Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2501 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2501 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Canicattì il 22/07/1950
avverso l’ordinanza del 25/07/2024 del Tribunale di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e le conclusioni depositate dal Pubblico Ministero;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOMEsostituto processuale del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 25 luglio 2024 con cui il Tribunale di Palermo ha rigettato il riesame avverso l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, in data 3 luglio 2024, ha disposto nei suoi confronti la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere in relazione al reato di cui agli artt. 629 e 416-bis.1 cod. pen.
Il ricorrente, con il primo ed il secondo motivo di impugnazione, lamenta violazione degli artt. 629 e 416-bis.1 cod. pen., 274, 275 e 299 cod. proc. pen.
e 111 Cost. nonché vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reità ed all’attualità delle ritenute esigenze cautelari.
2.1. Il provvedimento oggetto di ricorso sarebbe privo di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di estorsione aggravata.
I giudici del riesame si sarebbero limitati ad una formale rassegna degli indizi a carico di NOME COGNOME senza la necessaria valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
Inoltre, i giudici del riesame non avrebbero tenuto conto di quanto emerso dalle intercettazioni in atti (in particolare la persona offesa non sarebbe stata in alcun modo intimidita dal ricorrente, al contrario vantandosi di aver rifiutato in tre occasioni le richieste di NOME COGNOME e descrivendo lo stesso come un mafioso “scaduto”).
2.2. A giudizio della difesa non sarebbe, inoltre, sussistente l’aggravante del metodo mafioso in considerazione del fatto che il ricorrente non aveva alcuno scopo intimidatorio e che il sodalizio di stampo mafioso noto come “Stidda” non è operativo da decenni.
L’estraneità del ricorrente a contesti mafiosi sarebbe comprovata dal fatto che nessun collaboratore di giustizia avrebbe mai fatto il nome di NOME COGNOME come appartenente a sodalizi di stampo mafioso e che i precedenti del ricorrente risalirebbero ad un periodo assai risalente nel tempo.
2.3. L’ordinanza impugnata sarebbe carente anche in relazione all’attualità delle esigenze cautelari; in particolare, i giudici dell’appello non avrebbero valutato e confutato le specifiche deduzioni difensive relative al venir meno dei presupposti per l’applicazione della misura cautelare (risalenza al 24 marzo 2023 dell’unica condotta delittuosa contestata ad NOME COGNOME, eccessività della custodia cautelare in carcere rispetto alla gravità della vicenda).
Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta erronea applicazione degli artt. 275-bis e 292 cod. proc. pen. e carenza di motivazione in ordine all’adeguatezza della sola misura intramuraria a contenere le ritenute esigenze cautelari.
I giudici del riesame non avrebbero tenuto conto del fatto che NOME COGNOME non avrebbe rapporti con clan mafiosi da decenni e che la sua condotta non avrebbe concretamente intimidito la persona offesa, con conseguente violazione dell’art. 292 cod. proc. pen. nella parte in cui prescrive l’esposizione e valutazione delle concrete e specifiche ragioni che rendono inidonee misure cautelari meno afflittive della custodia in carcere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I tre motivi di ricorso sono aspecifici in quanto meramente reiterativi di censure, già adeguatamente vagliate e disattese dai giudici del riesame che hanno escluso, con motivazione priva di illogicità e coerente con le risultanze le criticità ricostruttive evidenziate con l’atto di riesame.
Il ricorrente si è limitato a reiterare le medesime allegazioni difensive che sostiene essere state pretermesse, chiedendo a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con le emergenze processuali determinanti per la formazione del convincimento del riesame.
Risulta evidente che le predette doglianze hanno ad oggetto questioni già esaminate dal Tribunale del Riesame, pervenendo alla conferma dell’ordinanza genetica attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità.
Peraltro, i giudici del gravame hanno trattato e disatteso, con specifica ed adeguata motivazione, tutte le censure proposte dal ricorrente, con la conseguenza che la struttura giustificativa dell’ordinanza qui impugnata si salda con il provvedimento genetico, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, avendo, esaminato le censure proposte dall’odierna parte ricorrente con criteri omogenei a quelli del primo giudice, in tal modo concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di gravità indiziaria posti a fondamento della decisione stessa.
Ciò premesso, è possibile passare all’esame dei singoli motivi di ricorso.
Il primo motivo di impugnazione, oltre ad essere aspecifico, è articolato esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri ricostruzione e valutazione dei fatti.
Il Tribunale -tenendo doverosamente ed accuratamente conto di tutti gli elementi emersi nel corso delle indagini e delle doglianze difensive- ha spiegato con iter argomentativo esaustivo, logico, correttamente sviluppato e saldamente ancorato all’esame delle singole emergenze processuali le ragioni per le quali dovevano ritenersi integrati a carico di NOME COGNOME sia sotto il profilo di oggettivo che sotto quello soggettivo, gli estremi del contestato reato di estorsione (vedi pagg. da 3 a 9 dell’ordinanza impugnata), motivazione che non può esser rivalutata, in questa sede, non essendo i giudici di merito incorsi in contraddizioni o illogicità manifeste.
La versione dei fatti offerta dalla persona offesa risulta essere stata valutata, in maniera logica, congrua e lineare, anche in considerazione della portata dei rimanenti elementi indiziari (dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, trascrizione del file registrato da COGNOME NOME) che hanno fornito precisi elementi di riscontro alle dichiarazioni della vittima della condotta estorsiva.
A fronte di tale compendio ricostruttivo, che si salda coerentemente con quello proposto dal giudice della cautela, il motivo di ricorso è palesemente diretto a contestare, attraverso una lettura parcellizzata della motivazione, la rilevanza dei singoli dati indiziari, così proponendo una loro lettura alternativa che, collocandosi nella sfera degli apprezzamenti di merito, esula dal perimetro cognitivo del giudizio di legittimità.
3.1. Peraltro, quanto alla lettura alternativa della conversazione registrata da COGNOME COGNOME proposta con il ricorso, va ricordato l’insegnamento di questa Corte in tema di intercettazioni, secondo cui costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni captate, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. U, n.22471 del 26/2/2015, Rv.263715)
L’applicazione del suddetto principio porta ad escludere che il contenuto di quelle conversazioni, conformemente interpretato dai giudici di merito, possa essere sottoposto al sindacato di questa Corte, non emergendo alcun travisamento materiale del contenuto delle conversazioni registrate dal Rallo che risulti decisivo ed incontestabile, sicché sono inammissibili le generiche censure sviluppate nel ricorso (vedi Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, COGNOME, Rv. 272558 e da ultimo Sez. 5, n. 2245 del 14/12/2022, dep. 2023, Vallepiano, non massimata).
3.2. Anche in relazione alla sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, il Tribunale è pervenuto alla conferma dell’ordinanza genetica attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze indiziarie, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità e perciò insindacabile in questa sede.
I giudici di merito hanno rimarcato, in proposito, che NOME COGNOME al fine di intimidire maggiormente i suoi interlocutori, ha evocato “il proprio profilo personale di mafioso” ben noto alle sue vittime e prospettato la necessità di non concedere in affitto a terzi il magazzino di proprietà della persona offesa (vedi pagg. da 10 a 11 dell’ordinanza impugnata).
I giudici di merito hanno fatto corretto uso dell’univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la circostanza aggravante di cui all’art.
416-bis.1, cod. pen., risponde, nello stigmatizzare un metodo e non un fatto, alla avvertita esigenza di prevedere un trattamento sanzionatorio più severo tutte le volte in cui l’evocazione della contiguità ad una organizzazione mafiosa pone la vittima in una condizione di soggezione ulteriore rispetto a quella solitamente derivata dalla condizione di vittima di condotte estorsive (vedi Sez. 2, n. 19245 del 30/3/2017, COGNOME, Rv. 269938-01; Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, Gabriele, Rv. 284950 – 01), dovendo il giudice limitarsi a controllare che quella evocazione sia effettivamente funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento particolare, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a dover fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che quelle di un criminale comune, non essendo necessario che il soggetto agente appartenga effettivamente a un sodalizio criminale di tal genere (vedi Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, Rv. 284950 – 01; Sez. 2, n. 20320 del 15/05/2024, COGNOME, Rv. 286426 – 01).
La circostanza aggravante in esame ha, infatti, la funzione di reprimere il «metodo delinquenziale mafioso» ed è connessa non alla struttura e alla natura del delitto rispetto al quale è contestata, quanto, piuttosto, alle modalità della condotta, che devono evocare la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso.
È configurabile, quindi, l’aggravante laddove la condotta delittuosa sia stata, come nel caso di specie, oggettivamente funzionale a creare nella vittima la peculiare condizione di assoggettamento derivante dal prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici, provenienti non da un singolo ma di un intero gruppo di stampo mafioso.
Il ricorrente, senza confrontarsi adeguatamente con quanto motivato dal Tribunale al fine di confutare le censure difensive, si è limitato a reiterare le medesime doglianze asseritamente pretermesse, chiedendo a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con le emergenze determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito con conseguente aspecificità dei motivi di ricorso.
4. La difesa lamenta, con il secondo e terzo motivo, che la motivazione sarebbe apparente in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla adeguatezza della misura intramuraria applicata ad NOME COGNOME anche in questo caso il ricorso è reiterativo dei motivi di riesame e non tiene conto della motivazione oggetto di ricorso, limitandosi a proporre una rilettura alternativa degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione basata su parametri di valutazione meramente apodittici e congetturali.
o
4.1. I giudici del riesame hanno evidenziato, con motivazione esauriente e compatibile con le risultanze investigative, l’attualità ed eccezionale rilevanza del pericolo di reiterazione nonché la conseguente adeguatezza della sola misura coercitiva della custodia cautelare in carcere; la motivazione valorizza, in particolare, la significativa gravità delle condotte oggetto di giudizio attestanti “il potere di controllo del territorio di matrice sicuramente mafiosa e del correlato disconoscimento dell’autorità statale” nonché la particolare intensità della capacità criminale del Maira desumibile dalla pregressa condanna per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e dalla violazione della misura di prevenzione in precedenza applicatagli, elementi idonei a far ritenere la misura della custodia cautelare in carcere come l’unica misura idonea ad impedire la reiterazione di condotte delittuose della medesima specie e ad evitare probabili rappresaglie in danno della persona offesa (vedi pag. 12 e 13 dell’ordinanza impugnata).
4.2. Deve essere, inoltre, rimarcato che il ricorrente si è limitato a proporre una lettura alternativa degli elementi considerati dai giudici di merito anche quanto al profilo, meramente accennato, del c.d. tempo silente, in mancanza di qualsiasi elemento concreto a supporto della censura sollevata. In altri termini, il tempo silente è stato semplicemente evocato dal ricorrente, in assenza di qualsiasi rilevante allegazione, a fronte di una argomentata considerazione del Tribunale circa la sussistenza delle esigenze cautelari.
Il Collegio intende ribadire, in proposito, che la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere può essere superata soltanto quando, in relazione al caso concreto, siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, non essendo idonea la mera allegazione del tempo trascorso dalla commissione dei reati (Sez. 5, n. 35847 del 11/06/2018, C., Rv. 274174-01; Sez. 2, n. 7837 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280889-01).
Ciò posto occorre ricordare che, pur dovendo il fattore tempo entrare nella valutazione cui è chiamato il giudice della cautela nel riscontrare, in concreto, l’attualità del pericolo di recidiva, in tema di custodia cautelare in carcere applicata nei confronti di indagato per delitto aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen. la presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui all’attuale dettato dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice emerga che l’indagato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, occorrendo una prova rigorosa di un effettivo allontanamento dalle dinamiche operative dei sodalizi di stampo mafioso e della conseguente dimostrazione di una situazione indicativa della assenza di esigenze cautelari (vedi Sez. 2, n. 7837 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280889-01; Sez. 2, n. 22086 del 19/04/2023, Inturrisi, non massimata).
Peraltro, in assenza di elementi a favore, specificamente allegati dalla difesa o presenti agli atti, sul giudice della cautela non grava un onere di argomentare in positivo circa la sussistenza o la permanenza delle esigenze (Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590-01; Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131-01; Sez. 5, n. 26371, del 24/07/2020, COGNOME, Rv. 279470-01) dovendo trovare applicazione la misura della custodia in carcere.
4.3. Il ricorrente non si è misurato adeguatamente con gli elementi dai quali il Tribunale ha tratto in positivo la conferma dell’effettiva sussistenza e attualità delle esigenze cautelari ed all’adeguatezza della misura custodiale, dando rilievo a quei profili che attestano la gravità della condotta criminosa posta in essere da NOME COGNOME limitandosi a proporre una diversa interpretazione dei comportamenti tenuti dall’indagato, con affermazioni ipotetiche e prive di alcun fondamento logicofattuale.
4.4. Va, in conclusione, evidenziato che, in considerazione della completezza e logica conseguenzialità del percorso motivazionale seguito dai giudici del riesame, percorso che non lascia spazio ad alternative logico-fattuali di pari valore, risultano correttamente disattese tutte le deduzioni difensive incompatibili in punto di logica con la decisione adottata.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà dell’indagato, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 21 novembre 2024.