Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32105 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32105 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/04/2024 del TRIBUNALE di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato, quale giudice di rinvio, il provvedimento di applicazione della custodia cautelare (in origine carceraria poi sostituita con quella degli arresti domiciliari) adottata nei confronti di COGNOME NOME in ordine al delitto di tentato omicidio, riconoscendo la circostanza aggravante del “metodo mafioso”, escludendo invece quella della premeditazione.
La decisione segue la pronuncia adottata dalla prima sezione (sentenza n. 15614 del 09/02/2024) che aveva annullato l’ordinanza cautelare limitatamente ai punti delle due citate aggravanti.
Avverso il provvedimento ricorre l’indagato, tramite il difensore, proponendo due motivi, trattati unitariamente, con i quali denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sul riconoscimento della aggravante del metodo mafioso.
Sostiene che il giudice di rinvio non si sarebbe conformato ai principi di diritto enunciati nella sentenza rescindente e avrebbe ricostruito la vicenda unicamente sulla scorta delle dichiarazioni di COGNOME NOME.
La motivazione sarebbe apparente poiché le circostanze valorizzate dal Tribunale (presenza di più soggetti che spalleggiavano COGNOME, svolgimento dell’azione in luogo pubblico e tra la folla, fuga della vittima delle minacce) non sarebbero idonee a spiegare perché la condotta dell’indagato sarebbe stata funzionale a creare nella persona offesa una condizione di assoggettamento, facendola sentire bersaglio di un’azione decisa da un gruppo criminale.
Si è proceduto a discussione orale su richiesta dal difensore del ricorrente, che non si è presentato all’udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
La prima sezione della Corte di cassazione aveva rilevato un difetto motivazionale in ordine agli elementi costitutivi della circostanza aggravante oggettiva del “metodo mafioso”, che ha declinato citando alcune pronunce di legittimità.
La sentenza rescindente ha ritenuto, in sostanza, che la prima ordinanza non aveva «adeguatamente valutato se la condotta del ricorrente fosse funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, facendola sentire bersaglio di un’azione decisa da un gruppo criminale, e non si fosse trattato solo di un’ostentazione provocatoria, inidonea però a indurre nella vittima e nei testimoni un effettivo timore di trovarsi di fronte ad un’azione di stampo camorristico».
L’ordinanza impugnata non presenta alcuno dei vizi denunciati, in quanto fornisce adeguata motivazione, priva di cadute logiche, sulla sussistenza della
aggravante in discorso, conformandosi pienamente al principio di diritto enunciato dalla sentenza rescindente.
3.1. Va innanzitutto rammentato che avvalersi del metodo mafioso – ovvero, secondo la dizione dell’art. 416-bis.1, comma primo, cod. pen., «delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen.» significa avvalersi della forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.
Tale aggravante è stata inserita nell’ordinamento per contrastare le forme di criminalità promananti da soggetti in grado di intimidire e coartare le vittime che sono forzate finanche ad accontentare “spontaneamente” il proprio aggressore – non tanto per la propria fama criminale, ma, in particolar modo, per quella che proviene loro dal contesto delinquenziale in cui si muovono, perché idoneo a suscitare paura di rappresaglie ad opera di complici, affiliati e accoliti. Ciò sul presupposto che la capacità di resistenza della vittima scema man mano che acquisisce la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un soggetto che ha alle spalle un manipolo di persone disposte a sostenerlo, aiutarlo e vendicarlo, sicché anche l’aiuto che può prestargli lo Stato si appalesa inadeguato rispetto agli scopi della difesa.
Come ha ricordato la sentenza rescindente, la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., ricorre quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (ex multis, Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, Marcianò, Rv. 281027).
Anche se, è bene rammentarlo, non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 21530 del 08/02/2018, Spada, Rv. 273025 – 01).
3.2. Le critiche mosse dal ricorrente investono solo alcuni aspetti dell’ordinanza senza confrontarsi con il complessivo tessuto argomentativo, mentre, diversamente da quanto lamentato, risulta che il giudice di rinvio ha assolto il compito demandatogli.
Il metodo mafioso è stato ravvisato sulla scorta di una serie di convergenti elementi sintomatici: il fatto è avvenuto in Pozzuoli, territorio assoggettato al controllo di organizzazioni camorristiche; l’indagato ostentava il suo potere sul territorio imponendo a COGNOME NOME classe ’98 di inchinarsi al suo passaggio, spalleggiato da altri soggetti che, con la loro presenza, rafforzavano l’efficacia dell’intimidazione facendola ritenere come proveniente da un gruppo criminale; le
modalità della minaccia, seguite allo “sgarro”, sono tipiche della connotazione mafiosa sia per il contenuto (“vivo per te, vado a prendere la pistola e ti uccido”) sia per il luogo (sulla pubblica via, in mezzo alla folla, sì da dimostrare sicurezza di totale impunità); l’attuazione immediata di quanto minacciato, che esclude qualunque ipotesi di mera “ostentazione provocatoria”; la finalizzazione della minaccia ai danni di un parente della persona minacciata, secondo la logica mafiosa per cui dei comportamenti di una persona rispondono indistintamente gli appartenenti al medesimo gruppo familiare (logica ben chiara anche alla vittima che, dopo essersi sottratta al pericolo, ha inutilmente avvisato il proprio cugino, COGNOME NOME classe ‘DATA_NASCITA, di rimanere in casa).
3.3. Va aggiunto che quando la sentenza rescindente menziona la necessità di accertare “i motivi del primo scontro, causa dell’azione criminosa successiva” e “l’eventuale sussistenza di specifiche ragioni di astio nei confronti della vittima o di altri familiari”, lo fa in ottica evidentemente esemplificativa, poiché le circostanze fattuali idonee ad assumere rilevanza ai fini in rassegna sono le più diverse e non suscettibili di rigida schematizzazione tassativizzante.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 05/07/2024