Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 23934 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 23934 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PARMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che, riportandosi alla memoria già depositata, ha concluso per l’annullamento della decisione impugnata limitatamente al primo motivo, con assorbimento del secondo, e con rinvio per nuovo esame al giudice di appello.
uditi i difensori, AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO ed AVV_NOTAIO che hanno insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 aprile 2023, la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE del 10 novembre 2020, appellata da COGNOME NOME, che lo aveva condannato, con il concorso di attenuanti generiche, alla pena di 8 mesi di reclusione, riconoscendo i doppi benefici di legge, oltre alle pene accessorie di legge e disponendo la confisca diretta del profitto pari all’ammontare RAGIONE_SOCIALE imposte evase, quantificate in 49.046,94 euro, in subordine da disporsi per equivalente, in quanto ritenuto colpevole del reato di omessa dichiarazione ex art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000, perché, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere VIVA, non presentava la dichiarazione fiscale relativa all’anno 2010.
Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo due motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 168-bis, cod. pen. e 464-bis, cod. proc. pen. e correlato vizio di motivazione, in riferimento all’illegittimità dell’ordinanza predibattimentale di rigetto dell’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova.
In sintesi, si censura anzitutto la ordinanza emessa in data 19.12.2017 dal giudice del dibattimento con cui è stata rigettata l’istanza di ammissione alla messa alla prova, la cui motivazione i giudici di appello avrebbero apoditticamente riproposto senza tener conto RAGIONE_SOCIALE censure specifiche avanzate con l’atto di appello, limitandosi a trascrivere un precedente giurisprudenziale in materia. I giudici territoriali non avrebbero quindi adempiuto all’obbligo di motivare in modo puntuale ed analitico la propria decisione, senza pronunciarsi sulle critiche svolte nell’atto di appello (la circostanza che il tribunale avesse rigettato l’istanza nella fase preliminare del procedimento, prima ancora che l’imputato potesse approfondire e concordare con l’Uepe le modalità con cui eventualmente provvedere all’integrale risarcimento del danno; la circostanza che l’imputato, nell’istanza inoltrata all’Uepe, avesse espresso la propria disponibilità ad azioni di carattere riparatorio/risarcitorio in base a quanto stabilito dal giudice; la circostanza che non fosse stato chiesto all’imputato di manifestala propria disponibilità; la circostanza di aver il giudice errato nel ritenere l’integrale risarcimento del danno condicio sine qua non della concessione della messa alla prova”, nonostante la giurisprudenza richieda che sia il giudice a verificare in concreto la possibilità di risarcire il danno).
La decisione sarebbe, peraltro, censurabile anche in diritto, in quanto contraria al disposto degli artt. 168-bis, cod. pen. e 464-bis, comma 5, cod. proc. pen. Sul punto, si censura la circostanza, da un lato, di aver rigettato l’istanza il primo giudice non all’esito della messa alla prova ma nella fase preliminare del giudizio, ma soprattutto, che i giudici di merito abbiano erroneamente valorizzato come fattore ostativo all’ammissione al beneficio, il risarcimento integrale del danno richiamando una sentenza di questa sezione, la n. 26046/2022. Nel caso di specie, si sostiene, risulterebbe evidente l’illegittimità del diniego all’accesso alla messa alla prova, essendosi valorizzato un profilo, quello dell’integrale risarcimento del danno, che non costituiva presupposto essenziale per la concessione del beneficio, avendolo valutato a priori e senza consentire all’imputato di manifestare in maniera adeguata la propria volontà riparatoria/risarcitoria nella sede a ciò deputata, omettendo peraltro di prendere v considerazione e valutare in concreto le condizioni economiche dello stesso, anche la doverosa attivazione dei penetranti poteri informativi del giudice ex art. 464-bis, cod. proc. pen., come già sottolineato in un precedente di questa stessa sezione richiamato in ricorso, la sentenza n. 3179/2019.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 131-bis, cod. pen. e correlato vizio di motivazione quanto alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis, cod. pen.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata per aver respinto la richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità del fatto di particolare tenuità alla luce RAGIONE_SOCIALE modalità della condotta e gentità della somma evasa. Si tratterebbe di motivazione apparente e comunque erronea, avendo i giudici di appello circoscritto il proprio giudizio esclusivamente sull’entità della somma evasa, omettendo di analizzare i molteplici e decisivi profili sottoposti al suo esame con i motivi di appello (il fatto che soli 15 gg. prima della condotta omissiva, la soglia di punibilità prevista dalla legge fosse superiore all’entità dell’imp bta osta evasa; l’incertezza sull’ammontare dell’imposta evasa; la circostanza r.t&e’A riforma intervenuta nel 2016 a seguito della quale le ASD sono stateGsentate dall’obbligo di presentare la dichiarazione IVA, che renderebbe oggi non più punibile il fatto; l’incensuratezza del ricorrente; l’episodicità e non abitualità dell’omissione; il comportamento processuale dell’imputato; la condotta susseguente al reato). Quanto sopra costituirebbe, peraltro, violazione dell’art. 131-bis, cod. pen., in quanto tale fattore non potrebbe ritenersi autonomamente idoneo a presumere la tenuità o meno del fatto, che richiede una valutazione RAGIONE_SOCIALE peculiarità del caso concreto, richiamando ancora una volta un precedente di questa Sezione, la sentenza n. 3256/2021. In
sostanza, tutti i predetti elementi avrebbero dovuto condurre a ritenere il fatto come connotato da minima offensività ed esiguità del danno.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 22 febbraio 2024, cui si è riportato in sede di discussione orale, ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato oralmente a seguito del tempestivo deposito della richiesta di discussione orale ex art. 24, d.l. n. 137 del 2020 e successive modd. ed integrazioni, è fondato.
Il primo motivo è fondato, con conseguente valenza assorbente del secondo.
I giudici di appello hanno respinto il primo motivo di appello con cui il difensore chiedeva la sospensione del procedimento con messa alla prova in accoglimento dell’impugnazione dell’ordinanza predibattimentale di rigetto del 19.12.2017 richiamando giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 13235/2016), ritenendo che non fosse ravvisabile l’intento dell’imputato di porre in essere condotte riparative, che egli non avesse manifestato la propria disponibilità a risarcire il danno cagionato ed, infine, per essersi limitato a versare all’RAGIONE_SOCIALE una somma palesemente sproporzionata per difetto rispetto all’entità dell’imposta evasa.
3.1. Ritiene questa Corte la erroneità in diritto dell’affermazione operata dalla Corte felsinea e la inadeguatezza motivazionale della sentenza in tal modo redatta.
Il Tribunale, confortato in tale impostazione dalla Corte di appello, ha valorizzato, come fattore ostativo all’ammissione al beneficio, il fatto che l’istanza del COGNOME non fosse accompagnata da una manifestazione di disponibilità dell’imputato a risarcire completamente il danno cagionato all’Erario.
Ritiene la Corte che, in tal modo, i giudici del merito hanno, in sostanza, subordinato la possibilità di essere ammessi al citato beneficio all’avvenuto risarcimento del danno cagionato per effetto del reato contestato. Tale impostazione, di tipo meccanicisticamente retributivo, è priva di fondamento normativo e razio-
nale, come già affermato in un precedente di questa stessa Sezione, correttamente richiamato dalla difesa cui si ritiene di dover dare continuità (Sez. 3, n. 26046 del 05/04/2002, COGNOME, non massimato). Sul punto, ribadisce infatti il Collegio, che, fra le condizioni necessarie ai fini della ammissione alla messa alla prova, il risarcimento del danno cagionato dal reato è indicato solamente con la espressione “ove possibile”, evidenziandosi, con tale espressione non la inammissibilità della istanza laddove, per fattori diversi, ivi compresa la incapienza dell’istante rispetto alla entità del danno cagionato, il risarcimento non sia concretamente praticabile, ma, al contrario, pur essendo auspicabile tale risarcimento, la sua non assunzione a livello di condizione ostativa ove non realizzabile.
