Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5166 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5166 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Calcinaia 11 18/05/1951
avverso la sentenza del 11/01/2024 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito, per il ricorrente, l’Avv. NOME COGNOME che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 11 gennaio 2024, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Pisa a seguito di giudizio abbreviato, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, ha assolto l’imputato dal reato di cui all’ad 10-bis
(
d.lgs. n. 74 del 2000 perché il fatto non sussiste, ed ha rideterminato la pena in otto mesi e venti giorni di reclusione, ritenuta la continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche e applicata la diminuente per il rito.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, NOME COGNOME in qualità di legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE, avrebbe omesso di versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta per i periodi di imposta: 1) 2014, per una somma ammontante a 400.000 euro, entro il 28 dicembre 2015 (capo 1); 2) 2015, per una somma ammontante a 1.364.894 euro, entro il 27 dicembre 2016 (capo 2, lettera a); 3) 2016, per una somma ammontante a 1.250.002 euro, entro il 27 dicembre 2017 (capo 2, lettera b); 4) 2017, per una somma ammontante a 664.104 euro, entro il 27 dicembre 2018 (capo 4).
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME COGNOME articolando un unico motivo.
Con il motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 168-bis cod. pen. e 464-bis cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo al rigetto della richiesta di ammissione alla messa alla prova.
Si deduce, in primo luogo, che la Corte di appello, nel confermare l’ordinanza di rigetto di applicazione dell’istituto della messa alla prova, si è limitata richiamare le considerazioni fatte dal giudice di primo grado in merito all’impossibilità di formulare una prognosi favorevole di astensione dell’imputato dal commettere altri reati della stessa specie, senza valutare gli argomenti esposti dalla difesa. Si segnala, in particolare, che la difesa aveva rappresentato che: a) la previsione di cui all’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. consente all’imputato di fruire del beneficio nonostante gli vengano contestati più reati nell’ambito del medesimo procedimento o più violazioni del medesimo reato (si cita Corte Cost., sent. n. 174 del 2022); b) ai fini del diniego della messa alla prova non è sufficiente il richiamo dei precedenti penali a carico dell’imputato, ma occorre svolgere una indagine in merito alla loro rilevanza; c) ricorre una radicale eterogeneità tra i reati per cui si procede e quelli oggetto delle precedenti condanne, siccome relativi ad un delitto colposo, ad una contravvenzione e ad un reato in materia di immigrazione, con conseguente non configurabilità dei presupposti dell’istituto dell’abitualità nel reato a carico dell’attuale ricorrente; d) il giudizio prognostico recidiva, per sua natura, deve riguardare le condotte future e non quelle passate, e quindi non può essere fondato in modo assorbente sui precedenti penali; e) la giurisprudenza di legittimità esclude efficacia ostativa, ai fini della concessione della messa alla prova, alla sussistenza di un precedente penale.
Si deduce, poi, che la Corte ha omesso di confrontarsi adeguatamente con í parametri indicati dall’art. 133 cod. pen., e più precisamente con: a) i motivi che hanno spinto il soggetto a delinquere, ricorrendo nella specie la finalità di garantire ai dipendenti il pagamento dello stipendio; b) la condotta susseguente al reato, e, in particolare, il versamento all’Erario della somma di 45.526,80 euro, la quale, rapportata alle condizioni economiche dell’imputato, costituiva il massimo impegno economico per lui possibile; c) le condizioni di vita del reo, in specie per l’età ultrasettantenne, e per le gravi difficoltà economiche, dimostrate anche dal pignoramento della sua abitazione.
Si deduce, ancora, che la Corte, nel negare il beneficio anche per l’inadeguatezza del programma di trattamento, è incorsa in un travisamento del fatto, perché, diversamente da quanto essa afferma, detto programma non è mai stato elaborato, avendo l’imputato chiesto al giudice di primo grado di elaborarlo. Si rileva, inoltre, che il giudice, a fronte di un programma ritenuto inidoneo a realizzare lo scopo rieducativo, può modificarne o integrarne il contenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
Manifestamente infondate sono le censure esposte nell’unico motivo di ricorso, le quali contestano il rigetto della richiesta di ammissione alla mesa alla prova, deducendo che detta statuizione è illegittimamente fondata sulla affermazione dell’impossibilità di formulare una prognosi favorevole di astensione dell’imputato dal commettere altri reati della stessa specie, senza valutare gli argomenti esposti dalla difesa e gli elementi acquisiti agli atti, nonché sull’inesatta affermazione dell’inidoneldel programma proposto, in realtà mai elaborato.
2.1. Ai fini dell’esame delle censure, occorre procedere ad alcune precisazioni di carattere generale.
Innanzitutto, come già precisato dalla giurisprudenza, in tema di sospensione del processo per la messa alla prova dell’imputato, il giudice che rigetti l’istanza di sospensione sul presupposto dell’impossibilità di formulare una prognosi favorevole in ordine all’astensione dell’imputato dal commettere ulteriori reati non è tenuto a valutare anche il programma di trattamento presentato (così Sez. 4, n. 8158 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 278602 – 01).
Si tratta di un principio cui il Collegio intende dare continuità perché coerente con il dato normativo. In particolare, infatti, l’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen., prevede: «La sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in relazione ai parametri di cui all’articolo 133 del codice penale,
reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato di asterrà dal commettere ulteriori reati. ». Questa formulazione linguistica evidenzia con chiarezza che la prognosi favorevole in ordine all’astensione dell’imputato dal commettere ulteriori reati costituisce, di per sé, autonoma condizione necessaria perché possa essere disposta dal giudice la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Occorre poi aggiungere, riprendendo quanto precisato da altre decisioni, che non solo l’ammissione dell’imputato maggiorenne alla messa alla prova è subordinata al vaglio discrezionale del giudice di merito circa la possibilità di rieducazione e di inserimento dell’interessato nella vita sociale, ma anche che tale vaglio è espressione di un giudizio prognostico, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione, condotto sulla scorta dei molteplici indicatori desunti dall’art. 133 cod. pen., inerenti sia alle modalità della condotta che alla personalità del reo, sulla cui base ritenere che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati (cfr., in particolare, Sez. 6, n. 37346 del 14/09/2022, COGNOME, Rv. 283883 – 01, ma anche Sez. 4, n. 9581 del 26/11/2015, dep. 2016, Quiroz, Rv. 266299 – 01).
2.2. La sentenza impugnata ha spiegato in modo dettagliato perché ritiene che l’imputato, attuale ricorrente, non possa essere ammesso al procedimento della messa alla prova.
La Corte d’appello ha in primo luogo evidenziato che non può formularsi alcuna prognosi positiva né in ordine all’osservanza delle prescrizioni di cui al progetto di messa alla prova presentato, né alla esclusione del concreto ed attuale pericolo di recidiva.
A tal fine, il Giudice di secondo grado ha valorizzato: a) la pluralità dei reati oggetto della sentenza di condanna e la loro protrazione e continuità nel tempo, siccome costituiti dall’omesso versamento di IVA per ben quattro anni; b) la gravità dei fatti, in quanto gli omessi versamenti dell’IVA attengono ad un imponente importo complessivo, pari ad oltre tre milioni e mezzo di euro (400.000,00 euro per l’anno 2014, 1.364.894,00 per l’anno 2015, 1.250.002,00 euro per l’anno 2016, e 664.104,00 euro per l’anno 2017); c) i precedenti penali dell’imputato, relativi a tre precedenti penali, collocati tra il 1979 ed il 2011, e pe due dei quali è stata anche concessa la sospensione condizionale della pena.
Ha inoltre aggiunto che l’imputato non si è offerto di compiere condotte riparatorie, perché si è soltanto limitato a proporre un ristoro per importi assolutamente contenuti, senza nemmeno rappresentare l’impegno a svolgere una concreta e significativa attività a beneficio della collettività.
2.3. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi.
Invero, la Corte d’appello ha indicato elementi precisi e congrui dai qu desumere l’impossibilità di formulare una prognosi positiva in ordine alla fut astensione dell’imputato da ulteriori condotte delittuose.
E tanto è sufficiente ad escludere ogni rilevanza al lamentato travisament della prova circa l’elaborazione del programma; peraltro, nessun travisament della prova è ipotizzabile in ordine a tale profilo, perché la sentenza impugna è limitata semplicemente ad indicare quali sono le condotte riparatorie propos dall’imputato nel corso del procedimento.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna d ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favo della cassa delle ammende, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende.
Così deciso il 20/11/2024.