Metodo Mafioso: Quando la Minaccia Diventa Aggravata?
La recente sentenza della Corte di Cassazione offre un’importante chiarificazione sull’applicazione dell’aggravante del metodo mafioso. Spesso si tende a credere che tale circostanza possa essere contestata solo a membri effettivi di un’organizzazione criminale. La Suprema Corte, invece, ribadisce un principio consolidato: ciò che conta non è l’appartenenza formale, ma la capacità della condotta di evocare quella particolare forza intimidatrice che è tipica dei clan, generando nella vittima uno stato di assoggettamento e omertà. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne i dettagli e le implicazioni pratiche.
I Fatti di Causa e il Ricorso in Cassazione
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di minaccia aggravata ai danni di un’altra persona. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano confermato la responsabilità penale dell’imputato, riconoscendo la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso.
La difesa ha proposto ricorso per cassazione, basando le proprie argomentazioni su alcuni punti specifici. In primo luogo, si sosteneva che le parole pronunciate dall’imputato, pur avendo un carattere intimidatorio, non fossero oggettivamente idonee a esercitare una coartazione con le caratteristiche proprie di un’organizzazione mafiosa. Inoltre, la difesa contestava il riferimento, contenuto nella sentenza d’appello, a una presunta condanna per estorsione subita dal figlio del ricorrente, affermando che tale condanna non fosse mai avvenuta. Infine, si riteneva inconferente il richiamo al luogo di commissione del reato, poiché non ogni crimine commesso in un’area ad alta densità criminale può essere automaticamente qualificato come aggravato dal metodo mafioso.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione dei giudici di merito. Il fulcro della motivazione risiede nella corretta interpretazione dei presupposti per l’applicazione dell’aggravante.
Il Principio di Diritto sul Metodo Mafioso
I giudici di legittimità hanno ribadito un principio chiave: per la configurabilità dell’aggravante del metodo mafioso, non è necessario che sia dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere a cui l’agente appartiene. Ciò che è essenziale è che la violenza o la minaccia assuma la “veste” tipica della violenza mafiosa. Si tratta di una forma di intimidazione ben più penetrante ed efficace, che trae la sua forza dalla percezione, da parte della vittima, che essa provenga da un sodalizio criminoso dedito a delitti efferati.
L’Analisi del Caso Concreto
La Corte d’Appello, secondo la Cassazione, ha applicato correttamente questo principio. La sua valutazione non è stata atomistica, ma ha tenuto conto di una pluralità di elementi interconnessi:
1. Il Contenuto delle Minacce: Le frasi pronunciate dall’imputato sono state ritenute allusive a una sua “appartenenza” a un contesto criminale.
2. Il Contesto Ambientale e Familiare: I giudici hanno dato rilievo a due fattori contestuali. Il primo è il contesto generale, ovvero un territorio storicamente caratterizzato da un’elevata incidenza della criminalità organizzata. Il secondo, e più specifico, è il contesto familiare del ricorrente, caratterizzato dalla circostanza che due suoi figli erano intranei a un clan camorristico.
Questi elementi, letti congiuntamente, hanno portato i giudici a concludere che la minaccia non fosse un’intimidazione generica, ma una specifica manifestazione di potere che evocava la forza di un’organizzazione criminale, integrando così gli estremi dell’aggravante contestata.
Le Conclusioni: l’Importanza del Contesto
La sentenza in esame ci insegna che la valutazione sull’esistenza del metodo mafioso non può limitarsi a un’analisi letterale delle parole utilizzate. È un’analisi complessa che deve necessariamente includere il contesto in cui la condotta si inserisce. L’ambiente territoriale, la storia criminale della zona e, soprattutto, i legami, anche solo familiari, dell’autore del reato con noti ambienti della criminalità organizzata diventano indicatori fondamentali. Questi fattori possono trasformare una semplice minaccia in un atto di intimidazione qualificata, capace di generare nella vittima quella particolare condizione di assoggettamento che la legge intende punire più severamente.
Per configurare l’aggravante del metodo mafioso è necessario provare che chi minaccia appartenga a un clan?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che non è necessario dimostrare o contestare l’esistenza di un’associazione per delinquere. È sufficiente che la violenza o la minaccia assuma le caratteristiche tipiche dell’intimidazione mafiosa, ossia che derivi la sua forza dalla prospettazione della sua provenienza da un sodalizio criminoso.
Quali elementi sono decisivi per riconoscere il metodo mafioso in una minaccia?
Secondo la sentenza, sono decisivi due elementi analizzati congiuntamente: il contenuto linguistico delle frasi minacciose (che devono essere allusive a un'”appartenenza” criminale) e il contesto nel quale i fatti si svolgono. Quest’ultimo include sia l’ambiente territoriale (se caratterizzato da alta incidenza di criminalità organizzata) sia il contesto familiare specifico del responsabile.
Una minaccia può essere aggravata dal metodo mafioso solo perché avviene in un luogo con presenza di criminalità organizzata?
No, il solo luogo non è di per sé sufficiente. La Corte ha ritenuto rilevante il contesto territoriale generale unitamente al contesto familiare specifico del ricorrente (caratterizzato dal fatto che due figli erano membri di un clan camorristico) e al tenore delle minacce pronunciate. È l’insieme di questi elementi che ha permesso di qualificare la condotta come espressione del metodo mafioso.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11578 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11578 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il 06/10/1975
avverso la sentenza del 12/04/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Uditi il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME che, richiamandosi alla memoria depositata, ha concluso per il rigetto del ricorso e, per il ricorrente, l’Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza deliberata il 12/04/2024, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del 21/03/2023 con la quale il Tribunale di Napoli aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato di minaccia aggravata dal metodo mafioso ai danni di NOME COGNOME e lo aveva condannato alla pena di giustizia.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME attraverso il difensore Avv. NOME COGNOME denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – vizi di motivazione in ordine all’applicazione della circostanza del metodo mafioso. La sentenza impugnata fa riferimento alla condanna per estorsione aggravate riportata dal figlio del ricorrente, che, tuttavia, non ha mai subito alcuna condanna, mentre del tutto inconferente è il riferimento al /ocus, ossia a Qualiano, non potendosi certo ritenere che ogni reato ivi commesso sia aggravato dal metodo mafioso. Nonostante il carattere intimidatorio, le parole dell’imputato non possono dirsi oggettivamente idonee ad esercitare una coartazione con i caratteri propri di un’organizzazione mafiosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
Come questa Corte ha avuto modo di puntualizzare, ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso non occorre che sia dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo necessario solo che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti (Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023, COGNOME, Rv. 285018 – 02; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 21530 del 08/02/2018, COGNOME, Rv. 273025 – 01). La Corte distrettuale ha fatto buon governo del principio di diritto richiamato, in quanto, da un lato ha fatto riferimento allo stesso contenuto linguistico delle frasi minacciose pronunciate dall’imputato, allusive di un'”appartenenza” criminosa, mentre, dall’altro, ha richiamato il contesto nel quale i fatti si svolsero: il contesto generale, quello di un territorio storicamente caratterizzato da un’elevata incidenza della criminalità organizzata, e il contesto familiare del ricorrente, caratterizzato dal fatto che due figli sono intranei a un clan camorristico.
Il ricorso opera una lettura atomistica dei vari elementi e ne offre una lettura che ne svilisce la valenza ricostruita dai giudici di merito in linea con i dati probatori richiamati e in termini immuni da vizi logici.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/02/2025.