Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 31846 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 31846 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia;
nei confronti di:
NOME NOMECOGNOME nato a Crema (Cr) il 22 luglio 1968;
avverso la sentenza n. 1042/2024 RGSent. del Tribunale di Cremona del 25 novembre 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
letta, altresì, la memoria dell’avv. NOME COGNOME del foro di Cremona, il quale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Avendo il Tribunale di Cremona, con sentenza pronunziata in data 25 novembre 2024, dichiarato, ai sensi dell’art. 464-septies cod. proc. pen., non doversi procedere nei confronti di NOMECOGNOME COGNOME, imputato del reato di cui all’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000, per avere lo stesso, in relazione agli ann imposta 2016 e 2017, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, omesso di presentare, al fine di evadere le imposte, la dichiarazione dei redditi, in tale modo sottraendosi al pagamento sia della imposta sui redditi che di quella sul valore aggiunto per importi superiori alle previste soglie d punibilità, in quanto lo stesso, ammesso alla prova con ordinanza del 19 giugno 2023 (con la quale era stata contestualmente disposta la sospensione del procedimento penale), aveva positivamente svolto i lavori di pubblica utilità previsti nel programma predisposto per l’Alberti dal competente UEPE, di tal che i reati a luì contestati dovevano essere dichiarati estinti.
Avverso tale sentenza ha interposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia, lamentando la circostanza che, sebbene l’Ufficio da lui rappresentato sia legittimato ad impugnare la ordinanza con la quel è stata disposta l’ammissione dell’imputato alla messa alla prova, esso, quanto al caso di specie non era stata informato della ordinanza in questione; si imponeva, pertanto, ora la impugnazione della sentenza con la quale, ritenuto il positivo espletamento della condotte previste in occasione della messa alla prova, il prevenuto era stato prosciolto.
Tanto premesso l’Ufficio inquirente distrettuale osservava che il programma di messa alla prova predisposto in ordine alla posizione dell’COGNOME non aveva previsto in alcuna misura la restituzione all’Erario dell’importo delle imposte non versate, sebbene non fosse stato verificato dall’Ufficio giudicante il fatto, allegato dall’imputato, che questi, per le sue condizioni economiche non era in condizione di restituire l’importo delle imposte da lui non versate.
In data 26 marzo 2025 l’COGNOME, tramite il suo difensore fiduciario, ha fatto pervenire una memoria scritta, attraverso la quale egli si è opposto all’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto non è fondato e, pertanto, esso deve essere rigettato.
Deve, preliminarmente, osservarsi che l’impugnazione presentata dalla ricorrente Procura generale è astrattamente ammissibile; come, infatti, questa
Corte, nella sua massima espressione nomofilattica, ha statuito, il Procuratore generale presso la Corte di appello è legittimato ad impugnare con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all’art. 606 cod. proc. pen., l’ordinanza ammissione alla prova di cui all’art. 464-bis cod. proc. pen., ritualmente comunicatagli, mentre, in caso di omessa comunicazione della stessa, è legittimato ad impugnare quest’ultima insieme alla sentenza di estinzione del reato (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 6 aprile 2023, n. 14840, rv 284273).
Poiché nella presente fattispecie non risulta che la ordinanza con la quale l’COGNOME è stato ammesso alla messa alla prova sia stata comunicata alla Procura generale, ne deriva che sia astrattamente ammissibile l’impugnazione avverso il provvedimento con il quale, rilevato il positivo superamento della prova, l’imputato è stato prosciolto, sebbene i motivi di impugnazione riguardino i criteri sulla base dei quali il prevenuto è stato, appunto, ammesso alla misura clemenziale e non immediatamente le ragioni per le quali è stato adottato il provvedimento dichiarativo della avvenuta estinzione del reato.
Ciò rilevato, si osserva che, per costante giurisprudenza di questa Corte l’ammissione dell’imputato alla messa alla prova è subordinata al vaglio discrezionale del giudice del merito circa la possibilità di rieducazione e d inserimento dell’interessato nella vita sociale ed è espressione di un giudizio prognostico, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione, condotto sulla scorta dei molteplici indicatori desunti dall’art 133 cod. pen., inerenti sia alle modalità della condotta che alla personalità de reo, sulla cui base ritenere che l’imputato si asterrà dal commettere ulterior reati (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 3 ottobre 2022, n. 37346, rv 283883; Corte di cassazione, Sezione V penale, 26 febbraio 2016, n. 7983, rv 266256); tali principi vanno, altesì, coniugati con il criterio, secondo il quale giudizio sulla adeguatezza del programma di messa alla prova deve essere effettuato alla stregua dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., tenen conto non solo della idoneità di esso a favorire il reinserimento sociale dell’imputato, ma anche della effettiva corrispondenza di esso alle sue condizioni di vita, attesa la previsione di un risarcimento del danno che, ove possibile, corrisponda al pregiudizio dal predetto recato alla vittima o sia comunque, espressione del massimo sforzo sostenibile in base alle sue condizioni economiche, verificabili dal giudice ai sensi dell’art. 464-bis, comma 5, cod. proc. pen., dovendo, pertanto, ritenersi illegittimo il provvedimento di rigetto della istanza di messa alla prova giustificato in base alla ritenu
assenza della dimostrazione del risarcimento integrale del danno (Corte di cassazione, Sezione III penale, 17 giugno 2024, n. 23934, rv 286660).
Sulla base di tali coordinate ermeneutiche si rileva che il Tribunale di Cremona, prima di richiedere all’UEPE di Mantova la predisposizione del programma di trattamento dell’Alberti, ha rilevato, per un verso che la società da questo rappresentata, la RAGIONE_SOCIALE era stata dichiarata fallita già in data 3 settembre 2029, sicché se ne doveva dedurre la condizione di insolvenza, mentre l’imputato aveva documentato, in termini ritenuti adeguati dal predetto Tribunale, la propria condizione di impossidenza, tale da impedirgli il ristoro del danno arrecato attraverso gli illeciti a lui addebitati.
In funzione di tali elementi conoscitivi il Tribunale ha ritenuto, attraverso una valutazione avente un elevato tasso di discrezionalità, esercitata nell’occasione con un’adeguata motivazione, irrilevante ai fini della ammissione del prevenuto al beneficio in questione, il fatto che questi non avesse provveduto, attraverso lo svolgimento delle condotte previste nel piano di trattamento per lui predisposto, all’integrale ristoro del danno patit dall’Erario.
Non ha rilievo il dato, invece evidenziato dal ricorrente, che per gli illecit ascritti all’imputato sia espressamente prevista, in caso di condanna ovvero di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la confisca de profitto conseguito attraverso di essi.
Invero, per un verso, il dato è estraneo alla fattispecie, visto che non c si trova di fronte né ad una sentenza di condanna né ad una sentenza di applicazione di pena, e, per altro verso, non risponde ad alcuna previsione legislativa il ritenere, come pare avere fatto la Procura generale cidnea, che in relazione a taluni reati (fra i quali si vorrebbe che fossero quelli tributari) restituzione, almeno parziale dell’illecito profitto tramite essi conseguit costituisca un presupposto essenziale della efficacia risocializzante della prova e della prognosi di non recidiva dell’imputato; infatti, l’art. 168-bis cod. pen disposizione evidentemente applicabile in via generale a tutte le ipotesi criminose per le quali è astrattamente ammissibile la richiesta di messa alla prova (e quindi anche ai reati che, per avventura, prevedano, come quelli contestati all’COGNOME, in caso di condanna la confisca del profitto attraverso essi conseguito), espressamente richiamato dall’art. 464-bis cod. proc. pen., prevede che il risarcimento del danno cagionato, peraltro in quanto possibile, sia una delle finalità cui è preordinata la prestazione delle condotte previst
nel programma predisposto d’intesa con l’UEPE e non è un presupposto di esso.
Parimenti non tale da infirmare la logicità della scelta operata dal Tribunale della città del Torrazzo di ritenere adeguatamente documentata la condizione di impossibilità per l’Alberti di restituire l’importo delle impost evase sulla base delle dichiarazioni reddituali da questo presentate quanto agli anni di imposta 2021 e 2022 (periodi di imposta questi estranei rispetto a quelli interessati dai capi di imputazione contestati al prevenuto).
Infatti, la affidabilità di tale documentazione ai fini della dimostrazione della sua attuale condizione economica è stata messa in discussione dal ricorrente solo in base al fattore legato alla natura tributaria dei reati quello in ipotesi commessi in passato e non in ragione della concreta prospettazione di alcun elemento di incertezza o, peggio, di falsità di quanto in esse rappresentato.
Conclusivamente, il ricorso proposto dal Procuratore generale di Brescia deve essere rigettato.
PQM
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 1 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente