Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29750 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29750 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Grumo Appula in data DATA_NASCITA
avverso la sentenza in data 3/4/2023 della Corte d’appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni trasmesse in data 29/5/2024 dal Procuratore generale ne persona del sostituto AVV_NOTAIO.sa NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 14/12/2020, il Tribunale di Bari ritenne COGNOME NOME responsabile del reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000 per aver omesso, al evadere le imposte, di presentare la dichiarazione sui redditi e sul valore agg per l’anno 2012 con un’evasione dell’IRPEF pari a € 56.942,40 e lo condannò al pena ritenuta di giustizia comminando le pena accessorie di cui all’art. 12 citato e disponendo la confisca dei beni dell’imputato sino all’importo non vers 2. Con sentenza in data 30/6/2023, la Corte d’appello di Bari, in parziale rifo della sentenza impugnata, concesse all’imputato il beneficio della sospensio
condizionale dei beni confermando nel resto l’impugnata sentenza.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso COGNOME, a mezzo del proprio difensore, lamentando, con primo motivo, la violazione di legge, in relazione a
artt. 168 bis comma 2 cod. pen. e 464 bis cod. proc. pen.. Il ricorso deduce il Tribunale aveva respinto la richiesta di messa alla prova ritenendo che l’im che l’imputato si era dichiarato disponibile a versare a titolo risarcitorio essere pari all’ammontare dell’imposta evasa; la Corte d’appello, investita questione con uno specifico motivo, aveva condiviso le valutazioni del giudice prime cure ritenendo “irrisoria” la proposta risarcitoria di “soli C 5000,00 ri all’entità del danno cagionato per l’imposta evasa”; le valutazioni dei giud merito confliggevano con la previsione dell’art. 168 bis comma 2 cod. pen., c non prevede la “necessaria subordinazione della messa alla prova all’integr risarcimento del danno”, e con gli approdi ermeneutici della giurisprudenza legittimità che, nei processi per delitti tributari, aveva escluso che l’ pagamento del debito fiscale costituisse requisito imprescindibile per l’ammiss al beneficio; i giudici di merito erano pervenuti al rigetto della richiest neppure attivare i poteri d’indagine previsti dall’art. 464 bis comma 5 cod. pen. al fine di accertare la situazione patrimoniale dell’imputato.
Con il secondo motivo, si denuncia la manifesta illogicità della motivazione specifico riferimento al dolo del reato ritenuto. Il ricorrente lamenta che pervenuti al giudizio di responsabilità utilizzando la percentuale di ri individuata dalla PG e procedendo a una “ricostruzione virtuale”, “fondata su cal aritmetici approssimativi”, incompatibile con i canoni di giudizio richiest l’affermazione della penale responsabilità.
CONSIDERAZIONI IN DIRITTO
Il primo motivo del ricorso è fondato.
Il programma di trattamento che delinea il percorso responsabilizzante partecipativo che l’imputato si impegna a intraprendere con la richiest sospensione con messa alla prova ha, ai sensi degli artt. 168 bis comma 2 c pen. e 464 bis comma 4 lett. b), cod. proc. pen., nelle conAVV_NOTAIOe riparative un suoi contenuti essenziali.
Proprio in relazione ai reati tributari, la giurisprudenza di legittimità ha che “l’indicazione contenuta nell’art. 168 bis, comma 2, cod. pen., ha na prescrittiva ma non assoluta, come chiaramente evidenziato dalla locuzione “ov possibile”, sicché risulta ingiustificato ritenere che la sospensio procedimento con messa alla prova sia necessariamente subordinata all’integral risarcimento del danno: deve, infatti, in concreto verificarsi se il risarcime danno sia o meno possibile, se la eventuale impossibilità derivi da fattori ogg estranei alla sfera di dominio dell’imputato, o se essa discenda dall’imputato in tale ultimo caso, sia relativa o assoluta e riconducibile o meno a con volontarie dell’imputato medesimo, potendo l’impossibilità ritenersi ingiustifi e quindi potenzialmente ostativa alla ammissione alla messa alla prova, solo
tale ultima ipotesi” (Sez. 3, Ordinanza n. 5784 del 26/10/2017 (dep. 2018 ), in motivazione; Sez. 2, n. 15894 del 17/2/2022, n.m.).
Tale approdo giurisprudenziale trova conferma nel dato normativo tant’è che l’art. 141 ter comma 3 disp. att. cod. proc. pen. prevede che l’ U.E.P.E. debba riferire “specificatamente sulle possibilità economiche dell’imputato, sulle capacità e sulla possibilità di svolgere attività riparatorie”. L’art. 464 bis comma 5 cod.proc. pen., ancora, prevede il giudice, ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni, possa acquisire, “tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o a enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione al condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato”.
In relazione al risarcimento del danno, pertanto, il giudizio di adeguatezza che il giudice è chiamato a formulare non può che avere, quali parametri di riferimento, il pregiudizio patrimoniale arrecato alla vittima e le effettive capacità patrimoniali dell’imputato, in modo che la prestazione economica, se non assicuri l’eliminazione del danno cagionato, “rappresenti comunque lo sforzo massimo esigibile dall’imputato alla luce delle sue condizioni economiche ( Sez. 2, n. 34878 del 13/6/2019, COGNOME, Rv. 277070)” ( Sez. 5, n. 16083, 17/3/2023, Narcisi, Rv. 284384 – 01).
Il giudizio di inadeguatezza formulato dai giudici di merito, quindi, si discosta dai canoni di legge in quanto incentrato sul solo rapporto fra danno cagionato e riparazione proposta senza alcuna considerazione per la condizioni economiche dell’imputato.
La non manifesta infondatezza del motivo prospettante la violazione di legge comporta che il decorso del tempo successivo alla data della decisione (4.4.2023) debba essere efficacemente computato ai fini del calcolo del termine complessivo della prescrizione (Sez. U. n. 21 del 22/10/2000, Rv. 217266; più recentemente, Sez. 6, n. 58095, del 30/11/2017, Tornei, Rv. 271965, in motivazione).
Avuto riguardo per i periodi di sospensione intervenuti, determinati dalla Corte territoriale, in aderenza ai dati emergenti dall’incarto processuale, in 244 giorni, i reato risulta estinto per prescrizione alla data del 3/6/2024.
Stante la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. a) cod. proc. pen. P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il residuo reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, in data 13/6/2024.