Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14021 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14021 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a BARI il 11/11/1983
NOMECOGNOMENOME COGNOME nato a BARI il 25/12/1981
avverso la sentenza del 25/01/2023 della CORTE di APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME che ha concluso chiedendo emettersi declaratoria di inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 25 gennaio 2023 la Corte d’Appello di Bari, per quel che qui interessa, in parziale riforma della sentenza emessa il 27 aprile 2021 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, che, tra l’altro, aveva dichiarato COGNOME NOME colpevole del reato di estorsione pluriaggravata di cui al capo 6) dell’imputazione e COGNOME colpevole dei reati di illecita concorrenza con minaccia o violenza, riciclaggio, usura e ricettazione di cui ai capi 1), 10), 11), 13), 15) e 36), e ancora del reato di cui agli artt. 56, 629 e 416-bis.1 cod. pen., così riqualificat l’imputazione di cui al capo 12), rideterminava la pena nei confronti del
COGNOME, previo riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen., ritenuta prevalente sulla residua aggravante di cui all’art. 629, comma 2, cod. pen. in relazione all’art. 628, comma 3, cod. pen., e assolveva il COGNOME dal reato di riciclaggio di cui al capo 10), con conseguente rideterminazione della pena.
Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione, con distinti atti, entrambi gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, chiedendon l’annullamento.
La difesa di COGNOME NOME articolava tre motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. ed erronea applicazione della detta disposizione, precisando che l’aggravante era stata contestata nella declinazione del cosiddetto “metodo mafioso” ed evidenziando che il giudice di primo grado aveva escluso la natura “mafiosa” del gruppo familiare dei Capodiferro, e che, per altro verso, non era emersa nel processo l’appartenenza a un sodalizio mafioso del ricorrente, il quale nell’occorso aveva agito dal solo.
Con il secondo motivo deduceva vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante dell’avere agito in più persone riunite ed erronea applicazione della relativa disposizione (l’art. 629, comma 2, cod. pen. in relazione all’art. 628, comma 3, n. 1) cod. pen.), assumendo che la Corte territoriale aveva reso una motivazione contraddittoria facendo riferimento a una conversazione intercettata nel corso della quale la vittima aveva riferito al COGNOME della presenza, insieme al COGNOME e in occasione della minaccia, di “altri tre o quattro”, e sminuendo in modo irragionevole il fatto che la stessa vittima, sentita due volte dalla polizi giudiziaria quale persona informata sui fatti, aveva del tutto omesso tale circostanza; osservava anche che il tenore della conversazione intercettata non forniva certezze in ordine all’ipotetico ruolo avuto dagli “altri tre o quattro” nell perpetrata estorsione.
Con il terzo motivo deduceva violazione degli artt. 133, 62, n. 6), e 62bis cod. pen., nonché vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche nonostante l’imputato avesse reso piena confessione e avesse provveduto a risarcire il danno alla parte offesa; riteneva, inoltre, illogica la motivazione della sentenza in relazione alla riduzione della pena operata, non nella massima estensione, in
ragione dell’applicazione della circostanza attenuante dell’avere risarcito interamente il danno, motivazione che aveva fatto riferimento al rilevante arco di tempo intercorso tra la commissione del reato e il risarcimento.
La difesa di COGNOMENOME COGNOME articolava un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva violazione degli artt. 81, 132 e 133 cod. pen. nonché vizio di motivazione.
Assumeva, in particolare, che la Corte territoriale, nonostante l’assenza di un gravame del Pubblico Ministero, aveva riformato in peius la sentenza di primo grado, avendo applicato per il reato di cui al capo 12) una pena base (pari ad anni cinque e mesi tre di reclusione) più grave di quella (pari ad anni cinque di reclusione) applicata dal giudice di primo grado in relazione al reato di cui al capo 10), ritenuto dallo stesso giudice il più grave fra quelli contestati e in relazione al quale la Corte d’Appello aveva emesso statuizione assolutoria.
Deduceva, per altro verso, una disarmonia fra la statuizione con la quale era stata applicata la riduzione di pena nella massima estensione in relazione alle concesse, con giudizio di prevalenza, circostanze attenuanti generiche e la statuizione con la quale era stata applicata solo nel minimo la riduzione di pena prevista per il delitto tentato di cui al capo 12), statuizione quest’ultima che, peraltro, risultava sorretta da una motivazione meramente apparente, considerato che al riguardo la Corte territoriale si era limitata a richiamare “il rilevante stadio di avanzamento del tentativo” e formule di stile quali le “modalità e circostanze di fatto e la notevole intensità del dolo”.
Assumeva, ancora, che la motivazione della sentenza impugnata era illogica e contraddittoria anche nella parte relativa alla statuizione concernente l’applicazione del medesimo aumento di pena (pari a mesi otto di reclusione) in relazione a ciascuno dei reati satellite avvinti dal vincolo della continuazione, reati che in realtà erano tra loro ben diversi per gravità.
Deduceva, infine, che contraddittoriamente la Corte d’Appello aveva applicato la diminuzione di pena in ragione delle concesse circostanze attenuanti generiche nella massima estensione senza ridurre la pena per i quattro reati satellite rispetto a quella inflitta dal giudice di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Si esaminano dapprima i motivi di ricorso dedotti nell’interesse di COGNOME Gaetano.
Il primo motivo è fondato.
Secondo il consolidato orientamento del Giudice di legittimità, di recente espresso, in tema di rapina, condiviso da questo Collegio, l’agire professionale, violento e organizzato non è sufficiente “ex se” per la configurabilità dell’aggravante dell’utilizzo del “metodo mafioso”, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., essendo necessaria la ragionevole percezione, anche solo ipotetica, da parte della persona offesa della provenienza dell’attività delittuosa da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso. (Sez. 2, n. 28061 del 22/05/2024 COGNOME, Rv. 286723 – 01; in motivazione, la Corte ha individuato gli indici idonei ad ingenerare nella persona offesa una più accentuata condizione di minorata difesa indotta dalla parvenza di un agire mafioso nella consapevolezza della presenza, nel territorio di riferimento, di sodalizi criminali, negli espliciti richiami all’appartenenza o alla vicinanza a tali sodalizi e nelle concrete modalità di coercizione poste in essere).
Ciò premesso, osserva il Collegio che, per ritenere sussistente l’aggravante in parola, la Corte territoriale ha evidenziato “il metodo allusivo di rivolgersi alla vittima”, la “messa in disparte da parte del COGNOME anche del COGNOME, non l’ultimo arrivato, al quale si era rivolta la vittima”, il comportamento caratterizzato da “toni decisi e violenti … minacciando in caso contrario di distruggermi le macchinette, aggiungendo che era stato da poco scarcerato”, lo “sfruttamento della fama criminale sua e familiare, quale leva per indurre uno stato di preoccupazione nella vittima” (v. pagg. 48 e 49 della sentenza impugnata).
Il provvedimento impugnato non contiene, tuttavia, alcun riferimento alla percezione, anche solo ipotetica, da parte della vittima della provenienza dell’attività delittuosa da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso; né emerge, dalla motivazione resa dalla Corte territoriale, anche solo un riferimento implicito del soggetto agente al potere criminale di una consorteria di tipo mafioso, ovvero modalità esecutive della condotta idonee, in concreto, a evocare nei confronti della parte offesa la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso, funzionale a una più agevole e sicura consumazione del reato.
In relazione a tali profili deve ravvisarsi, pertanto, la violazione di legge denunciata.
Il secondo motivo è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
Non sussiste, invero, il denunciato vizio di motivazione, se si considera che appare del tutto ragionevole che la Corte territoriale abbia dato maggior rilievo,
dal punto di vista probatorio, a un’affermazione spontanea, resa nel corso di una conversazione intercettata, con la quale la vittima informava il suo interlocutore della presenza, in occasione del reato, di tre o quattro persone che erano insieme al Capodiferro, rispetto alle dichiarazioni rese dalla medesima parte offesa alla polizia giudiziaria, con le quali, peraltro, la stessa non aveva mai negato la presenza di altri soggetti che accompagnavano l’imputato, bensì, come osservato in maniera congrua dalla Corte territoriale, aveva semplicemente taciuto la circostanza.
La Corte d’Appello, peraltro, per ritenere il ruolo attivo dei soggetti che accompagnavano il Capodiferro, ha congruamente evidenziato che la persona offesa, nel corso della conversazione intercettata, aveva fatto chiaro riferimento alla presenza simultanea dell’imputato e dei suoi accompagnatori, proprio nel momento in cui l’imputato gli rivolgeva frasi dal contenuto minaccioso al fine di costringerlo a versare una somma mensile.
Anche il terzo motivo è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
Ritiene il Collegio che la Corte territoriale abbia reso adeguata motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche con il congruo richiamo alla oggettiva gravità del fatto e ai plurimi e gravissimi precedenti penali gravanti sul Capodiferro, fra i quali il precedente per violazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, in tal modo evidenziando l’allarmante personalità dell’imputato, insensibile al monito insito nei provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
La Corte d’Appello ha reso una motivazione immune da vizi anche con riguardo all’applicazione di una riduzione di pena non nella massima estensione in relazione alla riconosciuta circostanza attenuante del risarcimento del danno, avendo fatto riferimento, in maniera del tutto congrua, al decorso di un rilevante arco di tempo (ben cinque anni circa) tra il fatto di reato e l’avvenuto risarcimento del danno.
Si viene ora a trattare il ricorso proposto nell’interesse di COGNOMENOME COGNOME
Il ricorrente lamenta, innanzitutto, la violazione del principio del divieto di reformatio in peius assumendo che la Corte d’Appello avrebbe applicato, in relazione al reato di estorsione aggravata cui al capo 12) – ritenuto più grave, considerata la statuizione assolutoria resa dalla medesima Corte in relazione al reato di riciclaggio aggravato, di cui al capo 10), che era stato ritenuto più grave dal giudice di primo grado – una pena base più elevata rispetto alla pena
base applicata dal Giudice per le indagini preliminari in relazione al reato di cui al capo 10).
Il rilievo è infondato, se si considera che in realtà la Corte d’Appello ha riqualificato il reato di cui al capo 12) quale estorsione tentata e, ritenendolo più grave, ha applicato una pena detentiva base non, come indicato in ricorso, di anni cinque e mesi tre di reclusione, bensì di anni tre e mesi sei di reclusione, considerata la riduzione di pena per il tentativo, pena che risulta inferiore a quella, pari ad anni cinque, applicata dal giudice di primo grado in relazione al reato di cui al capo 10).
Deve, pertanto, essere esclusa la denunciata violazione del divieto di reformatio in peius.
Quanto alla dedotta disarmonia fra la riduzione di pena applicata nella massima estensione in relazione alle concesse circostanze attenuanti generiche e la riduzione di pena per il tentativo, applicata nel minimo, osserva la Corte che il ricorrente non ha inquadrato tale doglianza, per il vero generica, in uno dei vizi deducibili a norma dell’ art. 606 cod. proc. pen.; si deve, peraltro, ulteriormente evidenziare che la Corte d’Appello ha reso una motivazione adeguata in relazione all’applicazione della riduzione di pena per il tentativo nel minimo, richiamando congruamente il “rilevante stato di avanzamento del tentativo”.
È, diversamente, fondata la doglianza con la quale il ricorrente ha censurato l’applicazione di un aumento di pena identico per ciascuno dei reati satellite avvinti dalla continuazione, pur essendo tali reati fra loro diversi per gravità.
Ed invero, secondo l’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01; la Corte ha precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti d 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene).
Orbene, nel caso di specie la Corte d’Appello ha in effetti applicato lo stesso aumento di pena (pari a mesi otto di reclusione ed euro 300,00 di multa) in
relazione ciascuno dei cinque reati satellite, senza rendere alcuna motivazione al riguardo, nonostante la evidente diversa gravità fra i detti reati satellite (si
tratta, in particolare, dei reati di cui agli artt. 513-bis, 644 e 648 cod. pen.).
Deve, infine osservarsi che non emerge alcuna contraddizione fra la statuizione relativa alla riduzione di pena nella massima estensione in relazione
alle concesse circostanze attenuanti generiche e la mancata riduzione degli aumenti di pena già determinati dal giudice di primo grado in relazione ai reati
satellite avvinti dal vincolo della continuazione, trattandosi all’evidenza di valutazioni fra loro del tutto autonome.
5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di COGNOME Gaetano, limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1
cod. pen. che deve essere esclusa, e nei confronti di COGNOMENOME COGNOME limitatamente alla misura degli aumenti di pena per i reati in continuazione, con
rinvio per la determinazione della pena nei confronti di COGNOME e per la quantificazione degli aumenti per la continuazione per il COGNOME ad altra sezione della Corte di Appello di Bari; nel resto i ricorsi devono essere rigettati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. che esclude e nei confronti di COGNOME limitatamente alla misura degli aumenti di pena per i reati in continuazione; rinvia per la determinazione della pena nei confronti di COGNOME e per la quantificazione degli aumenti per la continuazione per il COGNOME ad altra sezione della Corte di Appello di Bari. Rigetta nel resto i ricorsi.
Così deciso il 15/01/2025