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Messa alla prova decreto penale: termini perentori

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31693/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che aveva richiesto la messa alla prova dopo aver già presentato opposizione a un decreto penale di condanna. La Suprema Corte ha ribadito che, in caso di procedimento per decreto, la richiesta di messa alla prova decreto penale deve essere formulata, a pena di decadenza, contestualmente all’atto di opposizione, come previsto dall’art. 464-bis, comma 2, c.p.p. Non è possibile presentarla in un momento successivo, neanche se si punta a una riqualificazione del reato in una fattispecie meno grave.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Messa alla prova decreto penale: attenzione ai termini perentori

La richiesta di messa alla prova decreto penale deve essere presentata entro termini precisi e invalicabili. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 31693/2025) ha ribadito un principio fondamentale: chi si oppone a un decreto penale di condanna deve chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova contestualmente all’atto di opposizione. Qualsiasi richiesta successiva è destinata a essere dichiarata inammissibile, con la conseguente perdita del beneficio. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I fatti del caso: una richiesta tardiva

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un imputato condannato con decreto penale per il reato di accesso abusivo a un sistema informatico in forma aggravata (art. 615-ter, comma 2, c.p.). L’imputato aveva regolarmente proposto opposizione, chiedendo di essere giudicato con il rito ordinario.

Solo in un secondo momento, dopo la notifica del decreto di citazione a giudizio immediato, presentava un’istanza di messa alla prova. La richiesta era subordinata alla riqualificazione del reato nella sua ipotesi meno grave (comma 1 dell’art. 615-ter c.p.), che avrebbe reso ammissibile il beneficio.

Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) dichiarava l’istanza inammissibile, sostenendo che la legge (art. 464-bis, comma 2, c.p.p.) impone di presentare la richiesta di messa alla prova insieme all’atto di opposizione al decreto penale.

La questione giuridica e il ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che al momento dell’opposizione fosse impossibile avanzare la richiesta di messa alla prova. Il presupposto per accedere al rito, infatti, era la riqualificazione del reato, una valutazione che, a suo dire, non poteva essere compiuta dal GIP in quella fase. Secondo la difesa, la norma sui termini si applicherebbe solo ai casi in cui il reato contestato consente ab origine l’accesso al beneficio.

L’analisi della Cassazione sulla messa alla prova e decreto penale

La Corte di Cassazione ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile e confermando la correttezza della decisione del GIP. I giudici hanno chiarito diversi punti cruciali.

Il principio della decadenza e la funzione del termine

La Corte, richiamando la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. n. 201/2016), ha sottolineato che i termini per la richiesta di messa alla prova sono stabiliti a pena di decadenza. Questo rigore è giustificato dalla natura stessa dell’istituto, che rappresenta un rito speciale alternativo al giudizio e mira a una definizione anticipata del procedimento.

Nel caso specifico del procedimento per decreto, la legge individua un unico momento per la richiesta: l’atto di opposizione. Mancare questa finestra temporale significa perdere definitivamente la possibilità di accedere al beneficio.

Il potere del giudice di riqualificare il reato

Il punto centrale della motivazione riguarda l’argomento principale del ricorrente. La Cassazione ha smontato la tesi secondo cui sarebbe stato impossibile chiedere la messa alla prova in assenza di una previa riqualificazione del reato.

Al contrario, i giudici hanno affermato che l’imputato avrebbe dovuto presentare la richiesta di messa alla prova contestualmente all’opposizione, chiedendo al contempo al giudice di procedere alla riqualificazione giuridica del fatto. Il giudice, infatti, nel valutare l’ammissibilità di un rito alternativo, ha il potere e il dovere di verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita dall’accusa e, se necessario, di modificarla.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di rispettare la scansione procedimentale voluta dal legislatore. Permettere di presentare l’istanza di messa alla prova in un momento successivo all’opposizione significherebbe eludere il termine perentorio e introdurre una fase non prevista dalla legge, con un potenziale pregiudizio per la rapida definizione dei processi.

La Cassazione ha chiarito che l’imputato, opponendosi al decreto, avrebbe potuto e dovuto sollecitare il potere del giudice di riqualificare il fatto proprio per poter accedere al rito alternativo. Non avendolo fatto, ha perso irrimediabilmente tale facoltà. La scelta di chiedere il rito ordinario senza contestualmente formulare l’istanza di messa alla prova ha cristallizzato la situazione processuale.

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio procedurale di grande importanza pratica. Chi intende opporsi a un decreto penale e aspira a ottenere la messa alla prova deve agire tempestivamente e in modo completo. La richiesta del beneficio deve essere inserita direttamente nell’atto di opposizione, anche qualora sia necessario chiedere al giudice una diversa qualificazione giuridica del reato contestato. Attendere una fase successiva del giudizio per presentare l’istanza è una strategia processuale errata che conduce all’inammissibilità della richiesta e alla perdita definitiva di un’importante opportunità difensiva.

Entro quale termine va presentata la richiesta di messa alla prova se si riceve un decreto penale di condanna?
La richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova deve essere presentata, a pena di decadenza, contestualmente all’atto di opposizione al decreto penale di condanna, come stabilito dall’art. 464-bis, comma 2, del codice di procedura penale.

È possibile chiedere la messa alla prova dopo l’opposizione, se si spera in una riqualificazione del reato che la renda ammissibile?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’imputato deve formulare la richiesta di messa alla prova insieme all’opposizione, chiedendo contestualmente al giudice di riqualificare il fatto. Il giudice ha il potere di valutare la corretta qualificazione giuridica proprio ai fini dell’ammissibilità dei riti alternativi.

Cosa succede se la richiesta di messa alla prova viene presentata dopo il termine previsto, ovvero dopo l’atto di opposizione?
La richiesta viene dichiarata inammissibile. Il mancato rispetto del termine perentorio comporta la decadenza dal diritto di chiedere il beneficio, precludendo definitivamente all’imputato la possibilità di accedere a questo rito alternativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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