Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 4936 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 4936 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SARONNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla I. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. con modif. dalla 1.15/22 e successivamente ex art. 94, co. 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come sostituito prima dall’art. 5-duodecies della I. 30.12.2022, n. 199, di conversione in legge del d.l. n. 162/2022) e poi dall’art. 17 del D.L. 22 giugno 2023, conv. con modif. dalla I. 10.8.2023 n. 112, del P.G., in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, che ha chiesto rigettarsi il ricorso e dell’AVV_NOTAIO che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione o comunque l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa dal Tribunale di Corno in data 26/10/2022, NOME COGNOME è stato condannato alla pena di mesi tre di arresto ed euro 1.200 di ammenda – con concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna – oltre al pagamento delle spese processuali e alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di mesi sei in quanto riconosciuto colpevole del reato previsto e punito dall’art. 186, co. 2, lett. B) e comma 2 sexies cod. strada, per aver guidato l’autovettura Lancia Y targata TARGA_VEICOLO, non di sua proprietà, in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche evidenziando un tasso alcolemico pari a 1,49 g/i nella prima prova e 1,51 g/I nella seconda prova, rilevato con strumentazione modello Alcoltest Drager TARGA_VEICOLO matr. ARLJE-0024. Con l’aggravante di cui all’art. 186 co. 2 sexies per aver commesso il fatto in orario notturno dopo le ore 22.00 e prima delle ore 7.00.
In Lomazzo (CO), accertato il 22.9.2018 alle ore 2,15 circa.
Il presente procedimento trae origine da un intervento effettuato dalla RAGIONE_SOCIALE nella notte del 22 settembre 2018, nel territorio comunale di Lomazzo, allorquando, verso le ore 2.15 circa di notte, gli agenti operanti avevano proceduto al controllo dell’autovettura Lancia Y targata TARGA_VEICOLO, identificandone il conducente nell’odierno imputato. Percepito un sentore di vino e avvedutisi che lo stesso presentava “occhi un po’ lucidi”, i poliziotti avevano sottoposto l’uomo ad un accertamento alcolemico con apparecchiatura omologata, acclarando un tasso pari a 1,49 g/I nella prima misurazione e a 1,51 g/i nella seconda.
La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 17/5/2023, sull’appello proposto dall’imputato, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto la pena inflitta al COGNOME a mesi due di arresto ed euro 1100 di ammenda, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, il COGNOME, deducendo, i motivi, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo lamenta violazione di legge ed erronea applicazione della legge con riguardo all’art. 456 co. 2 cod. proc. pen., nonché all’art. 24 Cost e al mancato avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Per il ricorrente la Corte territoriale ha errato nel non dichiarare la nullità d decreto di giudizio immediato, per omessa indicazione dell’avviso, rivolto all’imputato. di poter chiedere ed ottenere la sospensione del procedimento penale con relativa messa alla prova. Proprio sotto tale profilo, la Corte Costituzionale, con la
sentenza del 14/4/2020 n. 19, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 456, co. 2 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Con la sentenza sopra citata, i giudici delle leggi hanno ricordato la propria giurisprudenza circa l’assimilazione della messa alla prova agli altri riti utili a definizione del procedimento in alternativa al modello dibattimentale. Nel contempo, e sull’onda dei rilievi proposti, è stata evocata la giustizia che da lungo tempo qualifica l’accesso ai riti come rilevante modalità di esercizio del diritto di difesa (cfr. sent. nn 237 del 2012, n. 219 del 2004, 148 del 2004 e 497 del 1995.)
Da ciò deriva per il ricorrente una palese violazione del diritto di difesa, in quanto l’imputato non è stato messo nella condizione di poter tutelare la propria posizione.
Con un secondo motivo si denuncia violazione ed erronea applicazione della legge con riguardo agli art. 168 bis cod. pen., nonché del principio del favor rei.
La Corte di Appello di Milano, alla luce delle motivazioni offerte con la sentenza impugnata, sarebbe incorsa in una violazione di legge proprio con riguardo all’istituto della messa alla prova e, di conseguenza, avrebbe applicato una legge non favorevole all’imputato. Ciò in quanto già durante l’istruttoria dibattimentale di primo grado, l’imputato, attraverso la documentazione versata in atti, ebbe a fornire prova delle numerose difficoltà a reperire un ente pronto ad accoglierlo, stante il periodo pandemico in atto. Infine, la difesa ricorda che, in maniera esplicita, con le note difensive depositate in occasione dell’udienza del 17/5/2023, ha avanzato, ancora una volta, richiesta di sospensione del presente procedimento, con relativa applicazione dell’istituto previsto dall’art. 168 bis cod. proc. pen.
La richiesta veniva, altresì, sposata in toto dallo stesso Procuratore Generale, il quale, in seno alla requisitoria scritta del 19/4/2023, con riferimento alla mancata concessione dell’istituto di cui all’art. 168 bis, da parte del giudice di prim grado, così concludeva: «appare che essa possa essere accolta, anche perché comunque più favorevole all’imputato».
In buona sostanza, nella vicenda de qua, la Corte di Appello di Milano avrebbe errato nel disattendere immotivatamente la richiesta di cui sopra, atteso che all’odierno imputato, di certo, andava applicata la legge più favorevole.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Il PG presso questa Corte e il difensore del ricorrente hanno reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
In premessa, in relazione alla lamentata violazione dell’art. 24 Cost., va ricordato che la denuncia di violazione di norme costituzionali o di norme CEDU non integra un caso di ricorso per cassazione a norma dell’art.606 lett. b) cod. proc. pen., ma legittima la proposizione della questione di legittimità costituzionale (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014 dep. 2015, COGNOME Vincenzo, Rv. 261551). Il che non è avvenuto nel caso in esame.
