Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13566 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13566 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato in Egitto il 13/11/1984
avverso la sentenza del 25/6/2024 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile
il ricorso.
8 PPR. 2025
Oggi,
Deposita in Cancelleria
rRIO
NOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25 giugno 2024 la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME nei confronti della sentenza del 14 aprile 2023 del Tribunale di Lecco, con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di quattro mesi di reclusione in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 1 I. n. 475 del 1925 (ascrittogli per avere, in concorso con altri, nel corso dell’esame per il conseguimento della patente di guida, utilizzando un sistema di trasmissione e ricezione audio finalizzato a ottenere suggerimenti utili a rispondere al test informatizzato e a superare la prova, presentato come proprio il questionario d’esame debitamente compilato).
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a due motivi, entrambi relativi al rigetto della istanza di messa alla prova ai sensi dell’art. 168-bis cod pen.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità de motivazione nella parte relativa alla conferma del diniego della suddetta istanza di messa alla prova, in quanto fondata sulla adesione acritica agli argomenti utilizzati dal primo giudice senza considerare i documenti prodotti dall’imputato, tra cui la copia della patente di guida frattanto regolarmente dallo stesso conseguita.
Ha sottolineato che il riconoscimento della propria responsabilità, la cui mancanza era stata posta a fondamento del diniego della ammissione al beneficio, non è richiesto dall’art. 168-bis cod. pen., e che il ricorrente, successivamente alla realizzazione della condotta contestata, aveva conseguito regolarmente l’abilitazione alla guida, in tal modo dimostrando di aver compreso l’erroneità del proprio comportamento e di essersi adeguato alle istanze sociali, ma tale aspetto non era stato affatto considerato dai giudici di merito.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato, sempre a norma dell’art. 606, primo comma, lett. e), cod. proc. pen., un ulteriore vizio della motivazione, sempre con riferimento al rigetto dell’istanza di ammissione alla messa alla prova, che sarebbe stata giustificata con argomenti contraddittori e manifestamente illogici, costituiti dalla gravità della condotta e dalla intensità del dolo (caratterizzato dalla totale assenza di consapevolezza del disvalore della condotta), oltre che dalla assenza di un pronostico favorevole sulla possibilità di recupero sociale dell’imputato e sulla probabilità di reiterazione di reati della stessa specie, anche alla luce delle modalità di realizzazione della condotta, trattandosi di argomenti in contrasto con l’applicazione della pena in misura prossima al minimo edittale e con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, evidenziando l’idoneità della motivazione anche nella parte relativa al rigetto della istanza di messa alla prova e l’insindacabilità ne merito delle valutazioni compiute sul punto dalla Corte d’appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Va, in premessa, rammentato che le Sezioni Unite, nella sentenza COGNOME (Sez. U, n. 36272 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 267238 – 01), nell’occuparsi dei criteri da seguire per individuare i limiti di pena edittale ostativi all’accesso al messa alla prova, hanno, tra l’altro, chiarito che la messa alla prova “realizza una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita e si connota per una accentuata dimensione processuale, che la colloca nell’ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio (Corte cost., n. 240 del 2015). Ma di essa va riconosciuta, soprattutto, la natura sostanziale. Da un lato, nuovo rito speciale, in cui l’imputato che rinuncia al processo ordinario trova il vantaggio di un trattamento sanzionatorio non detentivo; dall’altro, istituto che persegue scopi special-preventivi in una fase anticipata, in cui viene “infranta” la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto. La sospensione del procedimento dà luogo ad una fase incidentale in cui si svolge un vero e proprio esperimento trattamentale, sulla base di una prognosi di astensione dell’imputato dalla commissione di futuri reati che, in caso di esito positivo, determina l’estinzione del reato. Il percorso di “prova” comporta per l’imputato l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato e, se possibile, il risarcimento dei danni in favore della persona offesa, quindi l’affidamento al servizio sociale sulla base di un programma e, infine, la prestazione di un lavoro di pubblica utilità. Il legislatore ha dato impulso ad un profondo ripensamento del sistema sanzionatorio che ancora oggi «gravita tolemaicamente intorno alla detenzione muraria». Il nuovo corso è testimoniato dalla legge n. 67 del 2014, che ha introdotto, tra l’altro, la messa alla prova e la particolare tenuità del fatto. tratta di istituti diretti a contenere l’inflazione penalistica, nel tentativo di ri la crisi della sanzione penale, rendendo possibile il ricorso a reazioni “appropriata alla specificità dei fatti criminosi”, in una concezione gradualistica dell’illeci verso l’obiettivo di una razionalizzazione e laicizzazione del sistema penale attraverso la concentrazione delle risorse disponibili sugli illeciti di maggior significato e una lettura realistica del principio di obbligatorietà dell’azione penale, con la consapevolezza che la pena può non essere la conseguenza ineluttabile di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
ogni reato. Da qui il carattere innovativo della messa alla prova che segna un ribaltamento dei tradizionali sistemi di intervento sanzionatorio. In considerazione delle finalità specialpreventive perseguite dall’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova e, di conseguenza, del soddisfacimento delle esigenze di prevenzione generale tramite un trattamento che conserva i caratteri sanzionatori, seppure alternativi alla detenzione, risulta pertanto plausibile una sua applicazione anche a reati ritenuti astrattamente gravi”.
Nella medesima sentenza le Sezioni Unite hanno ulteriormente chiarito, quanto alla valutazione da compiere in sede di ammissione, che “il giudizio effettivo di ammissione del rito resta riservato alla valutazione del giudice circa l’idoneità del programma trattamentale proposto e la prognosi di esclusione della recidiva: valutazione, questa, che si svolge in base ai parametri dell’art. 133 cod. pen., i quali attengono alla gravità del reato, desunta dalla condotta, dall’entità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa e dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. Ed è proprio questa la fase in cui assume effettivo e concreto rilievo la gravità dell’illecito”.
Tali principi sono stati recepiti dalla giurisprudenza successiva, che ha ulteriormente precisato, a proposito della valutazione da compiere all’atto della ammissione alla prova, che questa è subordinata al vaglio discrezionale del giudice di merito circa la possibilità di rieducazione e di inserimento dell’interessato nella vita sociale ed è espressione di un giudizio prognostico, insindacabile in sede di legittimità· se sorretto da adeguata motivazione, condotto sulla scorta dei molteplici indicatori desunti dall’art. 133 cod. pen., inerenti sia alle modalità della condotta che alla personalità del reo, sulla cui base ritenere che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati (Sez. 6, n. 37346 del 14/09/2022, COGNOME, Rv. 283883 – 01; v. anche Sez. 3, n. 23934 del 11/04/2024, COGNOME, Rv. 286660 – 01).
3. Nel caso in esame la Corte d’appello ha ribadito la correttezza del diniego della ammissione dell’imputato alla prova, condividendo quanto esposto sul punto dal Tribunale di Lecco, a proposito della mancanza di qualsiasi consapevolezza in capo all’imputato medesimo della illiceità e del disvalore della propria condotta (desunta dalla relazione sulla indagine socio – familiare svolta sull’imputato), della assenza di reale volontà di riabilitazione e del carattere esclusivamente utilitaristico e opportunistico della sua istanza, nonché a proposito della inidoneità del programma trattamentale proposto (in quanto privo di connessione con il reato ascrittogli e, di conseguenza, inidoneo a determinare la necessaria sensibilizzazione e presa di coscienza in ordine agli aspetti devianti della condotta), ribadendo l’assenza nell’imputato di reale presa di coscienza dell’illecito e l’indifferenza nei confronti dello stesso.
Si tratta di motivazione idonea a giustificare il diniego della ammissione al beneficio, essendo stati evidenziati in modo chiaro la mancanza di reale volontà di riabilitazione e reinserimento (ricavata dagli esiti della indagine socio – familiare svolta sul conto dell’imputato), il carattere utilitaristico della richiesta e l’inidone del programma di trattamento proposto, che il ricorrente ha censurato esclusivamente sul piano delle valutazioni di merito, contrapponendone una alternativa a quella, concorde e non manifestamente illogica del Tribunale di Lecco e della Corte d’appello di Milano, sostenendo l’avvenuta acquisizione della consapevolezza del disvalore della condotta e l’esistenza di una volontà di riabilitazione e reinserimento: si tratta di censure generiche, non essendo, tra l’altro, stato considerato in modo critico quanto esposto a proposito della inidoneità del programma trattamentale proposto, e non consentite nel giudizio di legittimità, perché si fondano su una diversa considerazione di quanto accertato dai giudici di merito a proposito della mancanza di presa di coscienza del disvalore della condotta, della assenza di volontà di reinserimento e del carattere opportunistico della richiesta, che costituiscono gli indici da considerare nella valutazione della richiesta di ammissione alla prova e che non sono suscettibili di rivalutazione e riconsiderazione nel giudizio di legittimità.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e del contenuto non consentito di entrambe le censure alle quali è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 20/2/2025