Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22438 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22438 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI PERUGIA nel procedimento a carico di:
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 02/10/2024 del TRIBUNALE di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Perugia, dopo aver ammesso alla prova, ex art. 168 bis cod. pen., RAGIONE_SOCIALE l’ente “RAGIONE_SOCIALE” cui era stato contestato l’illecito amministrativo di cui all’art. 25 septies, comma 3, d.lgs 8 giugno 2001 n. 231 in relazione alla commissione del delitto di cui all’art. 590, commi 1 e 3, cod. pen. (posto in essere nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE> da NOME COGNOME e NOME COGNOME), con sentenza del 2 ottobre 2024, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di detta società per essere stato l’illecito estinto per esito positivo della messa alla prova.
Il Tribunale ha ritenuto di poter superare il principio espresso da Sez. U n. 14840 del 27/10/2022, dep. 2023, Soc RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284273 – 02 secondo cui l’istituto dell’ammissione alla prova di cui all’art. 168 bis cod. pen. non si applica con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
2. Avverso la sentenza, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Perugia ha proposto ricorso, formulando un unico motivo con cui ha dedotto la violazione di legge ed in specie degli artt. 168 bis cod. pen. e 464 bis e ss. cod. proc. pen. Il Tribunale, nel valorizzare le norme di chiusura di cui agli artt. 34 e 35 del d.lgs n. 231/2001, che, per il procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative e per le disposizioni processuali, rinviano genericamente alle norme del codice di rito relative all’imputato in quanto compatibili, dimentica che si tratta di rinvio operato antecedentemente all’introduzione nell’ordinamento dell’istituto della messa alla prova, in occasione della quale il legislatore ha consapevolmente omesso questa nuova causa di estinzione dell’illecito dell’ente, GLYPH modulandola con riferimento esclusivo all’imputato persona fisica. Il Tribunale, nell’affermare apoditticamente la possibilità per l’ente di definizione con messa alla prova dell’illecito amministrativo conseguente al reato, non ha confrontato le due diverse vicende giuridiche, quella degli imputati e quella degli enti di cui questi ultimi sono ai vertici. L’imputato e l’ente del quale è al vertice sono, infatti, destinatari sanzioni diverse: la pena che può anche essere pecuniaria, GLYPH ma che è principalmente detentiva, per il primo, GLYPH e la sanzione amministrativa, che è sempre pecuniaria, per il secondo. L’estensione agli enti di una responsabilità da reato commesso dai propri vertici ha una specifica diversa funzione speciale preventiva, tanto che è esclusa solo se l’ente prova di essersi dotato di un modello organizzativo capace di prevenire gli illeciti dei soggetti posti in posizione apicale. In altri termini, in tema di pene e quindi di definizione della
loro applicazione anche con modalità che portano all’estinzione del reato, non può essere la stessa ratio ad individuare la risposta dell’ordinamento rispetto alla responsabilità del cittadino maggiorenne e alla responsabilità degli enti: le due previsioni giuridiche hanno fondamento differente, essendo intese a sanzionare condotte di soggetti diversi. Tanto ciò è vero che, nel caso in esame, il giudice non ha potuto applicare all’ente l’idem dispositio prevista dall’istituto della messa alla prova, ovvero le specifiche modalità con le quali deve svolgersi la messa alla prova, che sono individuate dall’art. 168 bis, comma 3, cod. pen. nel lavoro di pubblica utilità e dall’art. 168 bis, comma 2, cod. pen. nell’affidamento al servizio sociale con auspicabile svolgimento di attività di volontariato di rilievo sociale. L’ente, per effetto della messa alla prova, ha effettuato un versamento alla Croce Rossa di una somma di denaro e ha finanziato un corso per allievi di un istituto tecnico e, quindi, ha nella sostanza versato una somma, il cui importo non è stato stabilito dal giudice, ma è stato determinato in accordo con l’ U.E.P.E..
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Il difensore dell’ente, in data 11 aprile 2025, ha depositato una memoria con cui ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Perugia. COGNOME Il difensore ricorda che le Sezione Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che, nell’ipotesi in cui il Procuratore Generale, pur avendo ricevuto la comunicazione dell’ordinanza di messa alla prova, non abbia provveduto ad impugnarla tempestivamente, non è legittimato a COGNOME dedurre con GLYPH l’impugnazione della sentenza i vizi propri dell’ordinanza in questione. Nell’ipotesi in cui impugni con il ricorso in cassazione la sentenza di definizione del procedimento di messa alla prova e l’ordinanza di sospensione del procedimento, sollevando questioni sulla ammissibilità del procedimento, il Procuratore Generale ha l’onere di dedurre ed allegare all’impugnazione la mancanza dell’avviso dell’ordinanza amnnissiva. Ma laddove ciò non avvenga, quel Procuratore non potrà introdurre doglianze circa l’ammissibilità in astratto ed in concreto del procedimento di messa alla prova.
Nel caso di specie il Procuratore Generale ha impugnato espressamente la sola sentenza e non anche l’ordinanza di ammissione alla prova e, tuttavia, l’unico motivo dedotto è volto a contestare l’applicazione della causa estintiva del reato ex art. 168 bis cod. pen. per l’affermata incompatibilità tra l’istituto
della messa alla prova GLYPH delle persone fisiche e la responsabilità delle persone giuridiche.
Nel merito, secondo il difensore dell’ente, il ricorso è infondato. Da un lato la decisione della Suprema Corte non è vincolante per il giudice di merito con riferimento alle statuizioni che, afferendo a questioni accessorie ed esterne, non concernano direttamente i temi sottoposti all’attenzione delle Sezioni Unite ex art. 618, comma 1 bis, cod. proc. pen., siccome oggetto di contrasto giurisprudenziale; dall’altro gli argomenti posti a fondamento della decisione del Tribunale d Perugia devono essere condivisi.
4.1 In data 22 aprile 2025, il difensore dell’Ente ha depositato memoria di replica alle conclusioni del Procuratore Generale, insistendo per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ovvero, in subordine, per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2.In primo luogo si deve premettere che il Procuratore Generale era legittimato alla impugnazione della sentenza.
Ai sensi dell’art. 464 quater, comma 7, cod. proc. pen. contro l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova possono ricorrere per cassazione l’imputato e il Pubblico Ministero anche su istanza della persona offesa. Le Sezioni Unite con sentenza n. 14840 del 27/10/2022 dep. 2023, Soc. La Sportiva, Rv. 284273 hanno chiarito che la legittimazione ad impugnare l’ordinanza di ammissione alla prova spetta anche al Procuratore Generale e che la possibilità di impugnazione diretta dell’ordinanza di ammissione alla prova implica che essa sia portata a conoscenza, mediante lettura in udienza o mediante notifica o comunicazione dell’avviso di deposito, non solo alle parti del procedimento che hanno diritto all’avviso della data dell’udienza, ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen., ma anche, come espressamente indicato nell’art. 128 cod. proc. pen., «a tutti coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione». Nella stessa sentenza si è chiarito che, nel caso in cui il Procuratore generale, pur avendo ricevuto comunicazione dell’ordinanza di messa alla prova, non abbia provveduto ad impugnarla tempestivamente, gli è preclusa la possibilità di esperire rimedi avverso l’ordinanza di ammissione alla prova, ovvero di dedurre con l’impugnazione della sentenza i vizi propri dell’ordinanza in questione. Nel caso in cui, invece, l’ordinanza di ammissione alla prova non gli sia stata comunicata, il Procuratore Generale potrà impugnare tale ordinanza, in uno alla sentenza di estinzione del reato. Le Sezioni Unite hanno chiarito che “l’omessa
comunicazione dell’ordinanza di ammissione alla prova non esclude, infatti, il potere del procuratore generale di impugnazione di essa unitamente alla sentenza che dichiara estinto il reato ex art. 464-septies cod. proc. pen., secondo la regola generale fissata dall’art. 586 cod. proc. pen, atteso che, sebbene sia previsto un apposito rimedio innpugnatorio dall’art. 464-quater, comma 7, cod. proc. pen., nondimeno l’impossibilità di accedere ad esso da parte del legittimato all’impugnazione, stante l’esaurimento della fase di esperimento del rimedio, nonché della messa alla prova, comporta la riespansione del potere di impugnazione, secondo le regole generali dettate per le ordinanze in uno ai rimedi avverso di esse esperibili. In proposito, deve premettersi che la sentenza di estinzione del reato per esito positivo della prova, pronunciata in pubblica udienza successivamente alla costituzione delle parti, ha natura di sentenza di proscioglimento ed è perciò impugnabile con l’appello del “pubblico ministero”, ai sensi dell’art. 593, comma 2, cod. proc. pen. ( par §. 4 del Considerato in diritto: pag 14).
2.1 Nel caso di specie dagli atti, consultabili da questa Corte venendo in rilevo una questione processuale (Sez. U., n.42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv.220092), risulta che l’ordinanza di sospensione del procedimento con ammissione alla prova non è stata comunicata al Procuratore generale, sicché lo stesso era legittimato a impugnare l’ordinanza unitamente alla sentenza. Il contenuto del motivo di ricorso, con cui si censura proprio l’ammissione alla prova dell’Ente, rende esplicita la volontà del Procuratore generale di impugnare, insieme alla sentenza di proscioglimento, ex art. 464-septies, comma 1, cod. proc. pen. per essere il reato estinto per esito positivo della prova, l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 464-quater cod. proc. pen., presupposto necessario di tale sentenza.
3.Nel trattare il merito del ricorso, si deve preliminarmente dare atto che la questione rimessa, ai sensi dell’art. 618, comma 1, cod. proc. pen. alle Sezioni Unite con ordinanza n. 15493 del 23 marzo 2022 di questa quarta Sezione era conseguente al rilevato contrasto della giurisprudenza di legittimità circa la legittimazione del Procuratore generale presso la Corte di appello a impugnare i provvedimenti riguardanti la messa alla prova e/o la sentenza di estinzione del reato pronunciata ai sensi dell’art. 464- septies cod. proc. pen. GLYPH Le Sezioni Unite, risolta, come GLYPH detto, in senso positivo la questione relativa alla legittimazione del Procuratore Generale, nell’esaminare il ricorso nel merito, si sono soffermate anche sulla possibilità per l’ente di essere ammesso alla prova nell’ambito del processo instaurato a suo carico per l’accertamento della responsabilità amministrativa dipendente da reato e hanno dettato l’ulteriore
principio di diritto per cui “l’istituto della messa alla prova di cui all’art. 168 bis cod. pen. non trova applicazione con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al d. Igs n. 231/2001.
3.1. Il Tribunale di Perugia, nella sentenza impugnata, ha ripercorso gli argomenti posti a fondamento della pronuncia delle Sezioni Unite su indicata e ha ritenuto, in consapevole dissenso, di non condividerli, in forza delle ragioni di seguito indicate:
l’istituto della messa alla prova non può essere equiparato sic et simpliciter ad un trattamento sanzionatorio, GLYPH in quanto, GLYPH a differenza di quest’ultimo, che non contempla alcun coinvolgimento dell’imputato nel processo decisionale applicativo della pena, la sospensione del procedimento con messa alla prova presuppone indefettibilnnente la volontà dell’imputato, che non contestando l’accusa, si sottopone al trattamento;
l’esito positivo del lavoro di pubblica utilità ha natura di causa estintiva del reato per cui, lungi dall’allargare la tipologia di trattamenti sanzionatori da infliggere all’ente, amplia il ventaglio di procedimenti speciali a sua disposizione. In assenza di effetti sfavorevoli nei confronti dell’ente, chiamato a svolgere un lavoro di pubblica utilità solo in presenza di un suo espresso consenso e con effetti estintivi dell’illecito contestato, l’applicazione della disciplina della mess alla prova appare compatibile con il sistema di responsabilità da reato di cui al d.lgs n. 231/2001;
il divieto di analogia è finalizzato ad assicurare l’esigenza di garantire la libertà del cittadino; in materia penale non si riferisce all’intera materia, ma si rivolge solo alle disposizioni punitive e opera, dunque, solo in malam partem; né può dirsi che le diposizioni relative alla messa alla prova abbiano carattere eccezionale;
lo stesso legislatore, agli artt. 34 e 35 del d.lgs n. 231/2001, ha operato un rinvio espresso alle norme del codice di procedura penale e alle disposizioni processuali relative all’imputato in quanto compatibili: si tratta all’evidenza di un espresso richiamo analogico operato dallo stesso legislatore;
l’art. 168 bis cod. pen., nel fissare le condizioni per la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, stabilisce che la messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. La messa alla prova comporta, dunque, innanzitutto la prestazione di condotte riparatorie. La previsione che subordina la concessione della messa alla prova all’impegno risarcitorio dell’imputato ovvero ne prescrive la revoca o la declaratoria di esito negativo in caso di suo inadempimento induce a ritenere che il risarcimento della vittima sia
presupposto imprescindibile dell’istituto di nuovo conio, GLYPH non alternativa ma congiunta all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose.
Nel caso di specie la società RAGIONE_SOCIALE ha provveduto al risarcimento integrale del danno subito dalla persona offesa, che ha rimesso la querela nei confronti della società e dell’amministratore unico, e altresì del danno subito dai prossimi congiunti della persona offesa; oltre ad avere assolto ogni obbligazione risarcitoria, la società si è dotata di un modello di organizzazione, gestione e controllo, ha istituito un organismo di vigilanza deputato alla verifica dell’adeguatezza del modello e ha, altresì, rispettato le regole contenute nel codice etico adottato dal RAGIONE_SOCIALE del quale fa parte. Il programma di trattamento elaborato dall’U.E.P.E. di Perugia, in ossequio a quanto disposto dall’art. 464 bis cod. proc. pen., contempla una serie di attività, prescrizioni e condotte che rispondono alle caratteristiche proprie della messa alla prova. In particolare la società, d’intesa con la Croce Rossa di Città di Castello, ha finanziato un corso di formazione della durata di 20 ore in materia di primo soccorso e sicurezza e salute sui luoghi di lavoro da svolgere presso l’Istituto Superiore ITIS di Città di Castello e ha, altresì, versato la somma di 15.000 euro in favore della Croce Rossa.
Non GLYPH vi è alcuna ragione – conclude il tribunale- per non ritenere “ampiamente superate le perplessità manifestate dalla Corte di Cassazione”, in quanto la tipologia di programma elaborato e le prestazioni svolte dalla società hanno previsto un coinvolgimento diretto della stessa. La circostanza per cui l’art. 67 del d. Igs n. 231/2001, nel prevedere le ipotesi in cui il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere nei confronti dell’ente non richiama il caso dell’esito positivo della messa alla prova, non è dirimente, a fronte del richiamo operato dagli articoli 34 e 35 del decreto alle norme del codice di procedura penale.