Il principio che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduce la violazione di norme della Costituzione o della CEDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen. e può soltanto costituire fondamento di una questione di legittimità costituzionale è stato anche ribadito di recente (Sez. 2, n. 12623 del 13/12/2019 dep. 2020, Leone, Rv. 279059 che ha sottolineato, quanto alla censura riguardante la presunta violazione della CEDU, che le sue norme, per come interpretate dalla Corte EDU, rivestono il rango di fonti interposte integratrici del precetto di cui all’art. 117, comma 1, Cost. sempre che siano conformi alla Costituzione e compatibili con la tutela degli interessi costituzionalmente protetti).
Orbene, quanto al primo motivo, come rileva correttamente la Corte territoriale nel confutare l’eccezione dì nullità afferente il decreto di giudizio immediato, la Corte costituzionale ha più volte affermato (da ultimo con la sentenza n. 19 del 2020) che «quando il termine entro cui chiedere i riti alternativi è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, la violazione del diritto di difesa (sentenza n. 148 del 2004)) e che, pertanto, «l’omissione dell’avviso qui in considerazione non potrà che integrare una nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.». Tuttavia, in caso di opposizione al decreto penale di condanna con richiesta di giudizio immediato ai sensi dell’art. 464 cod. proc. pen., «il giudice emette decreto a norma dell’art. 456, commi 1, 3 e 5″ (co. 1, primo periodo)». Per cui, escludendo dal novero delle disposizioni applicabili proprio il comma 2 dell’art. 456, la norma impone espressamente l’emissione di un decreto non comprensivo dell’avviso circa la facoltà di accesso a riti alternativi, poiché tale facoltà si esaurisce in sede d opposizione al decreto penale di condanna.
Questa ben precisa intenzione legislativa – come si legge condivisibilmente nella sentenza impugnata- trova conferma nel successivo comma 3 dell’art. 464
cod. proc. pen., in virtù del quale «nel giudizio conseguente all’opposizione, l’imputato non può chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena su richiesta, né presentare domanda di oblazione».
4. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Nel caso di specie, come rileva ancora la Corte lombarda, l’imputato era comunque stato messo in grado di accedere all’istituto della messa alla prova, tanto è vero che aveva formulato la relativa domanda in sede di opposizione a decreto penale di condanna.
Nondimeno, dal chiesto beneficio il COGNOME veniva escluso, giacché non aveva dato mostra di attivarsi concretamente per l’individuazione dell’ente presso il quale svolgere la MAP, disattendendo gli oneri di allegazione contemplati in seno al comma 4 dell’art. 464 bis cod. proc. pen. (in sentenza richiamano all’uopo i verbali delle udienze 3.2.2021 e 8.6.2022), così inibendo al giudice il corretto esercizio del potere discrezionale previsto dal comma 3 dell’art. 464 quater codice procedura penale.
In ogni caso, la reiterazione della richiesta di messa alla prova -come si rileva ancora in sentenza- non ha formato oggetto di specifico motivo d’appello, venendo in luce solamente nelle note conclusive defensionali di data 11 maggio 2023, sempre non accompagnata dall’indicazione dell’ente e del programma.
E’ vero -come si evince ex actis -che con l’opposizione a decreto penale del 5/11/2019 era stata allegata la richiesta avanzata all’UEPE e l’attestazione del 4/11/2009 dell’UEPE stesso, ma, dopo i numerosi rinvii anche a causa del COVID, quell’istanza era stata rigettata dal GIP il 3/2/2021, con la contestuale emissione del decreto di giudizio immediato.
In sede di reiterazione della richiesta in dibattimento, 1’8/6/2022, la nuova istanza di MPA doveva essere accompagnata quanto meno da una nuova richiesta all’UEPE, che, come riconosce anche il difensore nel ricorso, non c’è stata. Ciò giusta la previsione dell’art. 464bis, comma 4, cod. proc. pen. secondo cui «All’istanza è allegato un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l’elaborazione, la richiesta di elaborazione del predetto programma».
Correttamente, pertanto, la richiesta è stata rigettata nel solco della giurisprudenza di legittimità secondo cui è legittimo il rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova motivato dalla mancata produzione del programma di trattamento o, quanto meno, della richiesta della sua elaborazione all’ufficio di esecuzione penale esterna, trattandosi di requisiti di ammissibilità dell’istanza di sospensione ex art. 464-bis cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 9197 del 26/9/2019 dep. 2020 NOME, Rv. 278619 – 01).
In ultimo va rilevato che, ancorchè i fatti di cui all’imputazione risalgano al 22/9/2018, il reato non è prescritto, in quanto occorre considerare un anno e sei mesi di sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado in quanto i fatti si sono realizzati nella piena vigenza del regime della prescrizione come delineato dalla I. 103/2017 (c.d. legge Orlando) con i periodi di sospensione della prescrizione previsti dall’art. 159, comma 2, cod. pen. nel testo introdotto da tale legge (cfr. sul punto Sez. 4 n. 39170/2023).
Al rigetto del ricorso segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 23 gennaio 2024
Il Co ‘igliere este COGNOME re COGNOME
Il Presidente