
Sì, secondo la Corte, le prove risalenti nel tempo possono essere collegate a elementi più recenti per dimostrare la continuità e la persistenza del legame con l’associazione criminale. La stratificazione delle fonti nel tempo può essere sintomatica del prestigio criminale acquisito e mantenuto, e quindi dell’attualità delle esigenze cautelari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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