Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35127 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35127 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a AVERSA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/11/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in esito a giudizio abbrevi ha confermato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli emessa il 13 febbraio 2020, che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia i ordine ai reati di estorsione aggravata, anche dall’uso del metodo mafioso, di cui ai capi B e D della imputazione.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, deducendo:
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità.
La Corte avrebbe fondato il proprio convincimento soltanto sulla base delle dichiarazioni delle persone offese e delle altre risultanze costituite dalle dichiarazioni dei collaborat giustizia e dalle intercettazioni, senza tenere conto che l’imputato si sarebbe limitato accompagnare COGNOME NOME senza commettere alcuna condotta concorsuale ed essendo inconsapevole dell’attività estorsiva che è stata ipotizzata.
A proposito della estorsione di cui al capo A), ai danni di COGNOME NOME, si sostiene le conversazioni intercettate, intervenute 1’8 giugno 2012 (alle ore 16.14 e alle ore 22.04 dimostrerebbero come COGNOME aveva chiesto un prestito alla persona offesa e che quest’ultima aveva negato di aver ricevuto richieste illecite dal NOME e dallo COGNOME.
Nessun collaboratore di giustizia aveva parlato di tale vicenda estorsiva.
Mancherebbe, in ogni caso, il riferimento a clan criminali.
Anche per ciò che concerne il reato di estorsione di cui al capo D, ai danni di COGNOME NOME, si sarebbe trattato di un prestito senza alcun riscontro proveniente dalla vittim ed inerente alla perpetrazione di un reato.
Ed anche in relazione alla estorsione di cui al capo B, ai danni di COGNOME NOME, la prov sarebbe stata travisata e si sarebbe trattato di un prestito;
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussisten dell’aggravante dell’uso del metodo mafioso.
Non vi sarebbe prova che l’imputato, estraneo a sodalizi mafiosi, si sia avvalso della for intimidatrice di tal genere di consessi.
Inoltre, l’aggravante sarebbe stata indebitamente estesa al ricorrente;
violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuant generiche, rispetto alla cui richiesta la Corte non si sarebbe pronunciata;
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussisten dell’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3 cod. pen., applicata al ricorrente se prova della sua appartenenza ad un clan mafioso.
Inoltre, la Corte avrebbe dovuto riconoscere l’attenuante del risarcimento del danno, i considerazione del comportamento dell’imputato che aveva offerto delle somme di danaro alle vittime;
violazione di legge e vizio della motivazione per avere la Corte negato l’esistenza de vincolo della continuazione tra gli odierni fatti e quelli precedentemente giudicati con u sentenza di secondo grado prodotta agli atti e che avrebbe posto la Corte in condizioni di decidere anche facendo a meno della sentenza di primo grado, non allegata solo per errore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi generici e, comunque, manifestamente infondati.
1.In ordine al primo motivo, che inerisce al giudizio di responsabilità, deve rilevarsi ricorrente è stato condannato in entrambi i gradi di merito con conforme decisione.
La pacifica giurisprudenza di legittimità, ritiene che, in tal caso, le motivazioni sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda, confluendo in u risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudic della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello, come nel caso esame, abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logic giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di mer costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. 2^, n. 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, COGNOME ed NOME, rv. 197250; sez. 3^, n. 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, NOME, rv. 252615).
Si osserva, ancora, che la doppia conformità della decisione di condanna dell’imputato, ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità in cassazione del vi travisamento della prova lamentato dal ricorrente.
E’ pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio può essere d con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, sia nell’ipotesi cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di grav abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (cosa non verificatas nella specie), sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesim travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/20 COGNOME; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013, COGNOME).
1.1. Fatte queste premesse di ordine giuridico, nel caso in esame il ricorrente denuncia vizio di travisamento della prova in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, sen confrontarsi né con la motivazione della sentenza impugnata e neanche con quella, ben più articolata, del giudice di primo grado.
In entrambe le pronunce, è stato messo in rilievo, anche attraverso il richiamo a specifich risultanze processuali (come le moltissime conversazioni intercettate e riportate nel sentenza di primo grado richiamata da quella di appello e le dichiarazioni dei collaborato di giustizia COGNOME NOME e COGNOME NOME), che nelle tre vicende descritte ai capi di imputazione in relazione alle quali è intervenuta condanna, il ricorrente si era attivame manifestato come braccio destro del coimputato separatamente giudicato COGNOME NOME. Entrambi i correi erano stati indicati dai due collaboratori di giustizia citat appartenenti ad un clan di tipo mafioso (COGNOME NOME è fratello del più noto esponente
del RAGIONE_SOCIALE) ed erano dediti ad attività estorsive territorio casertano.
Le intercettazioni indicate dal Giudice dell’udienza preliminare ai fgg. 23 e segg. de sentenza di primo grado, richiamate in più occasioni e per sintesi da quella impugnata, avevano dato riscontro a tale assunto accusatorio, individuando i due imputati come soggetti che chiedevano denaro alle vittime senza una causale riconducibile ad NOME rapporti di tipo lecito, ovvero intromettendosi, anche per interesse proprio, in rapport credito/debito che le persone offese intrattenevano con NOME soggetti, lucran personalmente su quanto percepito (si vedano, in particolare, fgg. 40, 64,65, 79, 162 e 165 e segg. della sentenza di primo grado richiamata da quella impugnata).
In tutte e tre le vicende, il ricorrente, contrariamente a quanto si sostiene genericamen in ricorso, aveva adottato un contegno attivo, chiedendo personalmente denaro alle vittime per conto dello COGNOME, intascando in alcuni casi somme da parte delle persone offese, assumendo toni intimidatori che si avvalevano della circostanza che le vittime conoscevano COGNOME e la sua caratura criminale mafiosa, sicché la minaccia era in ogni caso insita nel richiesta di danaro senza causa e nelle pressioni intese ad ottenerlo.
Ne consegue che i giudici di merito, con conforme giudizio, hanno reso una motivazione aderente alle regole giurisprudenziali, secondo le quali la minaccia estorsiva può essere anche implicita o addirittura “silente” ed è permeata da metodo mafioso quando il tenore della minaccia, calata in un determinato contesto ambientale, faccia implicitamente evocare che essa non sia frutto di una azione isolata del singolo artefice, ma si inserisca alluda ad un contesto criminale di tipo organizzato.
In questo senso, è la pacifica giurisprudenza di legittimità che la Corte ed il primo giu hanno bene interpretato nel caso concreto (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 17081 del 26/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263701; Sez. 1, n. 17532 del 02/04/2012, COGNOME, Rv. 252649; Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 276115; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, COGNOME, Rv. 272884; Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277182).
Di tanto, nel ricorso non si dà contezza, essendosi limitato il ricorrente, peraltro del genericamente e senza confrontarsi con l’insieme delle risultanze processuali, a sostenere che egli non avrebbe preso parte attiva alle vicende descritte nelle imputazioni e no avrebbe avuto consapevolezza dell’attività estorsiva sottostante alle richieste di denaro da riferire al solo COGNOME NOME.
Il secondo motivo, inerente alla sussistenza dell’aggravante dell’uso del metodo mafioso, è manifestamente infondato.
Il ricorrente – che tende a confondere tra loro le due diverse direttrici dell’aggrav quella dell’uso del metodo mafioso e quella della finalità di agevolazione di un clan di que
tipologia – si duole del mancato accertamento della sua appartenenza ad una consorteria mafiosa.
Tuttavia, tale circostanza non ha alcun rilievo rispetto alla sussistenza dell’aggravante so il profilo che qui interessa dell’aver fatto uso del metodo mafioso, il quale può ess adottato da chiunque, indipendentemente dalla provata appartenenza dell’agente ad un clan di quella natura (sul punto, tra le tante, Sez. 2, n. 36431 del 02/07/2019, Bruzzes Rv. 277033; Sez. 5, n. 21530 del 08/02/2018, COGNOME, Rv. 273025).
L’ulteriore assunto che il ricorrente non si sia avvalso di alcuna metodologia mafiosa, scollato dai dati processuali, in ragione di quanto è stato sottolineato con riguardo al pr motivo di ricorso, a proposito della conoscenza diretta che le persone offese possedevano della personalità criminale e camorristica di COGNOME NOME e del suo emissario e braccio destro odierno imputato, il quale veicolava le richieste estorsive del primo in pi o. consapevolezza, circostanza idoneavlegittimare l’applicazione dell’aggravante anche al ricorrente, dovendosi, peraltro, sottolineare che la circostanza ha natura oggettiva e trasmette ai concorrenti nel reato secondo le regole di cui all’art. 59, secondo comma, cod. pen. (in questo senso, Sez. 6, n. 29816 del 29/03/2017, Gioffrè, Rv. 270602), non potendosi rilevare, nel caso in esame ed in ragione di quanto detto, alcuna ignoranza scusabile in capo all’imputato.
3. Il terzo motivo è aspecifico in quanto il ricorrente omette di tenere conto de motivazione offerta dalla Corte territoriale con riguardo al mancato riconoscimento dell circostanze attenuanti generiche, laddove è stato fatto esplicito riferimento oltre all’assenza di elementi favorevoli all’imputato, anche alla sua personalità allarmante trasgressiva, in virtù sia della presenza di precedenti penali che della rilevata gravità fatti sottolineata dal primo giudice.
Sono stato richiamati, quindi, alcuni parametri di cui all’art. 133 cod. pen., dovend rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli eleme indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficien per negare o concedere le attenuanti medesime (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768).
Il quarto motivo è generico e, comunque, manifestamente infondato.
Ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. non è necessario che l’appartenenza dell’agente a un’associazione di tipo mafioso sia accertata con sentenza definitiva, ma è sufficiente che l’accertamento sia avvenuto nel contesto del provvedimento di merito in cui si applica la citata aggravante (Sez. 2, n. 4844 del 31/10/2023, Genovese, Rv. 285587-01).
Nel caso in esame, l’appartenenza del ricorrente al RAGIONE_SOCIALE mafioso del quale faceva parte il coimputato COGNOME NOME, si trae dalle dichiarazioni dei due collaboratori di giust COGNOME NOME NOME NOMENOME prima indicati, le cui dichiarazioni sono state riportate dall sentenza di primo grado alla quale quella impugnata fa rinvio.
Non è in alcun modo documentata, inoltre, con specifico riferimento ad un qualche atto processuale, la evidenza in fatto che avrebbe dovuto giustificare la concessione dell’attenuante del risarcimento del danno, solo genericamente invocata tanto nell’atto d appello che nel ricorso all’interno di un motivo inerente ad altra censura.
5. Il quinto motivo è manifestamente infondato in quanto la Corte di appello ha precisato di non avere elementi per poter valutare la sussistenza del vincolo della continuazione tr gli odierni fatti ed NOME precedentemente giudicati in altra sede e per effettuare il adeguato della sanzione, dal momento che il ricorrente non aveva allegato la sentenza di primo grado del procedimento nel quale era stato condannato per il diverso reato che egli assumeva essere stato commesso in esecuzione del medesimo disegno criminoso che avrebbe coinvolto anche gli odierni addebiti.
Trattasi di valutazione di merito non criticata dal ricorso ed inerente ad un difet sufficienza della richiesta e che è stata rigettata facendo salva ogni ulteriore valutazion sede esecutiva, come la Corte di appello ha tenuto a precisare e come si ribadisce in questa sede.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente a pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende. Così deciso, il 24/09/2025.