In tale senso, infatti, si è espressa anche la giurisprudenza di questa Corte, con espressioni cui pare parimenti del tutto opportuno dare piena continuità, laddove ha chiarito che la valutazione dell’adeguatezza del programma presentato dall’imputato (attività questa che nel caso in esame non risulta che né il Tribunale né la Corte territoriale abbiano in alcun modo compiuto, avendo pregiudizialmente esaminato il profilo della disponibilità al risarcimento del danno) va operata sulla base degli elementi evocati dall’art. 133 cod. pen., in relazione non soltanto all’idoneità a favorire il reinserimento sociale del prevenuto, ma anche all’effettiva corrispondenza alle condizioni di vita dello stesso, avuto riguardo alla previsione di un risarcimento del danno corrispondente, ove possibile, al pregiudizio arrecato alla vittima o che, comunque, sia espressione – in un’ottica che non sia esclusivamente retributiva ma tenda a favorire la riabilitazione, bonis operibus, del prevenuto – della sua disponibilità ad assicurare la prestazione, ai fini ripristinatori, dello sforzo massimo da lui sostenibile alla luce RAGIONE_SOCIALE sue condizioni economiche, che possono essere verificate dal giudice ex art. 464-bis, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 34878 del 13/06/2019, Rv. 277070 – 01).
3.2. Non avendo i giudici del merito compiuto una siffatta verifica e ritenendo, pertanto, questa Corte che la decisione impugnata si presenti viziata sia sotto il profilo della completezza motivazionale sia sotto quello della violazione di legge, avendo la Corte di appello valorizzato, onde confermare la sentenza di fronte ad essa impugnata, profili legislativamente non rilevanti ai fini della accoglibilità o meno della istanza di messa alla prova a suo tempo presentata dal COGNOME, la sentenza impugnata, ferma ed oramai definitivamente accertata sotto il profilo storico la piena attribuibilità all’imputato RAGIONE_SOCIALE condotte delittuose di cu al capo di imputazione a lui contestato, avrebbe dovuto essere annullata con rinvio – limitatamente alla pronunzia con la quale la Corte di appello ha illegittimamente
confermato l’ordinanza con cui il primo giudice aveva respinto la richiesta di ammissione al beneficio in discorso per ritenuto difetto dei presupposti – ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna affinché, in tale sede, il giudice del gravame si fosse potuto pronunciare nuovamente, in applicazione del principio di diritto dianzi enunziato, sulla sussistenza o meno RAGIONE_SOCIALE condizioni per l’eventuale accoglimento della richiesta stessa.
Deve, tuttavia, registrarsi l’intervenuta maturazione del termine di prescrizione del reato, estintosi alla data del 24/02/2023 (dunque in data antecedente al momento in cui gli atti sono pervenuti presso la cancelleria di questa Corte in data 18/10/2023), pur considerando il periodo di sospensione di gg. 421.
L’impugnata sentenza dev’essere, pertanto, annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
L’intervenuto accoglimento del primo motivo, come anticipato, esime questa Corte dall’esaminare quello residuale, da ritenersi pertanto assorbito.
All’annullamento con rinvio per prescrizione, segue, in applicazione dell’art. 578-bis, cod. pen., la revoca della disposta confisca per equivalente disposta nei confronti del COGNOME, posto che tale disposizione, introdotta dall’art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284209 – 01).
Diversamente, deve essere mantenuta la statuizione di confisca diretta del profitto, avente natura ripristinatoria e non sanzionatoria, in quanto questa Corte non deve procedere all’accertamento della responsabilità dell’imputato, posto che la valutazione di responsabilità risulta già essere stata eseguita nella fase di merito, sin dal momento in cui il primo giudice, nel valutare l’ammissibilità dell’istanza di sospensione della messa alla prova, ha pregiudizialmente già ritenuto l’insussistenza RAGIONE_SOCIALE condizioni per l’adozione della formula di proscioglimento ai sensi dell’art. 129, cod. proc. pen., risultando, peraltro, non solo accertata la sussistenza del reato nella sua duplice componente oggettiva e soggettiva, ma anche affermata la responsabilità del ricorrente nel doppio, conforme, grado di giudizio di merito.
P-z-Ì
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Revoca la confisca per equivalente e conferma la confisca in via diretta.
Così deciso, 1’11 aprile 2024
Il Presidente