Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6978 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 6978 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal PM presso il Tribunale di Sassari, nel procedimento a carico di NOME NOME nata in Madagascar il 17/7/1999, contro l’ordinanza del Tribunale di Sassari del 3/10/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Sassari ha disposto la sospensione del processo e la messa alla prova, per un periodo di sei mesi, di NOME COGNOME (imputata per il reato di appropriazione indebita aggravata), dettando le relative prescrizioni e rinviando, per la valutazione della relazione conclusiva, all’udienza del 10/6/2025;
contro
il provvedimento del Tribunale ricorre per cassazione il Pubblico Ministero denunziando l’inadeguatezza del programma presentato dall’imputata quanto al profilo della eliminazione delle conseguenze dannose del reato – ai sensi dell’art. 168-bis, comma 2, cod. pen. – segnalando, in particolare, la previsione di un impegno risarcitorio nettamente inferiore al profitto conseguito dal reato e l’assenza di ogni accertamento sulle reali condizioni economiche dell’imputata: rileva, infatti, che il provvedimento impugnato non si è conformato al principio che impone all’imputato di attivarsi nella misura maggiore possibile per elidere le conseguenze dannose del reato ed al giudice di effettuare accertamenti sul punto alla luce delle sue reali capacità patrimoniali;
la Procura Generale ha trasmesso la sua requisitoria scritta concludendo per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME era stata tratta a giudizio per rispondere del delitto di appropriazione indebita aggravata in quanto ” al fine di procurarsi un ingiusto profitto, quale collaboratrice della ditta RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, effettuava indebitamente, attraverso il sistema di home banking, n. 31 bonifici verso il proprio conto corrente, appropriandosi della somma complessiva di euro 44.267,91 …” (cfr., così., l’imputazione).
Con provvedimento del 03/10/2024, il Tribunale di Sassari ha sospeso il processo instaurato nei confronti dell’imputata che ha ammesso alla prova per un periodo di mesi sei rinviando all’udienza del 10/06/2025 per la valutazione della relazione conclusiva.
Il giudice ha disposto che l’imputata si attenga al programma elaborato dall’UEPE che, come si rileva dall’esame degli atti, al punto 5., prevede l’impegno “… in un’azione risarcitoria nei confronti della persona offesa NOME di euro 1.000,00 …”.
Questa Corta ha in più occasioni avuto modo di affrontare la questione, posta dal ricorrente, della sindacabilità del provvedimento di sospensione con
messa alla prova laddove, come si assume nel caso di specie dal PM ricorrente, adottato in violazione dei presupposti richiesti dal codice di rito.
Più in particolare, il problema era stato affrontato da Sez. 2, n. 34878 del 13/06/2019, COGNOME Rv. 277070-01 che aveva esaminato una fattispecie del tutto simile a quella che ci occupa.
Nell’occasione, si era ribadito, in primo luogo, che la messa alla prova non rappresenta un diritto assoluto dell’imputato “… in quanto la relativa richiesta può trovare accoglimento solo nel caso in cui il giudice al quale viene rivolta, all’esito di un percorso valutativo da effettuare alla luce dei parametri fissati dall’art. 133, cod. pen. , come espressamente previsto dall’art. 464 quater, co. 3, cod. proc. pen.” (cfr., Sez. 5, n. 7983 del 26/10/2015, Matera, Rv. 256256-01, conf., Sez. 6,n. 37346 del 14/09/2022, Boudraa Rv. 283883 – 01); era stato segnalato che “l’uso della congiunzione rende evidente che nell’esercizio del suo potere discrezionale il giudice dovrà valutare, avendo sempre come punto di riferimento la gravità del reato e la capacità a delinquere del prevenuto, sia l’idoneità del programma di trattamento, sia la possibilità di formulare una prognosi favorevole nei confronti dell’imputato sulla circostanza che egli per il futuro si asterrà dal commettere ulteriori reati, previsione quest’ultima che, nel rifarsi alla formulazione dell’art. 164, co. 1, cod. pen. (con l’unica rilevante differenza che la valutazione riguarda la persona dell’imputato e non del “colpevole”), accomuna la causa di estinzione del reato di nuovo conio alla sospensione condizionale della pena, di cui all’art. 163, cod. pen..” (cfr., in motivazione della sentenza “Matera”).
3. L’art. 464-bis, comma 4, cod. proc. pen. prevede che la richiesta formulata dall’imputato deve essere corredata di un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l’elaborazione, la richiesta di elaborazione del programma, contenente le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile; il programma o la richiesta debbono inoltre contenere le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovver all’attività di volontariato di rilievo sociale.
Il successivo art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen., stabilisce che la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice,
in base ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati.
In questo quadro rileva l’art. 168-bis, terzo comma, cod. pen., laddove si prevede che “la concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in un prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore”.
Di particolare rilievo è stato infine considerato il disposto di cui all’art. 464 bis comma 5 cod. proc. pen. secondo cui “al fine di decidere sulla concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica de/l’imputato …”.
Si era pertanto affermato che il complesso delle norme sopra richiamate consente di concludere nel senso che la valutazione del giudice debba investire la “adeguatezza” del programma presentato dall’imputato, che va verificato sia sotto il profilo della sua idoneità a favorire il suo reinserimento sociale ma, anche, della sua effettiva corrispondenza alle condizioni di vita del prevenuto; in altri termini, la “adeguatezza” del programma deve essere indagata anche sotto il profilo dell’essere esso espressione dell’apprezzabilità dello sforzo sostenuto dall’imputato per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato e risarcire il danno.
In quest’ottica, come si era sottolineato, l’inciso “ove possibile”, contenuto nel comma 2 dell’art. 168-bis cod. pen., evocato dal giudice di merito, deve essere letto nel senso che il risarcimento del danno deve corrispondere “ove possibile” al pregiudizio patrimoniale arrecate alla vittima sicché, ove esso non sia tale, deve comunque essere la espressione dello sforzo “massimo” pretendibile dall’imputato alla luce delle sue condizioni economiche che il giudice ha la possibilità di verificare con i propri poteri ufficiosi.
D’altra parte, si era detto, la adeguatezza del programma deve essere valutata anche sotto il profilo della sua “coerenza” con la gravità del fatto sia dal
punto di vista oggettivo che dal punto di vista soggettivo, considerando che il lavoro di pubblica utilità rappresenta una sanzione sostitutiva di tipo prescrittivo dotata di una necessaria componente afflittiva la cui durata massima non è stata oggetto di previsione normativa e deve allora essere valutata dal giudice alla luce di un criterio di “proporzionalità” con i fatti di reato alla stregua degli indici det dall’art. 133 cod. pen. per la commisurazione della pena (cfr., Cass. Pen., 3, 19.9.2017 n. 55.511, COGNOME, Rv. 272066-01; cfr., anche, Sez. 6, n. 44646 del 01/10/2019, Evangelista, Rv. 277216 – 01
Nella stessa prospettiva, il giudice è tenuto a valutare la “adeguatezza” della condotta risarcitoria che, pur non richiedendo l’integrale ristoro del danno subito dalla persona offesa, non può non avere, quale parametro di riferimento, il pregiudizio patrimoniale arrecato alla vittima e, per contro, le effettive capacità patrimoniali dell’imputato.
A tal fine, come si è detto, il legislatore ha avuto la accortezza di predisporre dei poteri di indagine da attivare nei termini e con le modalità previste dalle disposizioni sopra richiamate e cui il giudice, a fronte (come nel caso di specie) di una manifesta “sproporzione” tra il danno patrimoniale cagionato e l’offerta risarcitoria, potrà (ed anzi dovrà) far ricorso al fine per l’appunto di verificare l “adeguatezza” del risarcimento quale effettiva e reale espressione di uno sforzo apprezzabile e concreto dell’imputato, anche alla luce della “sorte” degli importi di cui egli si sarebbe indebitamente appropriato. .
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Tanto premesso, rileva il collegio che il Tribunal limitato a recepire il programma proposto dalla Terzitta che, come si è accennato, aveva previsto una offerta risarcitoria pari ad Euro 1.000 a fronte di un pregiudizio patrimoniale complessivo di ammontare pari a quasi 45.000 Euro; per ritenere ammissibile e meritevole di accoglimento la richiesta, il giudice avrebbe dovuto allora attivare i propri poteri di indagine proprio al fine di verificare la effettività delle condizi economiche e patrimoniali dell’imputata e valutare, a quel punto, se quella somma fosse espressione del “massimo sforzo” pretendibile e, per questa ragione, apprezzabile.
In tal senso, a partire dalla sentenza “COGNOME“, richiamata in precedenza, si è conformata la giurisprudenza di questa Corte con una pluralità di decisioni tutte univoche nel ribadire che il giudizio sull’adeguatezza del programma dev’essere effettuato alla stregua dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., tenendo conto non solo dell’idoneità a favorire il reinserimento sociale dell’imputato, ma anche dell’effettiva corrispondenza alle sue condizioni di vita, attesa la previsione di un risarcimento del danno che, ove possibile, corrisponda al pregiudizio dal predetto recato alla vittima o sia, comunque, espressione del massimo sforzo sostenibile in base alle sue condizioni economiche, verificabili dal
giudice ai sensi dell’art. 464-bis, comma 5, cod. proc. pen. (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 23934 del 11/04/2024, COGNOME, Rv. 286660 – 01 e, tra le non massimate, Sez. 3, n. 38489 del 14.6.2024, COGNOME; Sez. 3, n. 29750 del 13.6.2024, COGNOME; Sez. 3, n. 29511 del 28.5.2024, COGNOME; Sez. 3, n. 239234 dell’11.4.2024, COGNOME; Sez. 7, n. 22121 del 23.4.2024, COGNOME; Sez. 6, n. 17313 del 12.3.2024, COGNOME; Sez. 2, n. 9966 del 16.2.2024, COGNOME; Sez. 2, n. 44850 dell’11.10.2023, COGNOME; Sez. 4, n. 31884 del 12.7.2023, COGNOME; Sez. 4, n. 18291 del 23.2.2023, COGNOME).
Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
P.Q.M.
annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sassari.
Così deciso in Roma, il 9.1.2025