4. Così ripercorso l’iter argomentativo della sentenza impugnata, si osserva che mentre, nel giudizio di merito, il giudice è legittimato ad adottare una statuizione in contrasto con un principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, argomentando in ordine alle ragioni del dissenso (come nel caso oggetto del ricorso), al contrario, nel giudizio di legittimità, le sezioni semplici della Corte di Cassazione sono vincolate al principio di diritto statuito dalle Sezioni Unite, nel senso che, laddove intendano discostarsene, devono, ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., rimettere con ordinanza a queste ultime la decisione del ricorso. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, con un indirizzo a cui il Collegio intende dare continuità, che vincola le sezioni semplici, nei termini di cui all’art. 618, comma 1-bis, cod. 1
proc. pen., il principio di diritto enunciato come tale dalle Sezioni Unite, anche se estraneo alla questione controversa specificamente devoluta dalla sezione remittente [Sez. 3, n. 32084 del 17/11/2022, dep. 2023, Fiore, Rv. 285032 01 con cui si è sottolineato che “l’art. 618 comma 1 bis, introdotto dall’art. 1 comma 66 del d.lgs n. 103/2017 (cd. Riforma Orlando) intende rafforzare attraverso il consolidamento del ruolo delle Sezioni Unite la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione il cui compito ordinamentale resta quello fondamentale, anche nell’ottica della certezza del diritto, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale” e che ” il principio di diritto ai sensi dell’art. 173 comma 3 disp. att. cod. proc. pen. è quello sul quale si basa la decisione senza ulteriori aggettivazioni che ne limitino la portata alle sole questioni specificamente devoluta dalla sezioni remittentel.
4.1. Il Collegio ritiene, dunque, in accordo con il Procuratore Generale ricorrente, che gli argomenti sviluppati nella sentenza impugnata non consentano di superare le ragioni già individuate dalle Sezioni Unite della Suprema Corte a sostegno della inapplicabilità dell’istituto dell’ammissione alla prova di cui all’articolo 168 bis cod. pen. con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti e che non sussistano, pertanto, i presupposti per la remissione del ricorso alle Sezioni Unite.
Il principio di diritto è stato formulato dalle Sezioni Unite all’esito di un articolato ragionamento, con il quale la sentenza impugnata non si è confrontata compiutamente e al quale, in ogni caso, non sono stati contrapposti argomenti in grado di inficiarne la tenuta. In particolare le Sezioni Unite hanno evidenziato:
(i) l’inquadramento, secondo il cfictum della sentenza Espenhahn Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, della responsabilità amministrativa dell’ente in un tertium genus rispetto a quello penale ed amministrativo;
(li) la natura sanzionatoria della messa alla prova sulla base di inequivoci indici rivelatori tra cui: l’obbligo a carico del soggetto che vi è sottoposto di prestare lavoro di pubblica utilità consistente in una prestazione non retribuita di durata non inferiore a 10 giorni, anche non continuativi, a favore della collettività; la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno; gli obblighi che derivano dalle prescrizioni concordate all’atto dell’ammissione al beneficio, che possono comprendere attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali (prescrizioni, queste ultime incidenti in maniera significativa
sulla libertà personale del soggetto che vi è sottoposto); il rapporto di proporzionalità delle prescrizioni cui il soggetto è vincolato rispetto alla gravità
del fatto commesso, nonché la durata della messa alla prova variabile a seconda della gravità del reato contestato all’imputato; la valutazione dell’idoneità del
programma di trattamento in base ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. e cioè in base ai criteri che sovraintendono ordinariamente alla commisurazione
della pena; la previsione di cui all’art. 657
bis cod. proc. pen., in caso di
condanna conseguente al fallimento della messa alla prova, della detrazione dalla pena ancora da eseguire di un periodo corrispondente a quello della prova
eseguita secondo i parametri di ragguaglio ivi indicati;
(iii) la inapplicabilità agli enti dell’istituto della messa alla prova, in forza dell’analogia in
bonam partem o della interpretazione estensiva, in quanto il
divieto di analogia per le norme penali, in applicazione del principio di tassatività, si traduce per il giudice nell’impossibilità di applicare sanzioni oltre i casi
espressamente e specificamente contemplati dalla legge;
(iv) la modulazione della disciplina della messa alla prova ex art. 168
bis cod.pen. specificamente sull’imputato persona fisica e sui reati allo stesso astrattamente riferibili, con conseguente impossibilità di estensione all’ente cui è contestata la responsabilità amministrativa.
Ne consegue GLYPH l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e della precedente ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, con trasmissione atti al Tribunale di Perugia in diversa persona fisica per il giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e l’ordinanza del 7 febbraio 2024 e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Perugia, in diversa persona fisica per il giudizio.
Così deciso in Roma il 29 aprile 2025