Messa alla Prova e Ricorso in Cassazione: Quando il Ricorso è Inammissibile
La messa alla prova è uno strumento cruciale nel nostro ordinamento, che offre una possibilità di estinzione del reato senza arrivare a una condanna. Tuttavia, la sua violazione comporta conseguenze serie, come dimostra una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il caso analizzato chiarisce i limiti del ricorso in sede di legittimità quando i motivi sono una semplice riproposizione di argomentazioni già esaminate e respinte, fornendo importanti spunti sulla valutazione della condotta dell’imputato e dei suoi precedenti.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dal ricorso presentato da un individuo contro una sentenza della Corte d’Appello. L’imputato era stato condannato per il reato di evasione (art. 385 c.p.) in seguito alla violazione delle prescrizioni imposte dal programma di messa alla prova a cui era stato ammesso.
Nel suo ricorso alla Corte di Cassazione, l’imputato lamentava un’erronea applicazione della legge e vizi di motivazione riguardo sia all’affermazione della sua responsabilità penale sia al trattamento sanzionatorio ricevuto, inclusa la mancata concessione di attenuanti.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito delle questioni sollevate, ma si ferma a un livello preliminare, stabilendo che il ricorso non possedeva i requisiti necessari per essere esaminato. La Corte ha ritenuto che i motivi presentati non fossero altro che una replica di censure già adeguatamente valutate e respinte con argomenti giuridici corretti dal giudice di secondo grado.
Le Motivazioni dietro l’Inammissibilità del Ricorso sulla Messa alla Prova
L’ordinanza della Cassazione si fonda su diversi pilastri argomentativi che meritano un’analisi approfondita per comprendere la logica del sistema giudiziario in questi casi.
Reiterazione dei Motivi come Causa di Inammissibilità
Il punto centrale della decisione è che il ricorso non introduceva nuovi profili di illegittimità, ma si limitava a riproporre le stesse doglianze già esaminate e rigettate dalla Corte d’Appello. In sede di legittimità, non è possibile chiedere alla Cassazione un nuovo giudizio sui fatti, ma solo contestare eventuali errori di diritto commessi dai giudici dei gradi precedenti. La semplice riproposizione degli stessi argomenti, senza evidenziare un vizio specifico della sentenza impugnata, rende il ricorso inammissibile.
La Violazione Concreta del Programma di Prova
La Corte ha sottolineato come la Corte territoriale avesse correttamente individuato l’inadempimento di specifici punti del programma di messa alla prova. Questa reiterata trasgressione delle prescrizioni era sufficiente a concretizzare la condizione per la revoca del beneficio e la ripresa del processo penale, che si è poi concluso con una condanna per evasione. Inoltre, è stato ribadito un principio consolidato: le motivazioni o le mere intenzioni che spingono l’imputato a violare le prescrizioni sono irrilevanti ai fini del giudizio.
Il Ruolo dei Precedenti Penali
Un altro aspetto fondamentale riguarda il diniego di due importanti benefici: la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) e le attenuanti generiche. La Corte ha ritenuto logica e corretta la decisione dei giudici di merito di negare tali benefici a causa dei precedenti penali dell’imputato. Questi precedenti, secondo la Corte, rivelavano una chiara “propensione dello stesso all’inosservanza del provvedimento dell’autorità pubblica”, un elemento ostativo all’applicazione di misure di favore che richiedono una valutazione complessiva positiva della personalità del reo.
La Logicità del Trattamento Sanzionatorio
Infine, anche le censure relative alla pena inflitta sono state respinte. La sentenza impugnata è stata giudicata sorretta da una motivazione sufficiente e non illogica. La pena era stata fissata al minimo edittale, e il diniego delle attenuanti generiche era stato giustificato con le stesse ragioni utilizzate per escludere la tenuità del fatto, ovvero i precedenti penali e la personalità dell’imputato.
Conclusioni
L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, un ricorso in Cassazione deve essere tecnicamente ben costruito e deve sollevare vizi di legittimità specifici, non potendosi limitare a una sterile riproposizione delle argomentazioni già sconfessate in appello. In secondo luogo, la valutazione della personalità dell’imputato, desunta anche dai suoi precedenti penali, assume un’importanza decisiva non solo nell’ambito della messa alla prova, ma anche nella concessione di benefici come la particolare tenuità del fatto e le attenuanti generiche. La propensione a violare le regole imposte dall’autorità giudiziaria è un fattore che può precludere l’accesso a qualsiasi trattamento di favore.
È possibile presentare in Cassazione gli stessi motivi di ricorso già respinti in Appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il ricorso è inammissibile se si limita a replicare profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dal giudice di merito, senza presentare nuove questioni di legittimità.
I precedenti penali di un imputato possono impedirgli di ottenere benefici come la particolare tenuità del fatto?
Sì, secondo l’ordinanza, i precedenti penali possono rivelare una “propensione all’inosservanza del provvedimento dell’autorità pubblica” e costituire una ragione valida per negare l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) e delle attenuanti generiche.
In caso di violazione della messa alla prova, le intenzioni o le motivazioni personali dell’imputato sono rilevanti?
No, la Corte ha ribadito l’orientamento secondo cui non rilevano i motivi posti a base della condotta di allontanamento o di violazione del programma. Ciò che conta è il dato oggettivo della trasgressione delle prescrizioni imposte.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21376 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21376 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CAMPOBASSO il 31/12/1977
avverso la sentenza del 26/09/2024 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe;
esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che il ricorso è inammissibile perché i motivi prospettati (con cui sono stati dedotti l’erronea applicazione dell’art. 464-septies cod. proc. pen. nonché vizi della motivazione sull’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 385 cod. pen. e sul trattamento sanzionatorio) non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità in quanto replicano profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito (cfr. pagine della sentenza impugnata da 4 a 7);
considerato, in particolare, che la Corte territoriale ha precisato che erano rimasti inadempiuti i punti 1, 3 e 5 del programma di messa alla prova e, dunque, poteva dirsi concretata la condizione della reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte;
rilevato che nella sentenza impugnata si richiama correttamente l’orientamento di legittimità secondo cui non rilevano i motivi posti a base della condotta di allontanamento, men che meno potrebbero avere rilievo delle mere intenzioni;
considerato, inoltre, che il Collegio di appello – con argomentazioni logiche e corrette – ha evidenziato che non poteva applicarsi la disciplina della particolare tenuità del fatto, principalmente a causa dei precedenti penali, che disvelavano la propensione dello stesso all’inosservanza del provvedimento dell’autorità pubblica;
considerato, infine, che la sentenza impugnata risulta sorretta da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive anche in ordine al trattamento sanzionatorio (la pena è stata ridotta al minimo edittale e le attenuanti generiche non sono state riconosciute per le stesse ragioni poste a base del diniego dell’art. 131-bis cod. pen.);
rilevato che con la memoria depositata il ricorrente ha reiterato le deduzioni svolte nel ricorso, sicché possono reiterarsi le argomentazioni innanzi esposte;
pertanto, che alla declaratoria di inammissibilità consegue la ritenuto,
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ìlo ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 5/5/2025.