Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13120 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13120 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VICO EQUENSE il 11/07/1992
avverso l’ordinanza del 16/12/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15 novembre 2024, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli applicava a COGNOME NOME, indagato per il reato di cui agli artt. 56, 629 e 416bis .1 cod. pen. la misura della custodia cautelare in carcere; a seguito di ricorso proposto dall’indagat o, il Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza del 16 dicembre 2024, confermava la misura; avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il difensore di COGNOME, chiedendone l’annullamento. Al riguardo, deduce :
1.1 assenza di autonoma valutazione del giudice della cautela in punto di giudizio di gravità indiziaria, in particolare sull’atto di individuazione fotografica ;
1.2 manifesta illogicità della motivazione resa in rispetto alla doglianza difensiva, ritualmente incardinata nella memoria, in punto di inaffidabilità dell’atto di individuazione di persona del 6 dicembre 2024 per travisamento dell’atto di individuazione fotografica del 28 Marzo 2024: si era evidenziato che la descrizione
effettuata prima dell’individuazione fotografica compiuta in data 28 marzo 2024 ineriva ad un soggetto giovane, alto mt.1,70, con corporatura normale e che la descrizione non evidenziava dettagli del viso , se non un riferimento alla barba; il successivo interrogatorio di garanzia aveva allegato al procedimento la circostanza che COGNOME era alto nt. 1,90 e non aveva una corporatura normale, in quanto pesava oltre 120 kg, ragione per cui la foto visionata dal teste era quella di un soggetto diverso da COGNOME si era quindi proceduto a ricognizione di persona in data 6 dicembre 2024, ove il teste aveva riconosciuto COGNOME confermando preventivamente la descrizione di un soggetto di corporatura ed altezza normali; la persona offesa COGNOME aveva anche dichiarato che il soggetto indossava un cappuccio nero, per cui aveva avuto una percezione assai limitata del viso; si era censurato l’atto di ricognizione anche nella parte in cui COGNOME aveva dichiarato di aver visto due soggetti presenti nella saletta utilizzata per la ricognizione di persona; tale dichiarazione, alla luce della evidente presenza del soggetto presunto responsabile delle condotte denunciate quale recluso presso il carcere di Napoli, doveva inficiare l’atto di ricognizione; sul punto la decisione del tribunale era manifestamente illogica;
1.3 violazione dell’art. 416 -bis .1 cod. pen.: l’ordinanza impugnata aveva ritenuto che il richiamo alla casa e dal tempo di due giorni per corrispondere il provento dell’estorsione rappresentasse il richiamo all’associazione esercitante un controllo sul territorio, senza considerare che il soggetto agente aveva parlato sempre e solo al singolare e che non era stato spiegato come potesse ricavarsi l’evocazione di una consorteria di stampo camorristico in quanto espresso;
1.4 vizio di motivazione in punto di superamento della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere: appariva contraddittoria la motivazione resa laddove riteneva necessario il presidio cautelare necessario alla fine di recidere i contatti con l’organizzazione criminale di riferimento, visto che vi era un evidente contrasto logico con la mancata configurazione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa; la decisione appariva ulteriormente viziata dal mancato confronto, espressamente richiamato nella memoria difensiva, con la dichiarata disponibilità del prevenuto all’applicazione degli strumenti elettronici a distanza; l’ordinanza appariva pertanto resa in violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza della misura.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Il ricorso è infatti reiterativo delle censure già proposte in sede di riesame, e sulle quali il Tribunale ha adeguatamente risposto con l’ordinanza impugnata; in particolare, si deve premettere quale sia la natura stessa del sindacato di
legittimità, riportandosi ai principi che questa Corte ha più volte ribadito, a mente dei quali gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi probatori attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità, a meno che risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità, in sede di legittimità, di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio; ciò a maggior ragione in sede cautelare,
Nel caso in esame, il Tribunale ha risposto a tutte le censure riproposte con i primi due motivi di ricorso nelle pagine da 3 a 5 dell’ordinanza impugnata, motivando sul riconoscimento effettuato, sulla irrilevanza delle caratteristiche somatiche dell’indagato per come descritte (pag.5), s ulla mancanza di condizionamenti (pag.6)
1.2 Relativamente all’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen., si deve ribadire che ‘a i fini della configurabilità dell’aggravante del “metodo mafioso”, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è sufficiente, in un territorio in cui è radicata un’organizzazione mafiosa storica, che il soggetto agente si riferisca implicitamente al potere criminale della consorteria, in quanto tale potere è di per sé noto alla collettività ‘ (Sez.2, n. 34786 del 31/05/2023, Gabriele, Rv. 284950); nel caso in esame, il Tribunale ha evidenziato non solo che la condotta era maturata in un contesto ambientale in cui era ‘notoria la presenza di associazioni di tipo mafioso aduse ad effettuare richieste estorsive agli imprenditori edili presenti in zona’ (pag.7), ma anche che la frase ‘o’sapete che se venite a faticare nella casa mia, vi dovete mettere d’accordo prima di andare avanti’ conteneva un chiaro riferimento ad un luogo (‘la casa’) di presenza del sodalizio mafioso, per cui la persona offesa aveva la percezione di essere di fronte ad una minaccia proveniente da un soggetto facente parte di una associazione, con conseguente sussistenza dell’aggravante contestata.
1.3 Quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, il Tribunale ha correttamente richiamato la doppia presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura carceraria di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., osservando che tale presunzione non poteva ritenersi superata.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità -al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 2.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà dell’indagato, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 26/03/2025