Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 31878 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 31878 Anno 2025
RITENUTO IN FATTO
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
La Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza emessa il 21 dicembre 2023, in esito a giudizio abbreviato, dal Tribunale di Prato nei confronti di NOME Data Udienza: 20/06/2025
NOME per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore dell’imputato che, con un unico motivo, deduce la violazione degli artt. 15 Cost., 191 e 234 cod. proc. pen., nonché l’omessa applicazione dell’art. 254 cod. proc. pen. per non aver dichiarato l’inutilizzabilità dei messaggi contenuti nel telefono cellulare dell’imputato ed oggetto di riproduzione fotografica ad opera della polizia giudiziaria al momento dell’arresto senza che il telefono fosse stato posto sotto sequestro e per essere state acquisite le riproduzioni fotografiche della chat di WhatsApp quale prova documentale, su cui la sentenza impugnata ha fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputato. Diversamente da quanto si legge nella sentenza di appello si trattava di messaggi resi in data prossima al momento dell’attività di polizia giudiziaria.
Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
In data 10 giugno 2025, è pervenuta memoria di replica del difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia l’inutilizzabilità dei messaggi WhatsApp utilizzati a suo carico, in quanto assume che la loro acquisizione dovesse avvenire con le forme previste dagli artt. 253 e 254 cod. proc. pen., trattandosi di corrispondenza.
Al riguardo, giova ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 170 del 2023, ha specificamente affrontato il tema della natura di tali messaggi, quando essi si trovino riposti, statici e giacenti nella memoria dei telefoni cellulari, degli smartphone o di qualsiasi altro dispositivo di natura analoga. La Corte costituzionale ha anzitutto affrontato il tema della differenza tra il sequestro di corrispondenza e le intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni e, a tal fine, in assenza di una definizione di queste ultime contenuta nel codice di procedura penale, ha richiamato la sentenza delle Sezioni Unite penali n. 36747 del 28 maggio 2003, che ha chiarito che le intercettazioni
consistono nella «apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti estranei al colloquio». Sulla base di tale definizione, la Corte costituzionale ha puntualizzato che per aversi intercettazione debbano ricorrere due condizioni, la prima delle quali è di ordine temporale: la comunicazione deve essere in corso nel momento della sua captazione da parte dell’estraneo, ossia deve essere colta nel suo momento “dinamico”, con la conseguente estraneità a tale nozione dell’attività di acquisizione del supporto fisico contenente la memoria d una comunicazione già avvenuta e, quindi, oramai quiescente nel suo momento “statico”. La seconda condizione attiene alle modalità di esecuzione: l’apprensione del messaggio comunicativo da parte del terzo deve avvenire in maniera occulta, ossia all’insaputa dei soggetti tra i quali intercorre la comunicazione. Nel caso dell’acquisizione dei messaggi custoditi nella memoria del dispositivo mancano entrambe tali condizioni, con la conseguenza che non può parlarsi di intercettazioni con riguardo alla loro acquisizione. Così escluso che l’acquisizione dei messaggi di che trattasi possa considerarsi intercettazione, la Corte costituzionale ha poi rimarcato che essi rientrano senz’altro nell’amplissima nozione di corrispondenza, che abbraccia ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) e che prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero. Con l’ulteriore precisazione che la garanzia di cui all’art. 15 della Costituzione – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza della ‘corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione’, consentendone la limitazione ‘soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria’ – si estende «a ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini educativi, compresi quelli elettronici e informatici». Da qui la certa riconducibilità alla nozione di corrispondenza della posta elettronica, dei messaggi WhatsApp e più in generale della messaggistica istantanea, che, quindi, rientrano nella sfera di protezione dell’art. 15 della Costituzione, «apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi».
Così escluso che l’acquisizione dei messaggi possa rientrare nella nozione di intercettazione e una volta riconosciuto in via generale che essi rientrano nella nozione di corrispondenza, la Corte costituzionale evidenzia che l’interrogativo principale da risolvere è quello di stabilire se i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e la messaggistica istantanea in generale mantengano la natura di corrispondenza anche quando siano stati ricevuti e letti dal destinatario e ormai conservati e giacenti nella memoria dei dispositivi elettronici dello stesso destinatario o del mittente. Sul punto, la Corte costituzionale ha evidenziato che su tale tema si fronteggiano due opposte concezioni: secondo una concezione, la corrispondenza già ricevuta e letta dal destinatario non è più un mezzo di comunicazione, perde la natura di corrispondenza e diventa un semplice documento che, in quanto tale, non soggiace né alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 266bis cod.
proc. pen.), né a quella del sequestro di corrispondenza di cui al citato art. 254 cod. proc. pen., la quale implica una attività di spedizione in corso. Secondo l’altra concezione, al contrario, la natura di corrispondenza non si esaurisce con la mera ricezione del messaggio e la presa di cognizione del suo contenuto da parte del destinatario, ma permane finché la comunicazione conservi carattere di attualità e di interesse per i corrispondenti, venendo meno solo quando il decorso del tempo o altra causa abbia trasformato il messaggio in documento “storico”. A fronte di tali due contrapposte posizioni definitorie, la Corte costituzionale ha dunque chiarito che la natura di corrispondenza va correttamente intesa nel senso espresso dalla seconda concezione, in quanto la degradazione della comunicazione a mero documento quando non più in itinere restringerebbe l’ambito della tutela costituzionale apprestata dall’art. 15 Cost. alle sole ipotesi – sempre più rare- di corrispondenza cartacea; tutela che sarebbe del tutto assente in relazione alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all’invio segue la ricezione con caratteri di sostanziale immediatezza.
In conformità alle precise indicazioni della Corte costituzionale, deve pertanto essere disatteso l’orientamento (cfr. Sez. 6, n. 22417 del 16/03/2022, COGNOME Eugenio Rv. 283319), secondo cui i messaggi WhatsApp (i messaggi di posta elettronica e la messagistica istantanea) devono considerarsi alla stregua di documenti, dovendosi invece ribadire il principio di diritto per il quale, in tema di mezzi di prova, i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un dispositivo elettronico conservano la natura di corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo o per altra causa, essi non abbiano perso ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento “storico”, sicché – fino a quel momento – la loro acquisizione deve avvenire secondo le forme previste dall’art. 254 cod. proc. pen. per il sequestro della corrispondenza, essendo altrimenti affetti, come avvenuto nel caso di specie, da inutilizzabilità patologica, in quanto tale rilevante anche nel giudizio abbreviato (cfr. Sez. 6, n. 39548 del 11/09/2024, COGNOME COGNOME, Rv. 287039, massimata nei seguenti termini: ‘In tema di mezzi di prova, sono affetti da inutilizzabilità patologica, in considerazione della loro natura di corrispondenza, i messaggi “WhatsApp” acquisiti, in violazione dell’art. 254 cod. proc. pen., mediante “screenshots” eseguiti dalla polizia giudiziaria, di propria iniziativa e senza ragioni di urgenza, in assenza di decreto di sequestro del pubblico ministero’; Sez. 2, n. 25549 del 15/05/2024, COGNOME NOME , Rv. 286467).
Tanto premesso, il Collegio rileva che, a fronte di una motivazione che ha esibito una più ampia piattaforma probatoria rispetto ai menzionati messaggi
WhatsApp , il ricorrente non ha adeguatamente assolto all’onere di specificare l’incidenza degli elementi asseritamente inutilizzabili, essendosi limitato ad affermare in modo generico ed assertivo che ‘la mancata rilevata inutilizzabilità delle conversazioni WhatsApp risulta incidente sulla decisione assunta’. Ciò in contrasto con l’insegnamento di questa Corte secondo cui, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova, acquisiti illegittimamente, diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287024 – 02; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, COGNOME e altro, Rv. 269218).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 20 giugno 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME