Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19878 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
SECONDA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19878 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/05/2025
– Presidente –
NOME
CC – 22/05/2025
R.G.N. 12257/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Napoli il giorno 1/1/1967 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso l’ordinanza in data 13/2/2025 del Tribunale di Napoli in funzione di giudice del riesame, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non Ł stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 13 febbraio 2025, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di Napoli ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città in data 28 gennaio 2025 con la quale era stata applicata nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare personale della custodia in carcere in relazione al reato di estorsione continuata (artt. 81 cpv. e 629 cod. pen.), aggravata ai sensi dell’art. 416bis .1 cod. pen., commessa ai danni di NOME COGNOME, titolare del garage ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e dei dipendenti dello stesso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’indagato, chiedendo, con motivo unico, l’annullamento della stessa per carenza di motivazione in ordine alla circostanza aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. nonchØ in relazione alle esigenze cautelari.
Deduce, al riguardo, la difesa del ricorrente che non vi Ł prova che possa portare a ritenere l’indagato legato ad una organizzazione di tipo mafioso e, di conseguenza, che il reato sia stato commesso al fine specifico di fornire un ausilio all’organizzazione stessa.
Aggiunge, altresì, la difesa del ricorrente che la condotta addebitata al COGNOME non consentirebbe neppure di ritenere integrato il ‘metodo mafioso’ non detta condotta idonea ad evocare la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso.
Inoltre, le plurime conversazioni riportate nell’ordinanza non sarebbero idonee nØ ad attestare la credibilità del denunciante, nØ tali da ritenere sussistente la circostanza aggravante de qua .
L’esclusione di detta circostanza aggravante avrebbe, infine, incidenza sulle esigenze cautelari non potendo trovare applicazione la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł manifestamente infondato.
Occorre, innanzitutto, evidenziare che il ricorso in esame non verte in modo specifico sulla gravità indiziaria con riguardo alla consumazione da parte dell’indagato dell’azione estorsiva ma solo sulla circostanza aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. con conseguente possibile incidenza sul trattamento cautelare.
Rileva l’odierno Collegio che il Tribunale del riesame ha indicato alle pagg. da 2 a 4 dell’ordinanza impugnata una serie di elementi che portano a ritenere certamente configurabile la menzionata circostanza aggravante legati non solo all’agire dell’indagato sfociato anche in aggressioni fisiche ai danni dell’COGNOME e di un suo dipendente, ma anche alle espressioni utilizzate al fine di far desistere l’COGNOME dal continuare nella propria attività di garagista in tal modo garantendo un incremento degli affari alla parallela vicina attività gestita dal COGNOME.
Elementi emblematici del fatto che ci si trova in presenza di un grave contesto minaccioso sono i richiami fatti dal minacciante all’appartenenza al clan COGNOME ai quali si si sono aggiunte minacce di morte o comunque di gravi conseguenze ai danni della persona offesa e della figlia.
Il Tribunale ha, poi, anche sottolineato non solo la piena attendibilità della persona offesa ma anche i riscontri alle dichiarazioni della stessa derivanti dal contenuto delle conversazioni intercettate.
Alla luce dei predetti elementi, il Tribunale, con motivazione congrua, logica e rispondente ai principi di diritto che regolano la materia ha, pertanto, ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. richiamando, con riguardo all’agire dell’odierno ricorrente, le modalità assolutamente prevaricatorie proprie dei clan camorristici che rivendicano un diritto sul territorio («tu non sei di Forcella, qui comandiamo noi») ai quali si sono aggiunti – come detto – il costante riferimento al clan COGNOME concretamente avvalorato dal fatto che la figlia del COGNOME Ł la convivente di NOME COGNOME (‘COGNOME‘), personaggio di spicco del predetto clan, elementi tutti ritenuti idonei ad attribuire maggiore capacità intimidatoria alla condotta posta in essere.
Quanto descritto dal Tribunale ben si attaglia al principio enunciato da questa Corte di legittimità in materia di configurabilità della circostanza aggravante del ‘metodo mafioso’ secondo il quale «Ricorre la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416bis . 1 cod. pen., quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune» (così, Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281027 – 01; negli stessi termini, Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, COGNOME, Rv. 277222 – 01).
La corretta configurabilità della circostanza aggravante de qua incide poi sulla presunzione
relativa di esistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. peraltro, a loro volta, adeguatamente evidenziate nell’ordinanza impugnata anche attraverso i richiami ai gravi precedenti penali e giudiziari dell’odierno ricorrente, alla tracotanza dimostrata ed all’inserimento dello stesso in un contesto criminale radicato nel territorio di appartenenza.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
PoichØ dalla presente decisione non consegue la rimessione in liberta del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1ter , delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchØ provveda a quanto stabilito dal comma 1bis del citato articolo 94.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 22/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME