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Messa alla prova D.Lgs. 231: no per gli enti

Una società ottiene l’estinzione di un illecito ex D.Lgs. 231/2001 tramite la messa alla prova. Il Procuratore Generale ricorre e la Corte di Cassazione annulla la decisione, ribadendo un principio fondamentale delle Sezioni Unite: la messa alla prova è un istituto riservato esclusivamente alle persone fisiche e non può essere esteso agli enti. La vicenda chiarisce i confini tra responsabilità penale individuale e responsabilità amministrativa delle società.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Messa alla prova D.Lgs. 231: La Cassazione Conferma il Divieto per gli Enti

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale nel campo della responsabilità societaria: l’istituto della messa alla prova D.Lgs. 231 non è applicabile agli enti. Questa decisione chiarisce definitivamente che tale strumento, pensato per la persona fisica, non può essere esteso alle persone giuridiche, consolidando l’orientamento delle Sezioni Unite e tracciando una linea netta tra la responsabilità individuale e quella aziendale.

I Fatti del Caso: L’Ammissione alla Prova di una Società

Il caso ha origine da una decisione del Tribunale di Perugia. Una società a responsabilità limitata era stata incolpata di un illecito amministrativo ai sensi del D.Lgs. 231/2001, derivante da un reato (lesioni colpose) commesso nel suo interesse da parte dei suoi vertici.

Contrariamente a un consolidato orientamento giurisprudenziale, il Tribunale aveva ammesso la società al procedimento di messa alla prova previsto dall’art. 168 bis del codice penale. A seguito dell’esito positivo del programma di trattamento, il Tribunale aveva dichiarato l’estinzione dell’illecito, prosciogliendo di fatto la società.

Il Ricorso del Procuratore Generale

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Perugia ha impugnato la sentenza, sostenendo che il Tribunale avesse violato la legge. Il motivo centrale del ricorso era l’errata applicazione della messa alla prova a un soggetto, l’ente, per il quale l’istituto non è previsto. Il Procuratore ha evidenziato come le Sezioni Unite della Cassazione avessero già chiarito in una precedente pronuncia (la nota sentenza ‘La Sportiva’) che la messa alla prova è incompatibile con la disciplina della responsabilità degli enti.

Il Tribunale, secondo l’accusa, aveva ignorato le profonde differenze tra la responsabilità penale della persona fisica, destinataria di pene anche detentive, e la responsabilità amministrativa dell’ente, sanzionata con pene pecuniarie e interdittive. La messa alla prova è strutturata su condotte riparatorie e risocializzanti che sono intrinsecamente legate alla persona fisica, non a un’entità giuridica.

La Decisione della Cassazione: Analisi sulla messa alla prova D.Lgs. 231

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore Generale, annullando la sentenza del Tribunale e la precedente ordinanza di ammissione alla prova. La Corte ha ribadito con fermezza la propria funzione nomofilattica, ovvero il compito di assicurare l’uniforme interpretazione della legge su tutto il territorio nazionale.

Il Principio di Diritto delle Sezioni Unite

Il fulcro della decisione risiede nel richiamo al principio di diritto già stabilito dalle Sezioni Unite: l’istituto della messa alla prova di cui all’art. 168 bis cod. pen. non trova applicazione con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al D.Lgs. n. 231/2001.

La Corte ha spiegato che, sebbene un giudice di merito possa discostarsi da un principio delle Sezioni Unite argomentando le ragioni del dissenso, le sezioni semplici della Cassazione sono invece vincolate a tale principio. Se intendono discostarsene, devono rimettere la questione nuovamente alle Sezioni Unite. In questo caso, la Corte ha ritenuto che le argomentazioni del Tribunale di Perugia non fossero sufficienti a superare la solida costruzione logico-giuridica delle Sezioni Unite.

L’Incompatibilità Strutturale tra Messa alla Prova ed Ente

La Cassazione ha evidenziato le ragioni sostanziali di questa incompatibilità:
1. Natura della Responsabilità: La responsabilità amministrativa dell’ente è un tertium genus, distinta sia da quella penale che da quella amministrativa classica. Ha una sua specifica funzione preventiva, legata all’adozione di modelli organizzativi idonei a prevenire i reati.
2. Carattere Sanzionatorio della Prova: La messa alla prova, nonostante porti a un esito favorevole, ha una natura sanzionatoria. Comporta l’obbligo di svolgere lavoro di pubblica utilità e altre prescrizioni che incidono sulla libertà personale, concetti difficilmente trasponibili a una persona giuridica.
3. Specificità della Normativa: L’istituto è stato disegnato dal legislatore specificamente per l’imputato persona fisica, con prescrizioni (come quelle relative alla dimora o alla libertà di movimento) che non hanno senso per un ente. Estenderlo per via analogica sarebbe un’operazione non consentita.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si basano sul rigoroso rispetto della volontà del legislatore e della funzione nomofilattica delle Sezioni Unite. La sentenza impugnata è stata annullata perché il Tribunale ha applicato un istituto processuale al di fuori del suo ambito soggettivo, creando una causa di estinzione dell’illecito non prevista dal D.Lgs. 231/2001. La Corte ha sottolineato che la responsabilità dell’ente e quella della persona fisica, pur collegate, viaggiano su binari distinti con sanzioni e percorsi procedurali differenti. La messa alla prova è uno strumento personalizzato che presuppone un coinvolgimento diretto e volontario dell’imputato-persona fisica in un percorso di risocializzazione, logica estranea alla natura e agli scopi della responsabilità dell’ente.

Le Conclusioni

Con questa pronuncia, la Corte di Cassazione chiude definitivamente la porta alla messa alla prova per gli illeciti D.Lgs. 231. La decisione ha importanti implicazioni pratiche: le società non possono contare su questo strumento per definire i procedimenti a loro carico. L’unica via per l’ente rimane quella di difendersi nel merito, dimostrando l’efficacia del proprio modello organizzativo, oppure accedere ad altri riti speciali, se compatibili. Viene così preservata la coerenza del sistema sanzionatorio previsto dal D.Lgs. 231/2001, che mira a incentivare una cultura della legalità all’interno delle aziende attraverso l’adozione di efficaci presidi di controllo, piuttosto che attraverso percorsi di natura riparatoria pensati per l’individuo.

Un ente può essere ammesso alla ‘messa alla prova’ per un illecito previsto dal D.Lgs. 231/2001?
No. La Corte di Cassazione, conformemente al principio stabilito dalle sue Sezioni Unite, ha sancito che l’istituto della messa alla prova, disciplinato dall’art. 168 bis del codice penale, è applicabile esclusivamente alle persone fisiche e non può essere esteso alle persone giuridiche.

Perché la messa alla prova non si applica alla responsabilità degli enti?
La sua inapplicabilità deriva da un’incompatibilità strutturale. La messa alla prova ha una natura sanzionatoria e risocializzante, con prescrizioni (come il lavoro di pubblica utilità e limiti alla libertà personale) concepite specificamente per l’individuo. La responsabilità dell’ente ex D.Lgs. 231/2001, invece, costituisce un ‘tertium genus’ con finalità preventive diverse, incentrate sull’adozione di modelli organizzativi idonei a prevenire i reati.

Un giudice di merito può ignorare un principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione?
Un giudice di merito può discostarsi da un principio delle Sezioni Unite, ma deve fornire una motivazione approfondita per le ragioni del suo dissenso. Tuttavia, le sezioni semplici della Corte di Cassazione sono vincolate a tali principi e, qualora intendano discostarsene, devono rimettere la questione alle Sezioni Unite per una nuova valutazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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