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Merce contraffatta: la Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per due soci di un’azienda accusati di aver messo in vendita merce contraffatta di noti marchi. La sentenza rigetta tutti i motivi di ricorso presentati dalla difesa, che contestavano sia aspetti procedurali sia la valutazione delle prove. La Corte ha ribadito che la prova della contraffazione non necessita obbligatoriamente di una perizia tecnica e che il dubbio ragionevole, per portare a un’assoluzione, deve basarsi su elementi concreti e non su mere ipotesi. La decisione finale ha confermato la responsabilità penale degli imputati e il risarcimento del danno alle parti civili.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Merce Contraffatta: la Cassazione Conferma la Condanna e Chiarisce gli Aspetti Probatori

Con la recente sentenza n. 34803/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul reato di commercio di merce contraffatta, confermando una condanna e fornendo importanti chiarimenti sui principi probatori e procedurali. La decisione sottolinea come la prova della falsità dei prodotti non sia legata a rigidi schemi, come la perizia tecnica, ma possa basarsi sul libero convincimento del giudice, fondato su un’analisi razionale di tutti gli elementi disponibili. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere i meccanismi di accertamento di uno dei reati più diffusi a danno della proprietà industriale.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna, confermata in appello, di due persone: la legale rappresentante di una società a responsabilità limitata semplificata e un suo collaboratore, incaricato della gestione contabile. L’accusa, formulata ai sensi degli articoli 110 (concorso di persone nel reato) e 474 (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) del codice penale, era quella di aver messo in vendita articoli di abbigliamento e accessori recanti marchi di lusso contraffatti.

I giudici di merito avevano ritenuto provata la responsabilità di entrambi, condannandoli a una pena di sei mesi di reclusione e 5.000 euro di multa ciascuno, oltre al risarcimento dei danni in favore delle società titolari dei marchi, costituitesi parti civili. La difesa ha quindi proposto ricorso per cassazione, sollevando una serie di obiezioni di natura sia procedurale che sostanziale.

I Motivi del Ricorso per Merce Contraffatta

Gli imputati hanno basato il loro ricorso su diversi motivi, tentando di scardinare l’impianto accusatorio e la decisione dei giudici di appello. Tra le principali doglianze figuravano:

* Vizi procedurali: La difesa lamentava di non aver potuto replicare a memorie depositate dalle parti civili poco prima dell’udienza d’appello.
* Mancata concessione di benefici: Si contestava la mancata concessione della sospensione condizionale della pena e l’omesso avviso, previsto dall’art. 545-bis c.p.p., per richiedere l’applicazione di pene sostitutive.
* Indeterminatezza dell’accusa: Secondo i ricorrenti, il capo di imputazione era generico e non descriveva con sufficiente precisione le circostanze di tempo e di luogo, ledendo il diritto di difesa.
* Inattendibilità delle prove: La difesa ha criticato duramente le modalità di acquisizione e valutazione delle prove, sostenendo che non fosse mai stato accertato con certezza che i beni provenissero dalla loro società e che le prove testimoniali e documentali fossero inaffidabili.
* Insussistenza del dolo: Si argomentava che la società svolgesse una mera attività di intermediazione commerciale, senza avere il possesso diretto della merce, e che quindi mancasse la consapevolezza della contraffazione, specialmente per il collaboratore.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione su Merce Contraffatta

La Quinta Sezione Penale della Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo tutti i motivi infondati o inammissibili. La Corte ha chiarito diversi punti di diritto fondamentali.

Analisi degli Aspetti Procedurali e Sostanziali

In primo luogo, i giudici hanno respinto le censure procedurali, affermando la loro irrilevanza. Riguardo alla mancata proposta di pene sostitutive, la Corte ha ribadito un principio consolidato: il giudice non ha l’obbligo di proporre tali pene, ma esercita un potere discrezionale. L’omissione di tale avviso implica una valutazione negativa implicita sui presupposti per la loro applicazione.

Sul tema della presunta genericità dell’imputazione, la Cassazione ha ricordato che la contestazione deve essere letta insieme a tutti gli atti processuali. Se da questi emergono con chiarezza gli elementi del fatto, il diritto di difesa è garantito. Nel caso specifico, i marchi interessati dalla contraffazione erano chiaramente indicati, permettendo una difesa completa.

La Valutazione delle Prove nel Reato di Contraffazione

Il cuore della sentenza risiede nella disamina dei motivi relativi alla prova. La Corte ha stabilito che:
1. La perizia non è indispensabile: La prova della contraffazione non richiede obbligatoriamente una perizia tecnica. Il giudice può formare il proprio convincimento sulla base di altri elementi, come le testimonianze degli esperti delle aziende danneggiate, l’analisi delle fatture (anche se falsificate) e la ricostruzione logica dei fatti. Si applica il principio del libero convincimento del giudice.
2. Il dubbio deve essere ‘ragionevole’: Per giungere a un’assoluzione, il dubbio sulla colpevolezza deve essere ‘ragionevole’, ovvero ancorato a elementi concreti emersi dal processo. Non basta prospettare una ricostruzione alternativa meramente ipotetica o congetturale. L’assenza di prove fornite dalla difesa a sostegno di una versione alternativa (come la lecita provenienza della merce) rafforza la tenuta dell’impianto accusatorio, senza che ciò costituisca un’inversione dell’onere della prova.
3. Il dolo è provato dai fatti: La Corte ha ritenuto che il ruolo attivo di entrambi gli imputati nella gestione della società, come emerso dalle testimonianze e dalle stesse loro ammissioni parziali, fosse sufficiente a dimostrare la loro piena consapevolezza dell’attività illecita.

Conclusioni

La sentenza n. 34803/2024 conferma la solidità dei principi giurisprudenziali in materia di lotta alla contraffazione. Rigettando il ricorso, la Cassazione non solo ha convalidato la condanna degli imputati, ma ha anche inviato un messaggio chiaro: i tentativi di appellarsi a presunti vizi formali o di creare dubbi puramente teorici non sono sufficienti a scalfire una ricostruzione dei fatti che sia logica, coerente e basata su un complesso di prove convergenti. La decisione rafforza la tutela dei marchi e della proprietà industriale, ribadendo che l’accertamento della verità processuale si fonda su una valutazione razionale di tutti gli elementi a disposizione del giudice, senza essere vincolato a prove specifiche e predeterminate.

È sempre necessaria una perizia tecnica per provare che la merce è contraffatta?
No, la sentenza chiarisce che la prova della contraffazione non richiede necessariamente una perizia. Il giudice può basare la sua decisione su altri elementi, come testimonianze, documenti e la ricostruzione logica dei fatti, secondo il principio del libero convincimento.

Se il capo d’imputazione non descrive ogni singolo dettaglio della condotta, è nullo?
No. Secondo la Corte, il capo di imputazione è sufficientemente chiaro e preciso quando descrive gli elementi strutturali e sostanziali del reato in modo da consentire all’imputato di difendersi pienamente, anche facendo riferimento agli atti del fascicolo processuale.

Il giudice è obbligato a proporre una pena sostitutiva per pene detentive brevi?
No, la Corte ha ribadito che il giudice ha un potere discrezionale in merito. L’omessa proposta di una pena sostitutiva non rende nulla la sentenza, in quanto implica una valutazione negativa sulla sussistenza dei presupposti per concederla.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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