Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31693 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31693 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a TERRACINA il 20/04/1968
avverso l’ordinanza del 20/12/2024 del GIP TRIBUNALE DI ROMA Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza in data 20.12.2024, il GIP presso il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile l’istanza con cui NOME COGNOME condannato con decreto penale per il reato di cui all’art. 615 -ter, comma 2, cod. pen. avverso il quale aveva già proposto opposizione, ha chiesto la sospensione del procedimento con messa alla prova. Il GIP ha ritenuto che, essendo l’istanza avanzata nell’ambito di un procedimento per decreto, doveva trovare applicazione l’art. 464 -bis, comma 2, cod. proc. pen., il quale dispone che la richiesta di messa alla prova debba essere presentata con l’atto di opposizione al decreto penale.
Avverso tale provvedimento l’imputato ha proposto ricorso per cassazione con cui ha svolto un’unica censura lamentando il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 461, 464, comma 3, 458 e 464-bis, comma 2, cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, nella specie non avrebbe potuto trovare applicazione l’art. 464 -bis cod. proc. pen. dal momento che era impossibile avanzare l’istanza di sospensione con messa alla prova al momento della presentazione dell’opposizione al decreto pen ale, atteso che il presupposto per accedervi era costituito dalla necessità della previa riqualificazione del reato contestato nell’ipotesi più lieve di cui all’art. 615 -ter, comma 1, cod. pen., la cui valutazione non è consentita al GIP che si pronuncia sul decreto penale oggetto di opposizione. L’art. 464 -bis, comma 2, cod. proc. pen., ad avviso del ricorrente, si riferirebbe alle ipotesi sanzionate con previsioni tali da consentire già l’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova al mom ento dell’opposizione a decreto penale. Rileva, comunque, che la richiamata disposizione non contempla espressamente la sanzione dell’inammissibilità.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
Conviene preliminarmente ricordare che in data 5.11.2022 era stato notificato a NOME COGNOME decreto penale di condanna in relazione al reato di cui all’art. 615 -ter, comma 2, cod. pen. In data 10.11.2022 il COGNOME aveva proposto opposizione, chiedendo di essere giudicato nelle forme del rito ordinario. In data 26.11.2024 gli era stato notificato decreto di citazione a giudizio immediato per l’udienza del 19.5.2025. Il successivo 5.12.2024 aveva proposto avanti al GIP del Tribunale di Roma istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, previa riqualificazione del fatto nel reato di cui all’art. 615 -ter, comma 1, cod. pen.
Il GIP ha dichiarato inammissibile detta istanza sul rilievo che, nell’ambito del procedimento per decreto, l’art. 464 -bis, comma 2, cod. proc. pen. prevede espressamente che la richiesta di sospensione con messa alla prova debba essere presentata con l’at to di opposizione al decreto penale.
L’ordinanza impugnata va esente dalle censure prospettate dal ricorrente.
Secondo quanto affermato dalle Sezioni unite COGNOME, la sospensione del procedimento con messa alla prova è un istituto che realizza una rinuncia statuale alla potestà punitiva condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata e assistita e si connota per una accentuata dimensione processuale, che la colloca nell’ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio (Corte cost., n. 240 del 2015). Essa costituisce un nuovo rito speciale, in cui l’imputato che rinuncia al processo ordinario trova il vantaggio di un trattamento sanzionatorio non detentivo; al contempo, l’istituto persegue scopi specialpreventivi in una fase anticipata, in cui viene “infranta” la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto. Le Sezioni unite hanno altresì precisato che «la sospensione del procedimento dà luogo ad una fase incidentale in cui si svolge un vero e proprio esperimento trattamentale, sulla base di una prognosi di astensione dell’imputato dalla commissione di futuri reati che, in caso di esito positivo, determina l’estinzione del reato» (Sez. U, n. 36272 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 267238 -01).
2.1. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 201 del 2016, dopo aver ribadito la duplice natura, sostanziale e processuale della sospensione del processo con messa alla prova, ha ricordato che l’art. 464 -bis, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce i termi ni entro i quali, a pena di decadenza, l’imputato può formulare la richiesta di messa alla prova e che tali termini sono diversi, essendo articolati secondo le sequenze procedimentali dei vari riti, e la loro disciplina è collegata alle caratteristiche e a lla funzione dell’istituto. La Consulta ha altresì precisato che «come negli altri riti, anche nel procedimento per decreto deve ritenersi che la mancata formulazione della richiesta nel termine stabilito dall’art. 464 -bis, comma 2, cod. proc. pen., e cioè con l’atto di opposizione, determini una decadenza, sicché nel giudizio conseguente all’opposizione l’imputato che prima non l’abbia chiesta non può più chiedere la messa alla prova».
Proprio per tale ragione e per le conseguenze che detta decadenza determina in termini di «pregiudizio irreparabile» del diritto di difesa, precludendo definitivamente all’imputato la possibilità di accedere al rito alternativo costituito dalla messa alla prova, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva che il decreto penale di condanna contenesse l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Con la successiva sentenza n. 131 del 2019, la Consulta, affrontando il tema della concedibilità della messa alla prova all’esito del giudizio abbreviato, quando l’imputato abbia chiesto ed ottenuto la riqualificazione della condotta in fattispecie che consentono l’accesso al beneficio, ha ritenuto doveroso l’esame dell’istanza
ogni volta che il giudice assegni alla condotta una definizione giuridica compatibile con la messa alla prova. Si è rilevato in tale sentenza che «la giurisprudenza di legittimità ha, anzitutto, ripetutamente affermato che, in caso di richiesta di sospensione del processo con messa alla prova presentata dall’imputato entro i termini previsti dall’art. 464-bis cod. proc. pen., il giudice è tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto dall’accusa ed eventualmente a modificarla, ove non la ritenga corretta, traendone le conseguenze sul piano della ricorrenza del beneficio in parola».
Dando seguito a tali principi, questa Corte regolatrice ha affermato che in caso di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, il giudice è tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto dall’accusa e può – ove la ritenga non corretta – modificarla, traendone i conseguenti effetti sul piano della ricorrenza o meno dei presupposti dell’istituto in questione (Sez. 4, n. 36752 del 08/05/2018, COGNOME, Rv. 273804 – 01).
2.2. Da tali principi consegue che, nel caso di procedimento per decreto, la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova deve avvenire nel termine perentorio stabilito dall’art. 464 -bis, comma 2, cod. proc. pen. con la proposizione dell’opposizione, con la quale l’imputato può sollecitare il potere del giudice di riqualificazione del fatto contestato ai fini della valutazione dell’ammissibilità del rito alternativo richiesto.
Nel caso di specie, l’imputato ben avrebbe potuto richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova in sede di opposizione al decreto penale, previa riqualificazione giuridica del fatto contestato. Diversamente, in quell’occasione, in cui pure aveva anticipato alcuni argomenti difensivi, non ha fatto alcun cenno alla possibile diversa qualificazione del fatto. Né, d’altra parte, è dato comprendere perché la presentazione dell’istanza ritenuta dallo stesso ricorrente inammissibile al momento della proposizione dell’opposizione, sarebbe proponibile avanti al medesimo GIP pur dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio immediato.
A questo riguardo risulta del tutto inconferente il richiamo – fatto dalla difesa a giustificazione della mancata presentazione dell’istanza di sospensione del processo – alla sentenza Sez. 3, n. 19689 del 21/03/2018 Rv. 273058, secondo la quale il giudice per le indagini preliminari, una volta emesso il decreto penale di condanna, si spoglia dei poteri decisori sul merito dell’azione penale e non può, quindi, a seguito di opposizione, operare alcuna modifica del capo di imputazione, anche se quello contenuto nel decreto, per mero errore, riporti una contestazione del tutto diversa, anche in fatto, da quella contenuta nella richiesta del P.M.
Tale pronuncia, invero, si limita a negare il potere di riqualificazione del G.I.P nel caso di opposizione da parte dell’imputato al decreto penale senza richiesta di riti alternativi, ovvero in sede di emissione del decreto di giudizio immediato a norma degli art. 456 commi, 3 e 5, cod. proc. pen., ma non riguarda la differente ipotesi, che invece viene in rilievo nel caso in esame, in cui il potere di riqualificazione poteva essere esercitato a seguito della richiesta di riti alternativi e di definizione mediante messa alla prova (Sez. 4, n. 1716 del 09/11/2023 dep. 2024, non massimata).
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 02/07/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME