LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Messa alla prova: l’adeguatezza del risarcimento

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di messa alla prova per un’imputata di appropriazione indebita. La Corte ha ritenuto l’offerta risarcitoria di 1.000 euro manifestamente sproporzionata rispetto al danno di oltre 44.000 euro. Il principio chiave è che il giudice, prima di concedere la messa alla prova, deve verificare l’adeguatezza del programma e accertare che l’offerta risarcitoria rappresenti il massimo sforzo possibile per l’imputato, indagando sulle sue reali condizioni economiche.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Messa alla prova: il risarcimento del danno deve essere adeguato e non simbolico

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di messa alla prova: l’adeguatezza del programma proposto dall’imputato, con particolare riguardo all’offerta risarcitoria, deve essere attentamente valutata dal giudice. Non è sufficiente una somma simbolica, ma è necessario uno sforzo concreto e proporzionato alle reali capacità economiche dell’imputato, anche se non copre l’intero danno. Analizziamo insieme la decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un’imputata accusata del reato di appropriazione indebita aggravata. Nello specifico, le veniva contestato di aver effettuato, in qualità di collaboratrice di un’azienda, ben 31 bonifici non autorizzati dal conto corrente aziendale al proprio, per una somma complessiva di quasi 45.000 euro.

Il Tribunale di Sassari aveva accolto la richiesta dell’imputata di sospensione del procedimento con messa alla prova. Il programma, elaborato con l’ausilio dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE), prevedeva, tra le varie prescrizioni, un impegno risarcitorio nei confronti della persona offesa pari a soli 1.000 euro.

Il Ricorso del Pubblico Ministero e la questione della messa alla prova

Contro questa ordinanza, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per cassazione, lamentando l’inadeguatezza del programma, soprattutto sotto il profilo della riparazione del danno. Il ricorrente ha evidenziato la netta sproporzione tra l’entità del profitto illecito (circa 45.000 euro) e l’offerta risarcitoria (1.000 euro).

Il punto centrale del ricorso era la violazione del principio secondo cui l’imputato deve attivarsi nella “misura maggiore possibile” per eliminare le conseguenze dannose del reato. Inoltre, si contestava al giudice di merito di aver omesso qualsiasi accertamento sulle reali condizioni patrimoniali dell’imputata, un passaggio cruciale per valutare la congruità dell’offerta.

Le Motivazioni della Cassazione sull’adeguatezza del programma

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente le argomentazioni del Pubblico Ministero, annullando l’ordinanza e rinviando il caso al Tribunale per un nuovo esame.

I giudici di legittimità hanno chiarito che la valutazione sull’idoneità del programma di messa alla prova è un’attività complessa che il giudice deve svolgere con particolare rigore. Questa valutazione non si limita a una prognosi sulla futura astensione dell’imputato dal commettere reati, ma deve investire l'”adeguatezza” complessiva del programma. Tale adeguatezza va misurata su due fronti:

1. Idoneità al reinserimento sociale: il programma deve essere strutturato per favorire un percorso rieducativo.
2. Corrispondenza alle condizioni di vita del prevenuto: il programma, incluse le condotte riparatorie, deve essere espressione di un apprezzabile sforzo da parte dell’imputato.

La Corte ha sottolineato che, sebbene l’articolo 168-bis del codice penale preveda il risarcimento del danno “ove possibile”, ciò non significa che l’imputato possa liberarsi con un’offerta meramente simbolica. Il risarcimento deve rappresentare il “massimo sforzo” pretendibile dall’imputato alla luce delle sue reali condizioni economiche. A fronte di una manifesta sproporzione tra il danno e l’offerta, il giudice ha il potere e il dovere di attivare i propri poteri istruttori, come previsto dall’articolo 464-bis, comma 5, del codice di procedura penale, per acquisire informazioni sulla situazione personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato.

Nel caso specifico, il Tribunale si era limitato a recepire il programma senza svolgere alcuna indagine, nonostante l’enorme divario tra il danno patrimoniale e la somma offerta a titolo di risarcimento.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto chiaro: la concessione della messa alla prova non è un automatismo. Il giudice deve effettuare un giudizio sull’adeguatezza del programma che tenga conto non solo dell’idoneità a favorire il reinserimento sociale dell’imputato, ma anche dell’effettiva corrispondenza del suo impegno risarcitorio alle sue concrete condizioni di vita. Un’offerta risarcitoria irrisoria rispetto al danno, se non giustificata da un’accertata e totale incapacità patrimoniale, non può essere considerata adeguata e non consente l’accesso a questo importante istituto deflattivo del processo penale.

È sempre necessario il risarcimento integrale del danno per accedere alla messa alla prova?
No, la legge non richiede il risarcimento integrale del danno. Tuttavia, la condotta risarcitoria deve essere espressione del “massimo sforzo” sostenibile dall’imputato, valutato in base alle sue effettive condizioni economiche e patrimoniali, che il giudice ha il dovere di verificare.

Cosa deve fare il giudice se l’offerta di risarcimento per la messa alla prova appare manifestamente troppo bassa?
Di fronte a una manifesta sproporzione tra il danno causato e l’offerta risarcitoria, il giudice non può limitarsi a recepire il programma. Deve, invece, attivare i propri poteri di indagine per verificare le reali condizioni economiche dell’imputato e valutare se l’offerta rappresenta un impegno concreto e apprezzabile.

La messa alla prova è un diritto assoluto dell’imputato?
No, non è un diritto assoluto. La sua concessione è subordinata a una valutazione discrezionale del giudice, il quale deve ritenere idoneo il programma di trattamento presentato e formulare una prognosi favorevole sulla circostanza che l’imputato si asterrà dal commettere futuri reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati